venerdì 23 agosto 2024

In viaggio con Yao – Philippe Godeau

Seydou è il figliol prodigo che torna per qualche giorno in Senegal.

Yao, il bambino, è un suo fan e il caso li fa incontrare, e passano qualche, indimenticabile, giorno insieme.

il ritorno di Seydou, uno che ha avuto successo in Francia, è una sorpesa per tutti e due, inizia un'amicizia infinita.

non sarà un capolavoro, o originale, ma si fa vedere davvero bene.

buona visione - Ismaele



QUI il film completo, su Raiplay


 

In questo senso Il viaggio di Yao è molto più che un road-movie, o un viaggio iniziatico alla scoperta di una cultura e di una spiritualità sconosciuta, ma diventa una vera e propria riflessione sull’identità. Cos’è bianco e cos’è nero? Quali sono gli elementi per definire l’identità di una persona e come cambia la percezione che ne hanno gli altri in base al luogo in cui si trova? Il viaggio di Yao è tutto questo e Philippe Godeau è in grado di condensare una riflessione esistenziale così complessa in termini umani più che trascendenti, come gli incontri che Yao e Seydou fanno durante il viaggio, che sono in grado di trasmettere i valori della cultura africana e la sua profonda spiritualità in pochi semplici gesti, riducendo al minimo le parole per dare massimo risalto al corpo. Tuttavia sembra che Philippe Godeau non abbia il coraggio di andare oltre le colonne d’Ercole di questa terra, e che si fermi sulla soglia, un attimo prima di portare i i suoi personaggi fino in fondo al loro viaggio, lasciando sospeso il tempo del racconto, come se attendesse che siano loro stessi a scriverne il finale. E forse è giusto così.

da qui

 

Omar Sy e Lionel Basse formano una coppia ben affiatata, il francese famoso, ingenuo e dimentico delle proprie radici, il ragazzino indigeno saggio e fiero della propria identità. Aggiungete un catorcio sbuffante, gli spazi riarsi del Senegal e una leggera passata di retorica melensa et voilà: la commediola di buoni sentimenti è servita…

da qui

 

Quando il regista Philippe Godeau sottopose a Omar Sy il progetto l'attore francese non ebbe esitazioni. Non c'era bisogno di calarsi in una parte in quanto Sy e Tall erano la stessa cosa. In comune avevano le origini senegalesi, la nazionalità francese ed il fortuito incontro con l'arte cinematografica facilitato dall'innata capacità di far ridere. Allo stesso tempo né personaggio né attore avevano una benché minima idea del continente africano, così il road-movie fu lo scontato espediente narrativo scelto per descrivere, a sommi capi, il paese, i suoi abitanti e il suo visitatore. Ma allora c'era bisogno di un film di finzione? Non era forse più interessante un documentario con protagonista Omar Sy alla riscoperta di una terra con la quale non aveva mai avuto nulla da spartire se non i natali dei propri genitori e l'involucro marrone? Forse ne sarebbe scaturito un documento più genuino e interessante. Il film, a contrario, mi ha dato l'impressione di non andare da nessuna parte, di non sviluppare trama e sottotrame e di presentare tutti i cliché del continente nero: la bellezza della natura, la luce calda dei tramonti, il tempo immobile, la straordinaria serenità, agli occhi occidentali, di chi non è oppresso dal tempo, la spiritualità sciamanica che tanto affascina i popoli secolarizzati del nord che non credono più a niente. Ma siamo sicuri che l'Africa sia così? L'africano che muore di fame o non sa cosa mettere nelle bocche dei propri figli a pranzo e a cena probabilmente non è ricco di saggezza sacerdotale e correrebbe tutto il giorno pur di racimolare quel pasto che nutra se stesso o i propri cari. Forse confondiamo la rassegnazione di un continente oppresso dalla fame nell'allegra spensieratezza dei passeggeri di un treno lento come una lumaca o di un tassista che si concede una lunga pausa per infilarsi tra le lenzuola della propria moglie mentre i suoi passeggeri aspettano sotto il sole di rimettersi in viaggio. L'Africa meriterebbe una rappresentazione ben più veritiera del suo tessuto sociale. Forse è ora che l'Africa la racconti il cinema africano. Omar Sy è simpatico e fa il suo lavoro ma il film non mette proprio niente di nuovo sul piatto preferendo un ruffiano manierismo in salsa francese condito giusto un po' di cultura nera. Una gassosa all'ananas sotto la canicola. Niente più.

da qui

 

 

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