…A Venezia è andato in scena uno spettacolo indimenticabile, ieri.
Eccolo.
L’attesa
La proiezione era alle 14.30, ma già un paio d’ore prima davanti al tappeto rosso del Festival sciamavano, attirano tutti gli sguardi dei passanti, donne vestite da sposa che avevano raccolto l’invito dei registi a trasformare la scena in un white carpet ‘complice’ degli sposi migranti. Mezz’ora prima della proiezione erano quasi un centinaio: un colpo d’occhio magnifico, al quale i fotografi di tutto il mondo non hanno saputo resistere. Nella foto di gruppo, prima di entrare in sala, era in prima fila anche il direttore della mostra, Alberto Barbera, a testimonianza di un endorsement convinto. Con lui, i registi, i protagonisti, le famiglie, una delegazione tanto folta e da lasciare sbigottiti gli stessi operatori di sala: “non ho vai visto una cosa del genere”, il commento raccolto al volo.
La proiezione
All’ingresso, la prima standing ovation. L’emozione è palpabile, gli spettatori si girano verso la galleria, dove prende posto il cast, per tributare loro un applauso che ha un solo significato: che alla fine ci piaccia o meno il film, siamo con voi. Come lo sono i 2.617 produttori dal basso di 38 paesi diversi che, con la loro quota, hanno raccolto in due mesi i 100mila euro (il crowdfunding più riuscito d’Italia e non solo) che hanno permesso di coprire le spese del viaggio, della produzione e di realizzare il sogno di Venezia: essere tra i 55 film selezionati, a fronte di 3.377 candidature. Quando si spengono le luci, l’attesa finisce e la sensazione è quella di mille persone pronte a trattenere il fiato per i 98 minuti di durata. Le immagini scorrono, la musica incalza, poco alla volta, in modo quantomeno azzeccato, le storie dei singoli emergono, struggenti: la sposa che balla sotto le bombe per scongiurarle, padre e figlio che raggiungono di corsa una barca che li porta a un passo dalla tragedia prima di ridare loro la speranza, lo sposo salvato in mezzo a decine di cadaveri nel mare che ricorda i nomi di chi non ce l’ha fatta scrivendoli su un muro più che significativo. Storie che colpiscono direttamente al cuore, e si riveleranno la quintessenza del film. Il viaggio si sa come andrà a finire, ma riviverlo con gli occhi dei ‘fuggitivi’, che in quel momento rischiavano l’arresto, la fine del sogno, rende del tutto l’idea: su quelle macchine lanciate verso la Svezia c’era tutto il pubblico di Venezia. Non mancano i momenti divertenti, le performance artistiche (il giovane Mc Manar è un rapper che farà strada, la sua denuncia sociale da ‘doppio profugo’ sirio-palestinese colpisce nel segno e si merita gli applausi già durante la proiezione), i colpi di scena: pensare che sia stato tutto girato in presa diretta rende quantomeno clamoroso il risultato. Che è da vedere, per questo ci si ferma qui con il racconto.
All’ingresso, la prima standing ovation. L’emozione è palpabile, gli spettatori si girano verso la galleria, dove prende posto il cast, per tributare loro un applauso che ha un solo significato: che alla fine ci piaccia o meno il film, siamo con voi. Come lo sono i 2.617 produttori dal basso di 38 paesi diversi che, con la loro quota, hanno raccolto in due mesi i 100mila euro (il crowdfunding più riuscito d’Italia e non solo) che hanno permesso di coprire le spese del viaggio, della produzione e di realizzare il sogno di Venezia: essere tra i 55 film selezionati, a fronte di 3.377 candidature. Quando si spengono le luci, l’attesa finisce e la sensazione è quella di mille persone pronte a trattenere il fiato per i 98 minuti di durata. Le immagini scorrono, la musica incalza, poco alla volta, in modo quantomeno azzeccato, le storie dei singoli emergono, struggenti: la sposa che balla sotto le bombe per scongiurarle, padre e figlio che raggiungono di corsa una barca che li porta a un passo dalla tragedia prima di ridare loro la speranza, lo sposo salvato in mezzo a decine di cadaveri nel mare che ricorda i nomi di chi non ce l’ha fatta scrivendoli su un muro più che significativo. Storie che colpiscono direttamente al cuore, e si riveleranno la quintessenza del film. Il viaggio si sa come andrà a finire, ma riviverlo con gli occhi dei ‘fuggitivi’, che in quel momento rischiavano l’arresto, la fine del sogno, rende del tutto l’idea: su quelle macchine lanciate verso la Svezia c’era tutto il pubblico di Venezia. Non mancano i momenti divertenti, le performance artistiche (il giovane Mc Manar è un rapper che farà strada, la sua denuncia sociale da ‘doppio profugo’ sirio-palestinese colpisce nel segno e si merita gli applausi già durante la proiezione), i colpi di scena: pensare che sia stato tutto girato in presa diretta rende quantomeno clamoroso il risultato. Che è da vedere, per questo ci si ferma qui con il racconto.
Il ‘dopo’, l’omaggio nel mare
Quando scorrono i titoli di coda (con la promessa compiuta di inserire tutti i 2.617 nomi dei produttori) è apoteosi. Il magone che ha preso molti dei presenti durante il film sfocia in almeno un quarto d’ora di applausi convinti, incitamenti, sorrisi. Le luci sono puntate sui protagonisti, viene ricordata la Siria martoriata, spunta una bandiera palestinese, l’impressione è quella che non si voglia venir via fino a quando qualcuno, in qualche modo, metta la parola fine all’orrore delle bombe, del dramma dei profughi, del mare killer. Lo stesso mare che poi viene raggiunto dal corteo delle spose e da buona parte dei presenti, quando sulla spiaggia dell’Hotel Excelsior, il luogo per eccellenza che fa da contorno alle proiezioni, centinaia di bigliettini vengono inseriti in bottiglie di vetro e lanciati nel mare: un segno simbolico di speranza, un’espiazione collettiva per dire che, nell’impossibilità di fermare le stragi, perlomeno nessuno, lì, si arrende. Il cast di Io sto con la sposa ha fatto e continuerà a fare (già arrivati inviti a Mostre del cinema in Europa e Nord America, mentre nelle sale nostrane uscirà l’8 ottobre) la sua parte: ha squarciato il velo dell’indifferenza, scuotendo i letti del sonno della ragione dei potenti, dei membri dei governi europei, mondiali. Gli unici, oggi, che possono fermare le bombe, i trafficanti di morte, le leggi inique. Un giorno, diranno grazie ai protagonisti di questo docu-film. Per ora, lo diciamo noi: grazie.
Quando scorrono i titoli di coda (con la promessa compiuta di inserire tutti i 2.617 nomi dei produttori) è apoteosi. Il magone che ha preso molti dei presenti durante il film sfocia in almeno un quarto d’ora di applausi convinti, incitamenti, sorrisi. Le luci sono puntate sui protagonisti, viene ricordata la Siria martoriata, spunta una bandiera palestinese, l’impressione è quella che non si voglia venir via fino a quando qualcuno, in qualche modo, metta la parola fine all’orrore delle bombe, del dramma dei profughi, del mare killer. Lo stesso mare che poi viene raggiunto dal corteo delle spose e da buona parte dei presenti, quando sulla spiaggia dell’Hotel Excelsior, il luogo per eccellenza che fa da contorno alle proiezioni, centinaia di bigliettini vengono inseriti in bottiglie di vetro e lanciati nel mare: un segno simbolico di speranza, un’espiazione collettiva per dire che, nell’impossibilità di fermare le stragi, perlomeno nessuno, lì, si arrende. Il cast di Io sto con la sposa ha fatto e continuerà a fare (già arrivati inviti a Mostre del cinema in Europa e Nord America, mentre nelle sale nostrane uscirà l’8 ottobre) la sua parte: ha squarciato il velo dell’indifferenza, scuotendo i letti del sonno della ragione dei potenti, dei membri dei governi europei, mondiali. Gli unici, oggi, che possono fermare le bombe, i trafficanti di morte, le leggi inique. Un giorno, diranno grazie ai protagonisti di questo docu-film. Per ora, lo diciamo noi: grazie.
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