domenica 7 settembre 2014

Belluscone – Franco Maresco

un film non facile, discontinuo, strano, diverso, e però un film importante, necessario, miracoloso.
spero che il premio vinto a Venezia dia la forza ai distributori di farlo girare nelle sale, e agli spettatori la volontà di andare a vederlo, in quelle comunque poche sale dove sarà proiettato.
documentario e film di finzione insieme, in modo inestricabile, e forse più film di montaggio che film di finzione, film verità come lo erano, a loro modo, tutti i corti di "Cinico tv".
è un film ruvido, di un'estetica non patinata, entrate in sala, lasciatevi guidare da Maresco (e Tatti Sanguineti), non ve ne pentirete, promesso - Ismaele




è un film splendido, decisivo nel suo carattere fondamentalmente perdente e tragico, che non dovreste perdervi per nulla al mondo.

Non si può fare un buon film utilizzando materiale pessimo e senza mai dare vita a un’immagine.Belluscone è un film deludente perché cavalca un’utopia autodistruttiva inconcepibile: creare un’opera su di un’intuizione folgorante, privarla delle parti di girato più interessanti e montarla secondo logiche opposte allo stile cinematografico che da sempre ha contraddistinto il suo regista. L’inconcepibile non sta tanto nella poca coerenza (anche della struttura, del testo), ma nel gusto masochistico di infliggersi e infliggerci un giro a vuoto di un’ora e mezza che lambisce per tutta la sua durata il colpo di genio senza però mai centrarlo (deliberatamente o meno, non importa).
A Franco Maresco non si può che volere bene. Da sempre sono un estimatore convinto del suo cinema e della sua visione tragica e disperata dell’Italia e del nostro tempo ma, proprio come a una persona a cui si vuole bene, non posso fare a meno di dire con sincerità quello che penso, senza la necessità di nascondermi dietro l’ipocrisia del giudizio precostituito, aprioristico e unanime che abbonda sul suo ultimo film e che, so per certo, lo disgusterà alquanto. Perché Belluscone è talmente un film d’autore, del suo autore, imbevuto dalle sue proprie ossessioni, manie e derive da negarsi, isolandosi in una dimensione impossibile di autoparodia, di scimmiottamento tutt’altro che compiaciuto. Un film tragico al cubo…

Con Ciprì: “Con cui avevo in comune l’ascendenza familiare piccolo borghese, quando non adirittura proletaria”, l’antica amicizia sbiadisce nel ricordo: “Non ci parliamo da anni, dal 2007. Totò che visse due volte, con le sue faticose storie di censura frammiste ai casini privati dell’esistenza, fu il film che determinò una prima battuta d’arresto tra noi. Di crisi della coppia. In seguito, proprio a Venezia, qualcuno parlò di rinascita comune, ma forse eravamo forse troppo stanchi per ritrovarci davvero. Si era interrotto qualcosa e non trovammo il filo giusto per riannodare l’affetto. Daniele voleva fare altro. Lui si diverte fisicamente a lavorare intensamente e se gli togli il set, praticamente, gli spari. Daniele ama la tecnica e detesta l’inazione e lo stare soli con se stessi, mentre io non posso rinunciare alla solitudine e con il cinema ho sempre avuto un rapporto più sofferto e complicato. É chiaro che lui ha avuto, meritandola, molta più fortuna di me. È un direttore della fotografia straordinario, ha un’innata predisposizione per l’immagine ed è una macchina iperproduttiva che a volta ti fa chiedere ‘ma da dove cazzo prende tutta questa energia?’. Non nego che in un primo momento ho covato nei suoi confronti molta rabbia e molto risentimento. E indietro, quando provi sentimenti simili, nei rapporti umani non si torna”…
…sorride a questo piccolo grande film: “che consideravo perso e che grazie all’aiuto di fratelli come Pietro Marcello e Tatti Sanguineti invece è sopravvissuto come una creatura di Frankenstein agli scherzi del destino”. Sorride anche a se stesso. Al suo domani. Alla sincerità. A un nuovo via che in qualche modo prenderà il largo: “Lo spero e ci credo perché vivo di questo. Alla mia età è difficile ricominciare facendo altro. Quando uno ha costellato la propria esistenza di errori e io sono una di quelle persone che non ha costruito un futuro per sé e ha sperperato le grandi occasioni che la vita mi ha messo sotto il naso, a lavorare sei costretto . Però quando una cosa la voglio fare veramente, la faccio. È vero, ho le mie asperità caratteriali e vivo a Palermo che è ancora un luogo periferico. Servono carattere e forza, energia e pelo sullo stomaco per uscirne”. Maresco non dice dove li troverà, ma Belluscone è un indizio di non poco conto.
da qui



4 commenti:

  1. mi hanno colpito in questi giorni le minacce di querela e i commenti offesi... Non ho ancora visto il film, ma una cosa è comunque ovvia e certa: ci sono ben tre sentenze diverse e definitive, dunque si può dire tranquillamente in pubblico e su ogni mezzo di comunicazione che Forza Italia è stata fondata da un corruttore di giudici (Previti), da un truffatore ed evasore fiscale (Berlusconi) e da una persona contigua alla mafia (Dell'Utri). Sono sentenze definitive, su tre gradi di giudizio, se anche uno volesse querelare perderebbe la causa.
    Detto questo, ahinoi, sono lontani i tempi in cui dei film di Elio Petri si parlava anche nei bar e nei posti di lavoro... Oggi si può dire qualsiasi cosa, tanto poi chi ti guarda, chi ti ascolta. Triste da dire, ma salvo rare e limitate eccezioni l'Italia ormai è spenta.

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    1. infatti non ne parlo (quasi) con nessuno, mi sono dovuto aprire un blog :)

      hai ragione, è davvero difficile parlare di cinema o di libri, se provi la maggior parte ti guarda come un eccentrico, ti sopportano, è un po' triste.

      quello che funziona è la lamentazione generica, tutti hanno da dire cose generiche, ed è subito sera.

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  2. Evviva i blog infatti :) Anche se... potremmo benissimo mettere la testa fuori (e tenerla pure alta) e fare quadrato contro chi trova noioso parlare di bellezza.

    Ad ogni modo, grazie per la citazione nell'articolo :) Speriamo di rileggerci!

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    1. ci rileggeremo di sicuro, visto che ci interessano le cose belle :)

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