spero che il premio vinto a Venezia dia la forza ai distributori di farlo girare nelle sale, e agli spettatori la volontà di andare a vederlo, in quelle comunque poche sale dove sarà proiettato.
documentario e film di finzione insieme, in modo inestricabile, e forse più film di montaggio che film di finzione, film verità come lo erano, a loro modo, tutti i corti di "Cinico tv".
è un film ruvido, di un'estetica non patinata, entrate in sala, lasciatevi guidare da Maresco (e Tatti Sanguineti), non ve ne pentirete, promesso - Ismaele
…è un
film splendido, decisivo nel suo carattere fondamentalmente perdente
e tragico, che non dovreste perdervi per nulla al mondo.
Non si può fare un
buon film utilizzando materiale pessimo e senza mai dare vita a un’immagine.Belluscone è un film deludente perché cavalca
un’utopia autodistruttiva inconcepibile: creare un’opera su di un’intuizione
folgorante, privarla delle parti di girato più interessanti e montarla secondo
logiche opposte allo stile cinematografico che da sempre ha contraddistinto il
suo regista. L’inconcepibile non sta tanto nella poca coerenza (anche della
struttura, del testo), ma nel gusto masochistico di infliggersi e infliggerci
un giro a vuoto di un’ora e mezza che lambisce per tutta la sua durata il colpo
di genio senza però mai centrarlo (deliberatamente o meno, non importa).
A
Franco Maresco non si può che volere bene. Da sempre sono un estimatore
convinto del suo cinema e della sua visione tragica e disperata dell’Italia e
del nostro tempo ma, proprio come a una persona a cui si vuole bene, non posso
fare a meno di dire con sincerità quello che penso, senza la necessità di
nascondermi dietro l’ipocrisia del giudizio precostituito, aprioristico e
unanime che abbonda sul suo ultimo film e che, so per certo, lo disgusterà
alquanto. Perché Belluscone è talmente un film d’autore, del suo
autore, imbevuto dalle sue proprie ossessioni, manie e derive da negarsi,
isolandosi in una dimensione impossibile di autoparodia, di scimmiottamento
tutt’altro che compiaciuto. Un film tragico al cubo…
…Con Ciprì: “Con cui avevo in comune
l’ascendenza familiare piccolo borghese, quando non adirittura proletaria”,
l’antica amicizia sbiadisce nel ricordo: “Non ci parliamo da anni, dal 2007. Totò che visse due volte, con le sue faticose
storie di censura frammiste ai casini privati dell’esistenza, fu il film che
determinò una prima battuta d’arresto tra noi. Di crisi della coppia. In
seguito, proprio a Venezia, qualcuno parlò di rinascita comune, ma forse
eravamo forse troppo stanchi per ritrovarci davvero. Si era interrotto qualcosa
e non trovammo il filo giusto per riannodare l’affetto. Daniele voleva fare
altro. Lui si diverte fisicamente a lavorare intensamente e se gli togli il
set, praticamente, gli spari. Daniele ama la tecnica e detesta l’inazione e lo
stare soli con se stessi, mentre io non posso rinunciare alla solitudine e con
il cinema ho sempre avuto un rapporto più sofferto e complicato. É chiaro che
lui ha avuto, meritandola, molta più fortuna di me. È un direttore della
fotografia straordinario, ha un’innata predisposizione per l’immagine ed è una
macchina iperproduttiva che a volta ti fa chiedere ‘ma da dove cazzo
prende tutta questa energia?’. Non nego che in un primo momento ho covato nei
suoi confronti molta rabbia e molto risentimento. E indietro, quando provi
sentimenti simili, nei rapporti umani non si torna”…
…sorride a questo piccolo grande film: “che
consideravo perso e che grazie all’aiuto di fratelli come Pietro Marcello e Tatti Sanguineti invece
è sopravvissuto come una creatura di Frankenstein agli scherzi del destino”.
Sorride anche a se stesso. Al suo domani. Alla sincerità. A un nuovo via che in
qualche modo prenderà il largo: “Lo spero e ci credo perché vivo di questo.
Alla mia età è difficile ricominciare facendo altro. Quando uno ha costellato
la propria esistenza di errori e io sono una di quelle persone che non ha
costruito un futuro per sé e ha sperperato le grandi occasioni che la vita mi
ha messo sotto il naso, a lavorare sei costretto . Però quando una cosa la
voglio fare veramente, la faccio. È vero, ho le mie asperità caratteriali e
vivo a Palermo che è ancora un luogo periferico. Servono carattere e forza,
energia e pelo sullo stomaco per uscirne”. Maresco non dice dove li troverà, ma
Belluscone è un indizio di non poco conto.
da
qui
mi hanno colpito in questi giorni le minacce di querela e i commenti offesi... Non ho ancora visto il film, ma una cosa è comunque ovvia e certa: ci sono ben tre sentenze diverse e definitive, dunque si può dire tranquillamente in pubblico e su ogni mezzo di comunicazione che Forza Italia è stata fondata da un corruttore di giudici (Previti), da un truffatore ed evasore fiscale (Berlusconi) e da una persona contigua alla mafia (Dell'Utri). Sono sentenze definitive, su tre gradi di giudizio, se anche uno volesse querelare perderebbe la causa.
RispondiEliminaDetto questo, ahinoi, sono lontani i tempi in cui dei film di Elio Petri si parlava anche nei bar e nei posti di lavoro... Oggi si può dire qualsiasi cosa, tanto poi chi ti guarda, chi ti ascolta. Triste da dire, ma salvo rare e limitate eccezioni l'Italia ormai è spenta.
infatti non ne parlo (quasi) con nessuno, mi sono dovuto aprire un blog :)
Eliminahai ragione, è davvero difficile parlare di cinema o di libri, se provi la maggior parte ti guarda come un eccentrico, ti sopportano, è un po' triste.
quello che funziona è la lamentazione generica, tutti hanno da dire cose generiche, ed è subito sera.
Evviva i blog infatti :) Anche se... potremmo benissimo mettere la testa fuori (e tenerla pure alta) e fare quadrato contro chi trova noioso parlare di bellezza.
RispondiEliminaAd ogni modo, grazie per la citazione nell'articolo :) Speriamo di rileggerci!
ci rileggeremo di sicuro, visto che ci interessano le cose belle :)
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