giovedì 8 agosto 2024

Shadow – Federico Zampaglione

una gita in bici in montagna.

David, un ex soldato tornato dall'Iraq, si trova a cercare di sopravvivere insieme ad Angeline.

in un territorio molto pericoloso c'è un uomo, sembra uscire da un film tedesco di un secolo prima, lui impersona il male, in maniera scientifica.

e poi succedono alcune cose sorprendenti.

un film che non annoia, con tanti colpi di scena.

buona (politica) visione - Ismaele


 

 

Dopo aver visto il suo esordio in campo cinematografico, quel Nero Bifamiliare a mio parere fallimentare sotto tutti i punti di vista, non avrei scommesso un centesimo bucato di euro sul proseguio della carriera cinematografica di Zampaglione, anzi speravo in cuor mio in una sua rinuncia definitiva alle sue velleità da regista.
E invece, colpo di scena, mi cospargo il capo di cenere e riconosco il mio errore.
Il secondo film di Zampaglione è un'opera abbastanza riuscita, una fiaba orrorifica naif che rende giustizia alla cinefilia del suo autore.
Pur navigando nel mare magnum del deja vu Shadow non demerita , anzi si propone come buon prodotto di genere adatto anche (ma forse soprattutto) all'esportazione.
L'Italia non è più un Paese per registi horror e a me fa piacere che qualcuno ritorni a  questo genere così particolare in cui siamo stati dei veri e propri maestri.
Con qualche staffilata politica niente male ( vedi la foto di Bush jr in bella mostra accanto a quelle di Hitler e Stalin oppure le immagini che vanno in loop di adunate naziste).
Come Nero Bifamiliare anche Shadow è pellicola intrisa di citazionismo ma almeno qui non è fine a se stesso come nel suo esordio.
Dalle atmosferiche relativamente bucoliche della prima parte, un tuffo nella natura selvaggia in biking solitario, si passa presto a vivere Un tranquillo weekend di paura per poi arrivare a una seconda parte nell'antro di Mortis(il succitato mostro) che si inserisce elegantemente nel filone del torture porn alla Hostel e relativi epigoni ma anche in quello degli ultimi horror francesi(direi soprattutto Frontiers di Xavier Gens).
La rivelazione finale è abbastanza telefonata (se uno ha visto film come Una pura formalità di Tornatore, Allucinazione perversa di Lyne oppure anche Il settimo sigillo di Bergman  indovina il coup de theatre finale diversi minuti prima) ma assolutamente funzionale alla metafora che percorre sotterraneamente tutto il film.
Zampaglione si rivela regista valido sia nelle sequenze più "movimentate" della prima parte e si rivela elegante tessitore di atmosfere sulfuree nella seconda quando la sua cinepresa si aggira curiosa tra le pareti ammuffite e malsane della dimora di Mortis,un impressionante Nuot Arquint che ha veramente il phisique du role per soggiornare nei peggiori incubi.
La partitura musicale che accompagna onnipresente il film è evidentemente debitrice dell'Argento degli anni 70.

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Shadow inizia con una suggestiva panoramica delle foreste del Tarvisio (che nel film è chiamato The Shadow, l'ombra) che ci introduce nel luogo in cui si svolgerà l'azione. Il protagonista, David, è un reduce dell'Iraq e con la sua mountain bike vuole immergersi nella natura per dimenticare gli orrori della guerra. Conosce una ragazza che fa il suo stesso percorso, ma i due dovranno presto preoccuparsi di scappare da due balordi cacciatori...per poi finire tutti quanti, cacciatori e prede, tra le grinfie dell'"ombra" che abita la foresta.

Zampaglione si richiama alle atmosfere dei film che ha amato durante l'adolescenza ma segue anche i nuovi sviluppi che il genere ha avuto negli ultimi anni, indica Dario Argento e Lamberto Bava come numi tutelari (a quanto pare è stato Argento a suggerirgli di girare in inglese) e tutti, colpiti dal rinnovato interesse per l'horror, lo applaudono. Ma è tutto oro quel che luccica?

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C'è infatti molto poco sangue in Shadow, nonostante sia un racconto di violenza e ad un certo punto anche di tortura, ma quello che perde in gore il film lo guadagna in tensione, cercando in ogni momento di giocare con le aspettative dello spettatore abituato ad assistere alle disperate resistenze contro il dolore e la morte dei protagonisti del cinema horror grazie ad anni di B-movies.
Tuttavia, forse proprio il desiderio di spiazzare e in questo modo sottrarre certezze a un certo punto prende la mano al regista. Un colpo di scena di troppo (e troppo grande) proprio nel finale costringe infatti a rileggere la trama di Shadow e il suo simbolismo a quel punto evidente sotto una luce diversa, più politica e, in un certo senso, meno potente ed universale di quanto non fosse senza quell'ultimo, estremo, twist.
Ma nemmeno un'eccessiva sorpresa di troppo cancella il merito principale di questo film, cioè la dimostrazione che possa esistere ancora un altro tipo di cinema italiano che non sia costretto a scegliere tra le solite storielle pretenziose e le altissime punte autoriali (per definizione non replicabili industrialmente), un cinema che pur rifacendosi a una tradizione nostrana sappia variare dall'immaginario filmico italiano odierno, che non viva di sussidi statali, non sia figlio delle solite case di produzione e sia in grado di rivendicare un'idea professionale e internazionale di cinema di genere.

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Dopo il tentativo non riuscito di incursione nella black comedy con Nero bifamiliare (2006), Federico Zampaglione ridà vigore al cinema di genere italiano “aggredendo” l’oligopolio dell’horror contemporaneo detenuto da Stati Uniti, estremo Oriente, Spagna e Francia. Rispetto alla prima regia, il leader dei Tiromancino si libera con un colpo di roncola delle divagazioni grottesche e cinefile e costruisce una storia che arriva immediata allo stomaco, anche se la sceneggiatura ha debiti antichi (Fritz Lang), moderni (Un tranquillo week end di paura di John Boorman, 1972) e più recenti come Frontieres (Xavier Gents, 2007), la cui protagonista Karina Testa qui interpreta Angelina. Pioggia, nebbia e vecchie storie di montagna suggerirebbero di scegliere un altro giorno per il cicloturismo, ma il reduce di guerra in cerca di pace ignora i presagi e sfreccia incontro a brutali cacciatori e a un Nosferatu anoressico dalle labbra sottili e tremanti di nome Mortis che occasionalmente indossa il saio nero e impugna la falce…

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"Shadow" infatti ci fa ben sperare nel futuro da regista di Zampaglione, che non ha lo scopo di rivoluzionare un genere, ma semplicemente di utilizzare schemi e situazioni già viste all’interno di una storia, per renderla il più angosciante, claustrofobica e paurosa possibile. Citando il primo Argento, Lucio Fulci e Mario Bava, Zampaglione imbastisce un film semplice nel racconto ma capace di catturare con facilità l’attenzione del pubblico. Più che alla storia, il merito va proprio alla regia, strutturata in maniera interessante (la prima parte nel bosco girata con camera a mano, la seconda parte nella villa con carrelli e movimenti più precisi) e originale per la scelta di inquadrature.
Ma è nella storia che "Shadow" risulta essere perdente. Non è tanto nella semplicità del plot (anzi) o nella scarsa profondità psicologica dei personaggi (comunque ben supportati dalle interpretazioni degli attori), ma in un finale che piglia per il culo lo spettatore in maniera indecente e che distrugge quanto di buono era stato fatto di buono sino ad ora. Le improprie citazioni del Nosferatu il vampiro di Murnau e soprattutto de Il settimo sigillo, scadono nel ridicolo e il twist finale suona più o meno come un calcio nel sedere dato allo spettatore. Per la serie: ‘al momento di tirare le fila del discorso ci siamo accorti che non sapevamo come fare e quindi abbiamo finito il film come se fosse un tema di un bambino di quinta elementare’. Eh, vaffanculo Zampaglione. Ho capito che a livello tematico quel finale può anche essere accettabile (per quanto renda ridicola l’intera vicenda), ma vanifica tutto il lavoro metaforico fatto precedentemente. E perché svelare l’allegoria quando l’allegoria stessa dice già ciò che vuoi esprimere?
Sorretto sulle spalle del mefistofelico attore svizzero Nuot Arquint, "Shadow" ci fa sperare in due cose: che Zampaglione torni alla regia ma che smetta di scriversi le sceneggiature dei suoi film.

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"Shadow", ovvero l'opera seconda che non ti aspetti. Un thriller teso e ritmato con evoluzioni torture porn ed innesti allucinogeni, uno di quei film di genere che difficilmente capita di vedere in Italia e diretto con sorprendente sicurezza da un outsider come Federico Zampaglione, musicista prestato alla settima arte che poco convinse all'esordio col grottesco "Nero bifamiliare". A suo agio sia nei grandi spazi aperti che in situazioni claustrofobiche, il nostro riesce qui a costruire un meccanismo cacciatore-preda che non lascia tregua alternando fughe forsennate ad efficaci capovolgimenti di fronte, dimostrando anche una discreta tecnica nel girato che culmina nella prima lunga sequenza all'interno della tana del (vero) cattivo. Non mancano sottotesti e frecciate antimilitariste e nonostante alcuni escamotage risultino già visti - le soluzioni oniriche sono un tantino abusate - il film regge e fila spedito lasciando traspirare un'aria internazionale (cast e locations aiutano) che al nostro cinema manca come il pane.

da qui

 


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