venerdì 7 giugno 2024

La catene della colpa (Out of the Past) - Jacques Tourneur

Robert Mitchum investigatore sempre più in trappola, Kirk Douglas un cattivo, prima di Spartaco, e una serie di dark ladies che già la metà sarebbero state troppe.

diffida delle donne, sembra la morale della storia.

una sceneggiatura (anche di James M. Cain) che non lascia scampo, in un film ricco, senza tempi morti, con colpi di scena a ripetizione e dialoghi strepitosi.

non perdetevelo, merita molto.

buona (non femminista) visione - Ismaele



QUI il film completo, in italiano


 

Splendido noir dell'età dell'oro del genere, cupo, perso, ineluttabile, completo. Completo perchè a partire da un cast perfetto contiene e sviluppa magistralmente molti dei punti salienti dell'intero filone. Mitchum poi è uno dei grandi veri eroi noir che davanti alla gabbia mortale tesa dal destino, reagisce con un abbandono così inevitabile da risultare epico: il coraggio e la lealtà non vogliono dire necessariamente salvezza, perché in fondo salvarsi in questo mondo è inutile... La misoginia è ai massimi livelli: la donna verginale ed innocente viene 'disintegrata' dalla terribile presenza delle dark ladies, belle, infallibili, perdutamente malvagie. Tutto è (meravigliosamente) codificato per esprimere le paranoie dell'americano medio anni 40, lasciando ben poche possibilità di vedere la luce alla fine del tunnel. Il francese Tourneur dopo i capolavori "horror" degli anni precedenti, centra un must del cinema USA di tutti i tempi, dove i superbi dialoghi portano lo spettatore in uno stato ipnotico magistrale, in balia del commento fuori campo e di uno dei duelli psico/verbali più riusciti della storia della settima arte, Douglas/Mitchum. Nella "Biblioteca del Concresso degli Stati Uniti d'America" tutta la vita! Come al solito i titolisti italiani del periodo, rivoluzionando il concetto dell'originale Out of the Past (fuori-ritorna dal passato) scelsero un titolo più affascinante, ribaltando però l'approccio all'opera con una visione della 'colpa' tipicamente di morale cattolica, mantenendo per fortuna l'idea dell'impossibiltà di fuggire dal proprio fato con l'uso della parola 'catene'.

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Le composizioni visive di Tourneur sono molto interessanti e paiono per certi versi assimilabili ad una idea pittorico-fotografica: simmetrie, contrasti scenografici tra gli sfondi naturalistici e l’opera costruttiva dell’uomo, distanze tra gli attori in ambienti spesso ampi, come il soggiorno della casa di Jim, dominato dalle sue enormi vetrate, quasi un acquario a metaforizzare i due pesci in trappola. O ancora come la casa di Kathie ad Acapulco, in cui Tourneur adotta una soluzione filmica pazzesca, scaricando totalmente sull’immaginario dello spettatore l’azione tra i due amanti che l’autocensura dell’epoca aveva impedito potesse essere minimamente rappresentata. Kathie porta infatti Jeff per la prima volta nella propria abitazione (piena di "mobili di bambù e soprammobili messicani") per ripararsi da una pioggia torrenziale: lui le asciuga i capelli nonostante lei sia riottosa, la bacia sul collo, poi scaraventa via l’asciugamano che finisce su un lume che cascando per terra si spegne, mentre il vento apre le porte dell’ampia dimora. La mdp segue il vento e riprende il giardino con le piante grasse che danno l’idea dell’ambientazione tropicale. Pochi secondi dopo nuovo cambio scena, la mdp ritorna nella stanza riprendendo Jeff che chiude le porte e come se nulla fosse successo (ma è accaduto nella nostra testa) i due si concentrano sulla fuga verso San Francisco. Semplicemente geniale, quasi un emblema del noir seduttivo e maledetto…

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Esta frontera actitudinal de fondo, entre el ansia de felicidad suburbana por un lado, región de los propios e indelegables intereses, y el sentirse bajo el control de terceros incluso más inescrupulosos por el otro lado, como una Moffat que tiende a procurar caer siempre bien parada a pesar de esa perfidia de puñales en las espaldas del protagonista y la criatura del genial Douglas, hoy en su tercer trabajo para el séptimo arte, abarca tanto las amenazas y las trampas a lo telaraña atávica como la hipocresía y una atracción que insta a los zonzos a tropezarse incansablemente con la misma piedra, en este sentido recordemos que la femme fatale de la encantadora Greer cambia de bandos como de bombacha y a fin de cuentas tampoco queda en claro si prefiere el sadomasoquismo de la relación con el mafioso o la aparente utopía de estabilidad futura con el ex detective privado, amén de la meta conjunta e insistente de procurarse un techo, ajustar cuentas pendientes con los canallas titulares o secundarios, llevarse una moneda por servicios amatorios prestados -a Jeff primero le dice que no tomó esos 40 mil dólares de su pareja, sin embargo el susodicho los encuentra en una libreta bancaria- y/ o tratar de evitar el presidio, su destino más probable a raíz de esa propensión a disparar contra machos exaltados del montón. Tourneur, en gran medida, con el fluir de los años se convertiría en el modelo ineludible del cineasta de raigambre Clase B, un técnico consumado en el difícil arte de mantener elevada la tensión y un autor polirubro que sin grandes discursos se movía a sus anchas en la dialéctica de lo obvio, léase esto de señalar las disyuntivas del canibalismo comunal y los puntos muertos y las zonas grises a escala ética de los rediles a veces interconectados del amor, los negocios, las amistades y los vínculos públicos y privados más heterogéneos. A la mentira como moneda de cambio se suma toda esta elegancia decrépita y la pretensión de “no interferencia social” de los sujetos como si dicho afán fuese un derecho a la memoria o a su contracara, la amnesia, que no tolera imposiciones del exterior, latiguillo retomado en la floja remake de los años 80, El Poder y la Pasión (Against All Odds, 1984), de Taylor Hackford, y en muchas obras por venir de arcanos sórdidos y autopistas hacia una efusividad dormida, como Una Historia de Violencia (A History of Violence, 2005), de David Cronenberg, y Nadie (Nobody, 2021), de Ilya Naishuller, por ello aquí el castillo de naipes de la estación de servicio y la esposa en ciernes del personaje de Mitchum, enorme bestia sagrada de la pantalla cuyos ojos, gestos, semblante sereno y disposición física cuasi felina agazapada están planeados al dedillo, viene a tapar el dolor por la desaparición facilista y cobarde de la femme fatale, suerte de ortopedia emocional de los recuerdos que se desarma cuando alguien reconoce al yo oculto del pasado y a éste no le queda otra opción más que salir de la oscuridad, renunciar a su “segunda oportunidad” hollywoodense marca registrada y retornar al huracán de traiciones, juegos mentales y máscaras de la más variada naturaleza para ya dejar de autoengañarse y aceptar que algunas decisiones de antaño no tienen marcha atrás ni pueden perdonarse.

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