sabato 31 agosto 2024

Immacolata e Concetta - L'altra gelosia - Salvatore Piscicelli

Immacolata e Concetta si sono conosciute in galera e si sono innamorate. quando Concetta esce di prigione va a stare a casa di Immacolata.

Immacolata ha un marito che convive con loro, e le cose si complicano.

se uno non lo sa potrebbe pensare a un film di Fassbinder o dei fratelli Dardenne.

un film da non perdere.

buona (altra) visione - Ismaele

 

 

 

Si parla da secoli di scuola cinematografica napoletana, a ragione. Napoli, dopotutto, è un mondo a sé, un universo che vive in una dimensione tutta sua, con leggi determinate che sono più connesse alla vita vissuta in quanto tale che alla vita ideale e finanche idealizzata che contraddistingue molte altre parte della penisola.

D’altro canto, la tradizione del melodramma popolare in Italia può rifarsi quasi soltanto all’esempio dell’imprescindibile trio Matarazzo-Nazzari-Sanson (lacrime assicurate in un tripudio di ingiustizie e sopraffazioni, inserito in un contesto prettamente provinciale), ed ha avuto proprio in Napoli un centro nevralgico, in particolar modo con l’istituzionalizzazione della sceneggiata nel cinema basso degli anni cinquanta.

L’operazione che in questo senso fa Salvatore Piscicelli è innanzitutto interessante a livello squisitamente cinematografico, perché rifonda il mèlo italiano (pardon napoletano) mettendo in atto una precisa scelta di campo: contaminare la florida tradizione napoletana con i canoni più essenziali, stilizzati e scarni di un certo cinema contemporaneo che trova la sua massima espressione in Fassbinder.

Se i riferimenti a Fassbinder sono quantomeno evidenti, è curioso vedere come Piscicelli (e la sua principale collaboratrice Carla Apuzzo) abbiano inserito elementi capitali del mondo partenopeo, soprattutto riferiti al campo teatrale in cui, si sa, Napoli regna.

La sceneggiata napoletana (roba da culto) viene asciugata dei suoi orpelli sia scenici che recitativi che proprio stilistici in senso lato, ambientata in luoghi quasi sudici in cui respiri l’odore della miseria umana e non, integrata di elementi decisamente non tipici ma che automaticamente diventano costitutivi: se è vero che la storia pone al centro un amore lesbico, è anche vero che immediatamente la circostanza omosessuale passa in secondo piano, poiché si afferma arrogante il vero carattere malsano della relazione, ossia la gelosia.

Al suono di tammurriate e danze popolari, la vicenda si districa in un’asciuttezza che è spigolosità, con una carica erotica nascosta non espressa attraverso le numerose scene di sesso, ma attraverso ciò che non si vede. Ed è certamente singolare notare come in un film che si concede praticamente tutto siano le cose nascoste ad essere quelle più interessanti.

Ad esempio, il personaggio di Concetta, che calibra freddamente ogni azione, mossa da estremistica passione, mostra tre o quattro volte reali impulsi umani: sono lacrime e sangue, ma l’interesse sta proprio nel percepire come lacrime e sangue crescano nella sua personalità. Al contrario, Immacolata è la regina della tragedia napoletana, con i suoi eccessi, le sue scosse e i suoi tormenti. Un esordio che fa tremare i polsi per la rigorosità libera e scatenata che trasmette con severa veemenza.

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Esordio sorprendente di Salvatore Piscicelli, che con questo dramma della gelosia attua una sapiente commistione tra  cultura “alta” e stilemi tipici della cultura popolare, tra contenuti di indubbio pregio sul piano del linguaggio cinematografico, tanto che Olivier Assayas sui Cahier du Cinema parlò di un "primo film ricco e consapevole di un autentico cineasta", e una forma che si rifà chiaramente ai tempi e ai modi della sceneggiata napoletana. La ricercata teatralità dei corpi si sposa sapientemente con le venature melodrammatiche di un triangolo amoroso intriso di forti passioni e insane gelosie. "Immacolata e Concetta" è un film che nasce già maturo, a suo modo unico nel panorama della filmografia italiana, così impastato nella cultura popolare eppure così capace di proiettarsi oltre i confini del suo contingente. Un film che mentre si snoda attraverso l'elaborazione di un amore difficile da far accettare, non manca di gettare uno sguardo di tipo antropologico sulla realtà Partenopea nel suo insieme (siamo a Pomigliano d'Arco), sia attraverso la riproposizione di idiomi e pratiche che sembrano proiettarci in una dimensione atemporale (emblematica in tal senso è la sequenza del pellegrinaggio delle due donne al santuario della Madonna di Montevergine in seguito all'incidente che ha reso paralitica la figlia di Immacolata), che mostrando il modo in cui la provincia è stata inghiottita dall'area metropolitana secondo uno sviluppo urbanistico brutale ed alienante. Immacolata e Concetta si amano si è detto, ma se ciò che le unisce è l'amore, ciò che le divide è la diversa gradazione con cui una è disposta a concedersi all'altra

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venerdì 30 agosto 2024

Morte in Vaticano - Marcello Aliprandi

José Luis López Vázquez è il capo dei cardinali complottisti, ed è bravissimo.

la storia è quella di un papa che vuole cambiare la Chiesa, e l'unico modo di fermarlo è ammazzarlo.

la realtà supera la fantasia, il film non è perfetto, ma è avvincente.

non perdetevelo.

buona (papale) visione - Ismaele




QUI si può vedere il film completo


  

 

Un film ingiustamente bersagliato; invece è buono, pur con delle pecche.

Si fanno capire chiaramente molti dei tantissimi mali della Chiesa cattolica, che a distanza di circa 40 anni dia fatti narrati (il probabile assassinio di papa Luciani  è del ’78) non sono stati emendati più di tanto.

Il film mostra che la Chiesa persegue spesso azioni che vanno contro il messaggio di Cristo, piuttosto che il contrario; e il papa che voleva riportarla a favore degli oppressi deve essere ucciso, perché è un nemico. Si vede bene il colpevole volto conservatore della chiesa: amica dei potenti oppressori per convenienza, e nemica dei poveri che subiscono ingiustizia, al di là delle parate. Di questa realtà non c’è quasi nulla nel cinema, e in generale sui mass media, che sulla Chiesa sono inondati di produzione di grande disonestà intellettuale da parte della Chiesa stessa, la quale, del resto, ha sempre favorito l’ignoranza e combattuto la conoscenza competente; se non l’avesse fatto, le proprie malefatte sarebbero state messe in luce, a vantaggio della verità e a svantaggio della Chiesa stessa. La lotta contro il socialismo era un tema caldissimo allora, e il film lo fa capire.

Esteticamente poi non è un film squallido come di dice: la colonna sonora è buona, la recitazione pure, la fotografia anche. Splendide sono le scene in Vaticano, specie quelle dei cardinali mentre pregano: è verosimile l’aria mefitica che aleggia tra i porporati, che con i loro giochi di potere hanno tradito, come sempre, la semplice e innocente letizia che dovrebbe contraddistinguere i servi poveri di Dio…

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Ispirato alla morte sospetta di Papa Luciani, si concentra soprattutto sulle figure dei due protagonisti: Stamp, che da sacerdote moderato si trasforma in papa marxista, e Bentivoglio, prima giovane insegnante rivoluzionario e poi fautore del clericalismo intransigente all'insegna del principio "extra ecclesiam nulla salus". Opera discontinua e nel complesso superficiale, alterna teologia in pillole, momenti visionari (gli incubi di Bentivoglio, la sua esperienza mistica) e para-thriller (l'attentato al Papa e l'eliminazione dei sicari).

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Morte in Vaticano è un film sbagliato fin dal titolo. Se questo avesse voluto preannunciare una vicenda scandalosa, avrebbe dovuto caso mai essere "Omicidio in Vaticano" (cosa che peraltro è avvenuta), poiché di morti in Vaticano ve ne sono state sempre, senza destare mai alcuno scalpore: la quasi totalità dei papi è deceduta tra le mura leonine. Per il resto denuncia una (questa sì) scandalosa ignoranza sulle regole e le gerarchie vaticane e si pone come un film di fantascienza: il papa Giovanni Clemente I (il cui cambiamento di dottrina è quanto mai repentino) di questo film surclassa il povero Albino Luciani e più che un papa progressista si presenta come un kamikaze della "teologia della liberazione".

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giovedì 29 agosto 2024

Il boss - Fernando Di Leo

i rapporti fra mafia e politica sono l'oggetto del film di Fernando Di Leo.

la Mafia vince, lo Stato perde, come nella realtà.

una sceneggiatura solida e verosimile non ti fa annoiare neanche un minuto, attori bravi nelle mani di un grande e dimenticato regista sono gli elementi di un gran film.

buona (mafiosa) visione - Ismaele

 

 

QUI si può vedere il film completo, su Raiplay

 

 


faccio fatica a considerare questo film un poliziesco:nei canoni del genere ci dovrebbe essere un ruolo precipuo per la polizia,ci dovrebbe essere almeno un indagine,invece qui non c'è nulla di tutto questo,c'è solo polizia che brancola nel buio,che fa tappezzeria o nel peggiore dei casi polizia corrotta.Il film di Di Leo è un noir cupo e violentissimo in cui si assiste alle dinamiche di carriera interne alla mafia,in cui si enuncia lo stretto connubio mafia politica(e scommetto che all'epoca il film non fu accolto bene da certa nomenklatura politica),in cui c'è lo sbeffeggiamento sistematico e continuo del concetto d'onore tanto caro alla mafia.Non esistono piu'uomini d'onore,il personaggio di Richard Conte nella seconda parte del film dice a un altro personaggio che lui ha una sola parola d'onore:peccato che non sia cosi'.Qui è tutto all'insegna della prevaricazione,tutti vengono meno alla parola data(addirittura il killer Lanzetta uccide quello che considera come suo padre per interessi dell'eltro boss),tutti cercano di fregare tutti.Il quadro che ne vien fuori è sconsolante e la cosa che preoccupa di piu'è il sospetto che tutto sia molto vicino alla realta'.Gli attori sono adeguati ai loro ruoli:la faccia di legno Silva funziona egregiamente,come anche l'apparente melliflua tranquillita'di Richard Conte.Mi ha impressionato di piu'la prova di Garko,nei panni del commissario che ha rapporti con la mafia per mirare a un ordine superiore,una prova di apparente assoluta nevrosi.Il finale non fa altro che aggiungere benzina sul fuoco,si chiude con un continua come a dire che il male trionfa e ancora continua a trionfare....

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Uno splendido film d’azione, non noto come meriterebbe, come sempre nel caso di Di Leo. Più che per le scene d’azione, che sono da manuale, comunque il regista pugliese qui è da elogiare per la nitida descrizione del rapporto tra stato e mafia: un rapporto vivo,  intenso, decisivo per la sopravvivenza e il prosperare di entrambi (per quanto patologico per lo stato, cioè tutti noi), professionale, serissimo, di quelli in cui non ci si può permettere di sbagliare.

La simbiosi tra stato e mafia è resa benissimo, proprio nella sua accezione più tragica: è lo stato ad appiattirsi per essere mafia, più che il contrario. Sia chiaro: il rapporto è per lo più alla pari, e, drammaticamente, è fatto di convenienza reciproca, mentre la contrapposizione radicale è solo apparenza da sfruttare opportunisticamente e propagandisticamente. Tale contrapposizione non è mai reale, quando invece dovrebbe essere l’unica scelta da parte dello stato, senza alternative.

I mafiosi portano voti indispensabili ai politici: riescono a determinare la politica…

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Tra i migliori Noir diretti dallo specialista Di Leo.Ad avercene di registi cosi.Ottimamente scritto e diretto splendidamente,con un inizio da antologia,è
un ritratto secco,spietato,durissimo del mondo della mafia e,sopratutto,del
binomio Mafia-Politica.All'epoca molte polemiche accompagnarono il film nelle
sale oggi questo scalpore non lo farebbe piu'visto che,come al solito,la realtà
ha ben presto superato la fantasia.Grandissime scene d'azione dirette con il
solito polso robusto da Di Leo che confeziona un apertura ad Hoc e un finale
al cardiopalma davvero impressionante,con un escalation di regolamento di conti
magistrale.Eccellente direzione degli attori che offrono,chi piu'chi meno,delle
prove esemplari.Bravissimi,in particolare Silva,Conte,Garko,Capponi e Caprioli.
Bellissima colonna sonora di Bacalov…

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martedì 27 agosto 2024

Il terzo occhio – Mino Guerrini

un tempo i nomi di regista e attori erano in inglese, nel cinema italiano, forse il film sarebbe stato più apprezzato dagli spettatori?

FrancoNero diventa Frank Nero, Mino Guerrini diventa James Warren.

la storia è quella di Mino, un nobile con la passione della 

tassidermia e innamorato di una donna.

Mino ha problemi di testa, come tutti in quella casa nobiliare.

il film merita molto.

buona (nobiliare) visione - Ismaele


 

 

QUI si può vedere il film completo

 

 

Éste excelente thriller psicológico cargado de hitchcockiano suspense y elementos morbosos combina armoniosamente el giallo más intrigante con el terror gótico más oscuro – el policiaco con la ultratumba, las fechorías del psicópata estereotípico con las sobrenaturales influencias del Más Allá. No sería de extrañar que la lectura de las obras de Edgar Alan Poe hubiera contribuído a la concepción y al desarrollo de ésta singular historia que nos narra el poco conocido guionista y director Mino Guerrini.

La película impresionó hondamente a Joe D´Amato, cuya obra maestra “Buio Omega” (1979) está obviamente inspirada en “Il Terzo Occhio” – hasta el punto en que por muchos es considerada un remake (el joven taxidermista que momifica a su novia, la siniestra criada, la hermana gemela de la novia muerta que aparece en el momento menos pensado…). Sin embargo huelga decir que la película de Guerrini no se aproxima ni ligeramente a los niveles de gore que impregnan a la explícita “Buio Omega” (allí vemos con todo lujo de detalles cómo la novia es embalsamada, cómo le sacan las vísceras, mientras que eso no nos lo enseñan en “Il Terzo Occhio”).

La tétrica y claustrofóbica atmósfera está sumamente bien lograda, algo que el blanco y negro contribuye a acentuar. Al no haber sido rodada en color, la película parece más antigua de lo que realmente es; una característica que comparte con otros films de estética y calidad parecida como la memorable “Carnival of souls” (1962) de Herk Harvey, o la interesante pero ligeramente inferior “Dementia 13” (1963) una de las primeras películas de F.F. Coppola.

También “Santa sangre” (Alejandro Jodorowsky, 1989) recuerda, en lo que concierne al tema, al argumento de ésta película.

Destaca la interpretación del gran Franco Nero en el papel principal del joven y atormentado conde: Su descenso en el pozo sin fondo de la locura resulta sumamente perturbador.

Como solía hacerse en el cine italiano por aquellos años con el objetivo de atraer espectadores, los nombres de la mayoría de los integrantes del equipo fílmico son pseudónimos anglos o están anglificados: Así, el director Giacomo (Mino) Guerrini se convierte en “James Warren”, o la actriz Olga Solbelli (que da vida a la vieja condesa) en “Olga Sunbeauty” – en un hilarante intento de traducción literal. La romántica y melancólica banda sonora fue compuesta por Francesco De Masi (que en los títulos de crédito aparece como “Frank Mason”).

Pese a su bajo presupuesto, la película tuvo una realización muy profesional en todos los aspectos y resulta todavía hoy visualmente muy efectiva. “Il Terzo Occhio” es una exquisitez macabra que los amantes del cine gótico sabrán apreciar. Toda una joya ignota que a mi juicio no tiene nada que envidiarle a los films que el maestro Mario Bava dirigía durante aquellos años.

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Molti problemi con la censura che boccia Il terzo occhio il 28 febbraio 1966, definendolo contrario alla morale pubblica, perché oltre a diverse scene di nudi femminili ci sono espliciti episodi di necrofilia e primi piani di orribili e brutali sequenze di sangue, presentate con sadismo e insistenza prolungata, quasi con compiacimento

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lunedì 26 agosto 2024

Controsesso - Franco Rossi, Marco Ferreri e Renato Castellani

un film con tre episodi, con ottimi registi.

il segmento più riuscito è Il professore, di Marco Ferreri, con Ugo Tognazzi.

gli altri due sono interpretati da Nino Manfredi.

buona (a episodi) visioni - Ismaele

 

 

QUI o  QUI si può vedere il film completo

 

 

Mi interessava solo quello di Ferreri. Un po' lento e sfocato, specie nella parte centrale. Però già precorre Dillinger e tutto il suo discorso sugli interni domestici, il dominio degli oggetti, musica e immagini (le foto delle scolaresche) a riempire il vuoto. La presenza invadente della Chiesa, la famiglia atipica (qui costituita da nonna, nipote e balia), la frustrazione sessuale invece sono tipiche del primo Ferreri, quello delle grottesche commedie di costume. La parte finale dell'episodio, con la sua indeterminatezza narrativa, ha un che di bunueliano.

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Film a episodi. Il primo è il meno riuscito: non brutto e non privo di notazioni interessanti ma troppo tirato per le lunghe. Il terzo è abbastanza piacevole e divertente seppure prevedibile nei suoi sviluppi. Il migliore è il secondo diretto e scritto (coadiuvato da Azcona) da Ferreri. Merito di un grande Tognazzi ma anche di una scrittura che sa descrivere un'ossessione con abilità ed un riuscito crescendo narrativo. Globalmente non male e meno stupido di quel che sembrerebbe e si potrebbe pensare.

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Un inflessibile e incorruttibile professore (Ugo Tognazzi), insegna in una classe di quarta magistrale che sfornerà l’anno successivo le future maestre. Scapolo, si fa ancora accudire dalla nonna e dalla vecchia zia ed ha l’hobby di ascoltare in una stanzetta delle marce militari. Dopo aver corretto i compiti in classe, scopre che sette alunne, che avevano chiesto il permesso di uscire dall’aula, hanno ottenuto i compiti migliori.

Con la scusa che, alla vigilia del saggio d’esame, le alunne, uscendo, potrebbero ricavarne dei vantaggi, dando fondo alle proprie fantasie perverse, acquista “una comoda”, un mobile antico, dentro il quale colloca un vaso di ceramica e costringe le alunne che devono andare in bagno a utilizzarlo.

Quando la più sfrontata tra le alunne, gli chiede di usarlo, le altre, con le loro risate, coprono di ridicolo il professore che poi, in strada scoppia in lacrime.

Con questo episodio, venato di umorismo nero, Ferreri non delude il suo pubblico e, con pochi tocchi, disegna la figura di un professore feticista che, si eccita  all’idea che le studentesse vadano in bagno.

Con disinvoltura Tognazzi passa dal registro del professore inflessibile e autoritario a quello di un uomo che, crolla emotivamente, quando comprende che le sue perversioni sono state smascherate.

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domenica 25 agosto 2024

La baraonda - Passioni popolari - Florestano Vancini

un piccolo film, ambientato nel Palazzetto dello Sport di Milano durante la Sei giorni di ciclismo.

una ragazza madre porta il figlio a conoscere il padre (Giuliano Gemma), e una serie di personaggi del pubblico.

non è un capolavoro, ma Florestano Vancini merita sempre.

buona (ciclistica) visione - Ismaele

 

 

 

…Lo scenario è sì quello delle corse ciclistiche all'interno del Palazzetto dello Sport di Milano ma questo funge solamente da pretesto per raccontare spicchi di umanità varia: dal padre di famiglia col ragazzino al seguito, vessato da balordi sugli spalti (scacciati da un Guido Nicheli formidabile e non accreditato) alle donne del servizio di pulizia che attaccano all'alba scendendo dal bus, al terribile frammento della giovane ragazza costretta a prostituirsi per procurare la roba al suo ragazzo (e farsi sugli spalti). 

 

Tutti questi coriandoli di vita comune, quotidiana, misera, allegra e litigiosa, fanno da contorno alla storia centrale, una relazione tra una giovane ragazza ed un medico maturo, che fino alla fine non si capisce se sia veramente reale o solamente inventata per secondi fini. Se questo è il centro nevralgico del film, va detto, non regge pienamente: le incongruenze ci sono eccome ed il ritmo balzella. Nonostante questo, Vancini risolleva quasi sempre il film con trovate divertenti, dialoghi geniali in dialetto ed un sapore quasi amacordiano di nostalgia. 

 

In definitiva è un film molto riuscito, spontaneo, divertente e malinconico, che marca il fatto che non solo le grandi storie sono degne di essere raccontate, ma anche le tante cazzate quotidiane, rimpianti e risate stupide.

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Ovviamente a me l’aspetto che più affascina è la descrizione di quel mondo delle sei giorni… Il ciclismo come intrattenimento popolare di massa, cosa che non è più, un universo che appassionava anziani, ragazzi, le più varie categorie sociali… Credo che ormai le sei giorni in Italia siano morte e defunte, che io sappia l’unica ancora esistente è la Sei giorni delle rose a Fiorenzuola… Credo che il pubblico sia limitato a quattro gatti, chissà quanto resisterà ancora.
Insomma, apprezzo questo film in primis come testimonianza di un microcosmo che ormai, in Italia, non esiste più.

Per il resto, filmetto gradevole che scorre calmo fino alla conclusione con la sua narrazione lineare e morbida, niente scossoni, niente colpi di scena clamorosi… Un racconto semplice, un film descrittivo.

Fa specie vedere ora come all’epoca fosse, per quanto comunque non usuale, del tutto socialmente accettabile che un medico rinomato professionista avesse avuto una scappatella estiva con una minorenne durante le vacanze al mare. Né la gente intorno a lui si scandalizza, né lui fa più di tanto per nasconderlo. Il segno dei tempi.

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Girato nel Palazzone, segue la varia umanità fanciullescamente popolare e freak che lo abitava. Inconsueto per Vancini: vorrebbe allestire un'orchestra felliniana ma dirige solo medi solisti. Di positivo c'è l'atmosfera da affresco storico, visto oggi sembra un film sui riti, l'euforia e le tante miserie che si consumavano in un moderno Colosseo. Portante è il duo Gemma-Angelillo, lui di gomma lei spigliata. L'uso del dialetto accentua la malinconia per la città scomparsa.

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sabato 24 agosto 2024

Faccia di spia – Giuseppe Ferrara

il potere imperialista e colonialista e terrorista degli Usa non esisterebbe senza la CIA.

in questo film documentario del 1975 la CIA è l'assassino seriale che sta dietro il colpo di stato in Cile, nel 1973, il colpo di stato in Guatemala, mandante la United Fruit Company, l'assassinio di Che Guevara, tra le altre atrocità.

dal 1975 a oggi il potere della CIA è solo cresciuto a dismisura (solo adesso la Russia e i BRICS riescono a contrastare la CIA, cioè gli USA (sono loro la Nato, insieme agli inglesi e ai servi europei).

alcuni minuti che rendono il film vietato ai minori sono le scene di tortura.

opera sconosciuta di Giuseppe Ferrara, censurata da sempre, visibile (per ora) grazie a youtube.

non perdetevelo

buona (inquietante) visione - Ismaele


 

 

QUI si può vedere il film completo

 

 

Un documentario dalla visione necessaria, per le verità che propone. Proprio per questo è oggetto di censura immemorabile in Italia: si può (ancora) vedere, solo grazie a internet, su Youtube. Giustamente vietato ai minori per le terrificanti scene di tortura che vengono mostrate per una decina di minuti di fila: roba da cinema horror di livello. Ma poiché sono scene reali, storiche, e realistiche, la riflessione conseguente induce a vederne i colpevoli in chi ha perpetrato migliaia di volte tali atti, e ha fatto di tutto affinché non si conoscessero: non certo in chi li fa vedere, denunciandoli, togliendoli dall’oblio e dall’ignoranza cui sono stati relegati appositamente dalle classe dirigenti che li hanno decise (e non le hanno decise certo dei cani sciolti, né dei poveracci; ma una certa classe dirigente, compatta più delle divisioni di potere interne, tanto ricchissima, quanto potentissima).

La classe dirigente in questione è quella statunitense. La denuncia, veritiera, non fa una piega. Semmai pellicole di questo tipo avrebbero avuto più merito se fossero accompagnate anche dalla denuncia delle responsabilità negative della fazione opposta: invece qui non c’è traccia degli orrori delle dittature di sinistra. Si era nel ’75, ovviamente in quel momento l’agone politico era al calor bianco: ma se ciò giustifica l’esibizione della violenza americana senza eccessi, ciò altresì non giustifica la mancata esibizione delle violenze avversarie…

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Giuseppe Ferrara, talvolta chiamato un "allievo" del ben più rinomato Francesco Rosi, viene spesso considerato solamente quando si parla del tardo cinema politico italiano, quello che negli anni '80 lanciava ogni tanto qualche briciola agli spettatori, un triste ricordo del decennio precedente. Ma egli non viene quasi mai citato per il suo secondo lavoro, questo Faccia di spia, un feroce film che attacca frontalmente la Central Intelligence Agency (CIA), decidendo di mostrarci alcuni degli avvenimenti chiave del secolo scorso, nei quali in un modo o nell'altro è coinvolta la famigerata mano dei servizi segreti statunitensi. Baia dei porci, Strage di Piazza Fontana e Colpo di stato in Cile. Un giro del mondo low cost. A guardarlo non avendo alcuna conoscenza storica qualcuno potrebbe pensare ad una storia di fantasia per quanto sono efferati gli atti messi in mostra, ma purtroppo quella mostrata è (almeno in parte) la realtà. Un film più unico che raro, che unisce scene di fiction interpretate da attori pregevoli come Mariangela Melato e Ugo Bologna (con un naso postumo per avvicinarsi ad Allende!) a filmati di repertorio, i quali sono a loro volta in parte fittizi e desaturati/sporcati in fase di montaggio. Quello che si potrebbe dire un mondo movie insomma, ma carico questa volta di un intento politico chiarissimo, praticamente didascalico. Ferrara non lascia alcuno spazio al dialogo, la sua tesi è assolutista: gli Stati Uniti sono un cancro per la democrazia alla stregua di qualsiasi altra dittatura; egli si spinge a mostrare delle scene di tortura impressionanti (ancor più impensabili considerando l'anno di uscita), portando il cinema impegnato politicamente a scontrarsi con quello solitamente considerato "di cassetta", l'exploitation. Un film senza freni, intriso di un coraggio ormai perso, forse proprio a causa dello svanimento di una grande forza politica d'opposizione nel nostro paese; proprio per questo si perdona al film di Ferrara qualche bandiera rossa di troppo o un Che Guevara sempre dolce e grazioso con chiunque. Così una giornata a Wall Street si svolge in contemporanea a un massacro di lavoratori in Guatemala, e dei corpi vengono trivellati mentre si instaura a colpi di fucile una nuova "democrazia" da qualche parte nel mondo. Inquadratura finale a dir poco inquietante: del sangue disegnato scende a rivoli dalla cima delle torri gemelle, ventun'anni prima dell'11 Settembre.

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Forse il film più scomodo e coraggioso di Ferrara, che dopo aver esordito con un bignami sulla mafia, si cimenta sulle malefatte della CIA. Ottimi i segmenti sulla guerriglia in Bolivia (con Merli, la Melato e Camaso/Che Guevara) e sul golpe cileno; più discutibile quello su piazza Fontana (nonostante un ottimo Cucciolla/Pinelli), mentre sul caso Ben Barka (un bravo Rabal) aveva già detto tutto il film di Boisset. Ovviamente di parte, ma istruttivo e poi ti invoglia a saperne di più. Disturbanti, ma realistiche, le scene di tortura.

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Film che ritengo molto importante perché si preoccupa di citare avvenimenti che probabilmente molti ignorano. Girato come un incrocio tra film e documentario, affronta la tesi della presenza della CIA su scenari terroristici in modo diretto e molto crudo (la sequenza delle torture è piuttosto forte da sostenere). I fan dei complotti, delle strategie del terrore, trovano qui pane per i loro denti. Da vedere, anche solo per conoscere "il cosa" (ma non per forza "il come"). Finale tragicamente profetico. Essenziale: 4 pallini per il merito.

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Finché si tratta del torso denudato di Francisco Rabal/Mehdi Ben Barka, dove gli aguzzini dei servizi segreti del Marocco si divertono ad affondare un lungo stiletto, nelle spalle, nel ventre, fino al colpo finale con cui gli spaccano il cuore, il livello dell’emotività per lo spettatore di Faccia di spia resta alto ma contenuto. Niente che faccia voltare la testa o induca ad abbassare lo sguardo. La stessa cosa può dirsi per la sequenza in cui due infermieri segano via una mano, per conservarla nella formalina, al cadavere del “Che” (Claudio Camaso). Il film si presenta civilmente impegnato, denuncia i maneggi e le turpitudini commesse ovunque nell’universo dalla Central Intelligence Agency, ma con immagini da mattatoio a corredo; come nelle sequenze che ricostruiscono, intercalandole a spezzoni documentari, le ore della strage di piazza Fontana, dove la mdp di Giuseppe Ferrara va cercando con insistenza e precisione chirurgica i dettagli di arti maciullati e di facce spappolate dall’esplosione…

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venerdì 23 agosto 2024

In viaggio con Yao – Philippe Godeau

Seydou è il figliol prodigo che torna per qualche giorno in Senegal.

Yao, il bambino, è un suo fan e il caso li fa incontrare, e passano qualche, indimenticabile, giorno insieme.

il ritorno di Seydou, uno che ha avuto successo in Francia, è una sorpesa per tutti e due, inizia un'amicizia infinita.

non sarà un capolavoro, o originale, ma si fa vedere davvero bene.

buona visione - Ismaele



QUI il film completo, su Raiplay


 

In questo senso Il viaggio di Yao è molto più che un road-movie, o un viaggio iniziatico alla scoperta di una cultura e di una spiritualità sconosciuta, ma diventa una vera e propria riflessione sull’identità. Cos’è bianco e cos’è nero? Quali sono gli elementi per definire l’identità di una persona e come cambia la percezione che ne hanno gli altri in base al luogo in cui si trova? Il viaggio di Yao è tutto questo e Philippe Godeau è in grado di condensare una riflessione esistenziale così complessa in termini umani più che trascendenti, come gli incontri che Yao e Seydou fanno durante il viaggio, che sono in grado di trasmettere i valori della cultura africana e la sua profonda spiritualità in pochi semplici gesti, riducendo al minimo le parole per dare massimo risalto al corpo. Tuttavia sembra che Philippe Godeau non abbia il coraggio di andare oltre le colonne d’Ercole di questa terra, e che si fermi sulla soglia, un attimo prima di portare i i suoi personaggi fino in fondo al loro viaggio, lasciando sospeso il tempo del racconto, come se attendesse che siano loro stessi a scriverne il finale. E forse è giusto così.

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Omar Sy e Lionel Basse formano una coppia ben affiatata, il francese famoso, ingenuo e dimentico delle proprie radici, il ragazzino indigeno saggio e fiero della propria identità. Aggiungete un catorcio sbuffante, gli spazi riarsi del Senegal e una leggera passata di retorica melensa et voilà: la commediola di buoni sentimenti è servita…

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Quando il regista Philippe Godeau sottopose a Omar Sy il progetto l'attore francese non ebbe esitazioni. Non c'era bisogno di calarsi in una parte in quanto Sy e Tall erano la stessa cosa. In comune avevano le origini senegalesi, la nazionalità francese ed il fortuito incontro con l'arte cinematografica facilitato dall'innata capacità di far ridere. Allo stesso tempo né personaggio né attore avevano una benché minima idea del continente africano, così il road-movie fu lo scontato espediente narrativo scelto per descrivere, a sommi capi, il paese, i suoi abitanti e il suo visitatore. Ma allora c'era bisogno di un film di finzione? Non era forse più interessante un documentario con protagonista Omar Sy alla riscoperta di una terra con la quale non aveva mai avuto nulla da spartire se non i natali dei propri genitori e l'involucro marrone? Forse ne sarebbe scaturito un documento più genuino e interessante. Il film, a contrario, mi ha dato l'impressione di non andare da nessuna parte, di non sviluppare trama e sottotrame e di presentare tutti i cliché del continente nero: la bellezza della natura, la luce calda dei tramonti, il tempo immobile, la straordinaria serenità, agli occhi occidentali, di chi non è oppresso dal tempo, la spiritualità sciamanica che tanto affascina i popoli secolarizzati del nord che non credono più a niente. Ma siamo sicuri che l'Africa sia così? L'africano che muore di fame o non sa cosa mettere nelle bocche dei propri figli a pranzo e a cena probabilmente non è ricco di saggezza sacerdotale e correrebbe tutto il giorno pur di racimolare quel pasto che nutra se stesso o i propri cari. Forse confondiamo la rassegnazione di un continente oppresso dalla fame nell'allegra spensieratezza dei passeggeri di un treno lento come una lumaca o di un tassista che si concede una lunga pausa per infilarsi tra le lenzuola della propria moglie mentre i suoi passeggeri aspettano sotto il sole di rimettersi in viaggio. L'Africa meriterebbe una rappresentazione ben più veritiera del suo tessuto sociale. Forse è ora che l'Africa la racconti il cinema africano. Omar Sy è simpatico e fa il suo lavoro ma il film non mette proprio niente di nuovo sul piatto preferendo un ruffiano manierismo in salsa francese condito giusto un po' di cultura nera. Una gassosa all'ananas sotto la canicola. Niente più.

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mercoledì 21 agosto 2024

Lo svitato - Carlo Lizzani

Dario Fo è instancabile, si finge giornalista e comincia a lavorare senza riposo.

a metà fra Jacques Tati e Buster Keaton, Dario Fo è incontenibile.

il film è divertente.

buona (di corsa) visione - Ismaele

 

 

 

L'unico vero film da protagonista di Dario Fo rivela due cose: non era tagliato per il cinema inteso come commedia all'italiana; l'estro si denota ma resta teatrale. Interessante anche se slabbrata indagine di Lizzani sulla spregiudicatezza del quarto potere e sulle news progettate a tavolino. Le gag semi-slapstick in cui Fo è una specie di Goofy appaiono oggi decisamente impolverate e le storielle sentimentali accennate o accelerate. Franca Rame, fatalona bionda (erano già sposati), sa prendersi la scena quando vuole.

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Con Lo svitato il tentativo è quello di lanciare lo stralunato personaggio di Dario Fo, già attivo sia in teatro che alla radio, sulla scia delle commedie surreali girate in Francia da Jacques Tati.

Nel Dario Fo degli anni cinquanta, tra le qualità di mimo e quelle di affabulatore (che lo renderanno celebre nel mondo), prevalevano le prime, sebbene il suo personaggio sia tutt'altro che muto.

Nella storia di Lo svitato manca qualsiasi elemento di critica politica, che invece sarà una costante della carriera dell'attore varesino.

La vicenda si snoda secondo i canoni consueti della commedia  cinematografica (viene da pensare, sia pure con diverse caratteristiche, al giovane Jerry Lewis), compreso un lieto fine che rimanda allo stereotipo della commedia, anche se può far piacere vedere Dario Fo e Franca Rame riuniti per la prima e penso unica volta sul grande schermo.

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una buona Commedia simpatica,
con un regista dietro la macchina con gli
attributi e davanti un futuro premio Nobel
come Dario Fo,che già fa vedere la sua
mimica facciale e versatilità,in uno dei
non tanti Film che ha interpretato,e dove
con il pretesto di raccontare la storia
di Achille,fa una feroce satira sul giornalismo,
che all'epoca era come la Tv di adesso,
che basta un fatto di risalto e diventi
famoso,ed è uno spaccato d'epoca per
come si vede la Milano (e L'Italia)
di allora.

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martedì 20 agosto 2024

Lo scapolo - Antonio Pietrangeli

Paolo (Alberto Sordi) vive nel terrore del matrimonio, è una cosa per gli altri, non per lui.

Paolo ha un'impresa che vende di elettrodomestici (negli anni che con le cambiali venivano distribuiti in tutta Italia), e cerca di avere dei rapporti con Carla, una cliente che vende elettrodomestici, ma ogni volta fugge da qualsiasi impegno verso di lei.

Alberto Sordi è uno scapolo a tutti i costi e ci riesce, convince anche il futuro cognato, che non vuole più sposarsi, ad arrivare all'altare.

e in modo affrettato, alla fine del film, anche Paolo cederà.

Alberto Sordi è perfetto per il ruolo di scapolo, che esercitarà per tutta la vita. 

buona (matrimoniale) visione - Ismaele 

 

 

QUI si può vedere il film completo

 

 

Il ragioniere Anselmi (Alberto Sordi) è uno scapolo impenitente. Quando il suo amico Armando si sposa, è costretto a far da testimone ma disprezza l'idea del matrimonio. Avendo lasciato all'amico e alla moglie l'appartamento, va a vivere in una pensione dove conosce Gabriella, una giovane hostess con cui intreccia una relazione. La ragazza ben presto si innamora, ma lui si defila e lei si fa trasferire a Milano. Riconquistata la libertà, dà sfogo alla sua vocazione da "don giovanni", ma ben presto la solitudine lo attanaglia. Consigliato anche dalla madre, decide di trovare una compagna di vita. Ma l'obiettivo si rivela arduo. Capirà alla fine che è la signorina Carla, con la quale ha avuto furiosi litigi, a fargli battere il cuore. Sarà lei a portarlo all'altare.

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Un bel film, intelligente, amaro. Gli uomini fanno una pessima figura. Le donne quasi, ma non certo allo stesso modo.

Erano gli anni del boom economico: come sempre, in tempi di edonismo commerciale, emergono le critiche alle istituzioni tradizionali, matrimonio in primis. Un po’ di criticabile individualismo da Vitelloni, cinico e triste; un po’ di sana critica all’incoraggiamento, di ascendenza popolareggiante e cattolica, verso il matrimonio come “obbligo sociale e morale”: Sordi mette in scena tutto questo con un’interpretazione perfetta, da par suo.

L’ansia della chiusura in un’unica relazione, che non può mai essere esente da difetti, fa da contraltare all’angoscia della solitudine, che difficilmente può essere una scelta portata fino in fondo in modo coerente, nelle sue estreme conseguenze. Tutti questi tratti psicologici sono ben descritti nella sceneggiatura, che è impeccabile come tutti gli altri fattori tecnici della pellicola.

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Le carte sono in tavola fin dalla prima scena: un uomo fa da testimone di matrimonio al socio in affari e lo osserva con compatimento, pensando che lui non cadrà mai in quella trappola. La prima parte si incarica di mostrare a cosa si riduce concretamente la sua libertà: avventure senza futuro, serate passate nell’affannosa ricerca di contatti umani, menzogne raccontate a sé stesso. Segue la decisione di accasarsi come male minore, e una serie di vicende tragicomiche legate alla scelta dell’anima gemella: alla fine lo troveremo accanto a quella che conosce meglio le sue debolezze e che gli incute anche un po’ di paura, l’umanissima paura di fare un salto nel vuoto. Pietrangeli è giustamente considerato il regista delle donne, ma qui dimostra di cavarsela benissimo anche con il presunto sesso forte: una commedia amarognola, magnificamente scritta e ottimamente interpretata, che ha il pregio di una grande autenticità. Non c’è solo una galleria di tipi femminili credibili e non banali, che non scadono mai nel macchiettismo per quanto poco spazio abbiano (l’affittacamere, l’hostess, la segretaria, la proprietaria della lavanderia, la studentessa d’arte, persino l’edicolante): c’è anche un notevole studio ambientale dell’Italia pre-boom, con gli elettrodomestici che annunciano il benessere ormai alle porte. Tale è la verità dei personaggi che possiamo facilmente immaginare la coppia inaridirsi e immeschinirsi al contatto con la vita quotidiana, e sentircene partecipi.

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