mercoledì 22 maggio 2024

Laissez bronzer les cadavres - Hélène Cattet e Bruno Forzani

Hélène Cattet e Bruno Forzani girano pochi film, ma buoni, impossibile confonderli con altri film che si vedono in giro.

Laissez bronzer les cadavres è un polar, un western, un heist movie, qualsiasi cosa sia è il come la storia è raccontata, si va avanti e indietro, a cento all'ora o lentamente, con mille colori, e con un sole che fa risvegliare i morti, oltre che abbronzarli, in un angolo di Corsica, in un villaggio abbandonato, ma riabitato temporaneamente da un'artista e un po' di gente di passaggio, a cui non si chiede il curriculum.

momenti di pace, sguardi di fuoco, scoppi di violenza come in un western anni '60-'70, sparatorie alla Tarantino, senza pietà.

cercatelo e godetene tutti.

buona (caotica) visione - Ismaele

 



Laissez bronzer les cadavres, tratto nel 2017 dal primo romanzo del petit miston Jean-Patrick Manchette (scritto insieme a Jean-Pierre Bastid), usa il sole abbacinante della Corsica per un folle regolamento di conti tra eccentrici vacanzieri, una banda di rapinatori in fuga e due gendarmi giunti giusto in tempo per farsi sparare addosso. Sembra un classico poliziesco, ma provate a vederlo (è il più difficile da trovare tra tutti, vi avviso) e vedrete che di classico, se non l’ambientazione e le armi, non c’è veramente nulla…

Procedono per singoli frammenti, estrapolati da una scena data preliminarmente e poi accantonata, come se l’azione fosse composta da pezzi di un meccano montati insieme per fornire una struttura nuova, totalmente stilizzata. Persino astratta.

I frammenti si fronteggiano, si contrappongono, entrano in conflitto. È Ėjzenštejn privato dell’ideologia, senza il simbolo che ne scaturisce. La loro è una concezione sineddochica dello spazio: si concentrano su una parte particolarmente rappresentativa (ed espressiva) dei corpi e ne fanno il veicolo paradossale dell’azione, che di fatto cancellano. La regia diventa una precisa e personalissima interpretazione grafica che, mentre rilegge il cinema di genere, ne offre una riscrittura originale e un’estetica molto seducente. Il fascino di ogni inquadratura è infatti il valore aggiunto di una narrazione che procede grazie a una mostrazione sovraccarica di colori, di impulsi, di motivi e intensità differenti (merito anche dell’abituale direttore della fotografia, Manuel Dacosse). E in cui Cattet e Forzani, in pratica, non raccontano una storia, sollecitano il pubblico con un dialogo continuo tra personaggi e schermo, minacciandolo (o seducendolo) con sguardi in tralice (o umidamente provocanti) e canne di pistola puntate in faccia. È l’origine della visione (ricordate lo sparo verso il pubblico de La grande rapina al treno?) e anche la sua messa in discussione (gli sguardi verso l’obiettivo irretiscono ma rivelano costantemente l’artificio). È il mantra primordiale che si rinnova ibridandosi con le dinamiche di generi già riletti da uno sguardo d’autore e riproposti attraverso lo spettro prismatico della sensibilità postmoderna…

da qui

 

Raccontata così, potrebbe sembrare la trama di un classico film noir, sulla scia di modelli come Cani arrabbiati di Mario Bava, Le iene di Quentin Tarantino e innumerevoli polar. In realtà, qualsiasi materia passi tra le mani dei due registi belgi, cambia completamente forma e sostanza, trasformandosi in qualcosa di diverso rispetto a ciò che possiamo immaginare. Così come Amer e L’étrange couleur des larmes de ton corps erano gialli molto sui generis, sofisticate rielaborazioni stilistiche dei classici del thriller italiano, così Laissez bronzer les cadavres è un unicum, un noir che si svolge in ambienti da western contemporaneo e si trasforma presto in un’orgia visiva pop, psichedelica e coloratissima….

… Tutto incredibilmente assurdo, tutto incredibilmente bello da vedere: Laissez bronzer les cadavres richiede allo spettatore di uscire dai canoni classici del cinema, per abbracciare una fusione panica di innumerevoli elementi visivi e sonori; certo, la vicenda noir si lascia seguire e appassiona lo spettatore, fra sparatorie, sangue, stalli alla messicana e personaggi ben costruiti, ma non è la cosa più importante, perché la regia sembra recuperare una concezione primigenia del cinema come pura Arte Visiva. E quando, sul duello finale tra Rhino e il poliziotto, inizia la nenia infantile di Chi l’ha vista morire? di Aldo Lado (Canto della campana stonata di Ennio Morricone), non si può fare altro che applaudire, perché solo un genio poteva concepire qualcosa di simile.

da qui

 

Nessun commento:

Posta un commento