domenica 29 ottobre 2023

Killers of the Flower Moon - Martin Scorsese

Martin Scorsese non sbaglia un film da sempre, che il dio del Cinema lo conservi.

con una colonna sonora di Robbie Robertson (uno che di musica e indiani se ne intendeva) il film racconta una storia di rapina coordinata e continuativa ai danni delle tribù degli Osage, che abitavano in territori ricchi di petrolio.

il padrino della storia è William Hale (Robert De Niro), un padre padrone, amico paternalistico degli indiani Osage, regista del furto delle loro terre. Ernest (Leonardo DiCaprio) è il suo protetto, un uomo senza qualità, che sposa Mollie (Lily Gladstone), lei lo ama, lui forse, ma per conto del padrino, vuole i soldi di lei.

una scena sembra inutile, ma probabilmente è la più strana e rivelatirce del Potere.

il padrino fa parte della massoneria (quella di rito scozzese?), il Potere vero, Scorsese ci parla dell'oggi, di come nascono le ricchezze, le pulizie etniche, i furti di terre, e la massoneria regista e dominus di tutti.

il film dura tre ore e mezzo, sembra molto, ma tutti i minuti sono necessari per la storia, un western giallo, con l'FBI che riesce a dipanare la matassa.

il film è in molte sale, per fortuna, e lo stanno guardando in tanti, con sommo piacere, voglio pensare.

buona (imperdibile) visione - Ismaele


 

Con Killers of the Flower Moon Scorsese realizza il suo film più spirituale, ancor più di Silence: i paesaggi metafisici alla Wyeth sono il limbo cui sono confinate le anime; le visioni oniriche interpretano l’abisso interiore; mentre la ferocia primordiale ammantata di civiltà di De Niro/William Hale ci rimanda al male ineluttabile connaturato allo spirito dell’uomo.
Un film del genere, privo del gusto brillante della violenza, privo del piacere del sangue, ci lascia con un quadro impressionante e desolato del ciclico destino dell’uomo. C’è tanto presente rintracciabile nella Storia messa in scena da Scorsese, e di rado ho visto un film così narrativamente equilibrato e perfetto nei ritmi, nella costruzione psicologica dei personaggi (alcuni episodi hanno la poesia di un Edgar Lee Masters) e nel movimento temporale. La chiusa, bellissima, ci ricorda il piacere evocativo della rappresentazione. Killers of the Flower Moon rigetta l’eccesso, il sensazionalismo e la velocità per adottare un’estetica silenziosa e incorporea. Il cinema di Scorsese è divenuto un fantasma che cammina nella violenza del presente.

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In questo film che è un giallo, un mélo, un dramma storico, un legal thriller e – soprattutto – l’indagine forse definitiva sulla nascita di una nazione, genere a sé del cinema USA, l’81enne (quasi) Scorsese regola i conti anche con tutto il suo cinema. Killers of the Flower Moon è un’età dell’innocenza infranta, un racconto di goodfellas e di gangs, un teatro di infiltrati, con una (ultima) tentazione di spiritualità e natura eternamente profanata e il colore (nero) dei soldi che trasforma anche i più apparentemente candidi, vedi l’Ernest Burkhart di DiCaprio, in tassisti scatenati – il personaggio è, del resto, un autista.

Nel fare i conti col suo cinema, Scorsese dirige per la prima volta sul grande schermo i due feticci della sua opera: Robert De Niro che, in un filo che lega Taxi Driver a Quei bravi ragazzi a Cape Fear a The Irishman, resta l’essere diabolico che inizia al male, ma che dal male viene travolto; e Leonardo DiCaprio, l’anima fatalmente buona che si ritrova per destino avverso a scoprire il lato di sé più corrotto o corruttibile, in quel suo eterno romanzo di (de)formazione che va da Gangs of New York a Shutter Island.

Nel discorso che fa sul cinema suo e pure, dicevo all’inizio, sulla forma elastica e in progress che sta vivendo quest’arte oggi, Scorsese chiede allo spettatore inebetito da TikTok di passare 3 ore e 26 minuti in sala. E questo, in fin dei conti, è probabilmente l’atto più politico di tutti.

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Mentre scriveva Killers of the Flower Moon, il giornalista David Grann si è recato in Oklahoma per incontrare i membri della Osage Nation, tra cui la nipote di Ernest e Mollie, Margie Burkhart. Mentre era lì, interviste e archivi hanno portato alla luce prove di morti più misteriose nella contea di Osage su cui non si era mai indagato.

La ricerca di Grann lo portò a concludere che l’uccisione sistematica degli Osage per i loro diritti sul petrolio era “una vasta operazione criminale che stava raccogliendo milioni e milioni di dollari” attraverso frodi assicurative, appropriazione indebita e persone non Osage che uccidevano i loro coniugi Osage per denaro. William Hale ed Ernest Burkhart avevano pagato per i loro crimini, ma “ogni elemento della società era complice di questo sistema omicida”. E la maggior parte dei carnefici era riuscita a farla franca, scappando con milioni di dollari in ricchezza Osage. La storia è dunque complicata e non ancora del tutto alla luce del sole, e non c’è da stupirsi se l’occhio di Martin Scorsese è rimasto sedotto da questa storia tanto dal volerla raccontare al cinema!

Martin Scorsese, il suo cast e la troupe hanno trascorso molto tempo con gli storici di Osage e i leader della tribù durante lo sviluppo dell’adattamento cinematografico di Killers of the Flower Moon. Secondo quanto riferito, Scorsese e il suo co-sceneggiatore Eric Roth hanno riscritto la sceneggiatura dopo questi incontri, cambiando il fulcro della storia e spostandolo dalla formazione dell’FBI alla cultura e alle esperienze del popolo Osage. In una conferenza stampa successiva alla première mondiale del film, l’attuale leader della nazione Osage, Chief Standing Bear, ha descritto Killers of the Flower Moon come una storia sulla fiducia – tra Mollie e suo marito, così come tra gli Osage e il mondo esterno – e il “profondo tradimento” di quella fiducia. “La mia gente ha sofferto molto e fino ad oggi questi effetti sono con noi”, ha detto. “Ma posso dire, a nome degli Osage, che Martin Scorsese e il suo team hanno ripristinato quella ferita, e sappiamo che la fiducia non verrà tradita.”

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La storia di Killers of the Flower Moon si dipana gradualmente, seguendo il ritmo di una caccia spietata ma mai frenetica - la colonna sonora blues e rock di Robbie Robertson è quanto mai decisiva - come se ci fossero nascoste fisicamente delle trappole pronte a falciare animali inermi.

Se in un primo momento si poteva pensare a Killers of the Flower Moon come un western, vedendo il film di Scorsese la sua collocazione sembrerebbe guardare al noir. 

D’altronde John Ford ha insegnato che nel West se la leggenda diventa realtà vince la leggenda, e con l’epica dei racconti delle Grandi Praterie il massacro del popolo degli Osage non ha nulla a che spartire. 

Non è un caso perciò che uno dei colori predominanti in Killers of the Flower Moon sia il nero, un colore che assorbe la luce, che dà respiro al buio favorendo il branco di lupi pronto a fagocitare la terra pregna di sangue, depistando poi i segni di morte e del massacro compiuto. 

È un’opera silente sul Male quella di Martin Scorsese, visceralmente statunitense per come guarda alla bandiera a stelle e strisce con la consapevolezza della sua natura, vile e conquistatrice…

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Martin Scorsese mette nuovamente a nudo la malvagità dell’animo umano, la sua colpa e rivela uno dei (tanti) peccati americani della nascente (e forse anche presente) nazione statunitense. Una pagina di storia troppo spesso taciuta. Una prevaricazione che attraverso la scusa degli affari giustifica soprusi, violenze e delitti.

La fotografia perfetta, le interpretazioni magistrali, un consolidato e puntuale montaggio, una sceneggiatura estremamente curata fanno di “Killers of the flower Moon” un ennesimo capolavoro della filmografia del regista americano.

Lo spettatore potrebbe essere spaventato dalla durata “extra large” del minutaggio del film ma la trama viene sviluppata anche attraverso una sorta di thriller “a carte scoperte”. Un intreccio di malefatte sotto la luce del sole, talmente palesi da sembrare quasi irreali ma, purtroppo, ribadiscono la cattiveria di una parte della società degli anni ’20 americani che poi sarà la base per la creazione di altri “affari” quali mafia, gangster e malavita organizzata in generale.

“Killers of the flower moon” è un film che necessita di essere visto al cinema, con la concentrazione di non perdere nemmeno un minuto di un racconto che sarebbe delittuoso relegare alla sola visione distratta dello streaming.

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la prova di Robert De Niro è magistrale, in decisa controtendenza rispetto alle ultime interpretazioni, abbastanza deprimenti perché inserite in film stupidi: interpreta un vecchio patriarca dalle espressioni contrite e dall’azione manipolatoria e spietata, un finto amico degli indiani che si muove come la versione cerebrale del Robert Mitchum de La morte corre sul fiumeDiCaprio, invece, pare intrappolato in una recitazione a scatti, preda di tic non sempre motivati e di reazioni talvolta fuori sincrono, pur avendo il ruolo più interessante, quello di un personaggio stretto tra passione, obblighi di devozione e una friabile personalità…

la regia di Scorsese è quasi ipnotica: i movimenti di macchina accompagnano l’incedere dolente dei personaggi; i primissimi piani, soprattutto quelli sulla maschera di progressiva sofferenza di Lily Gladstone, la moglie indiana (e ricca) di DiCaprio, sono superfici in cui lo sguardo si fissa per smarrirsi, cullato da parole caratterizzate sempre da un senso duplice e occulto, espresse in una forma che nasconde una minaccia tesa all’annullamento della persona per assumerne funzioni e prerogative. A fare da collante al tutto, il soffuso accompagnamento musicale di Robbie Robertson, ex membro della Band e quindi già protagonista con Scorsese de L’ultimo valzer, quando la Band si sciolse, e mezzo indiano, perché la madre era una Mohawk. La musica di Robertson ha i toni del dark western, sembra un mantra funebre ossessivo che ambienta e angustia, tanto più se si pensa che quello che si sta ascoltando è il testamento del musicista, morto subito dopo aver ultimato il film, nello scorso agosto…

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1 commento:

  1. L’Enel è stata condannata a risarcire una tribù di nativi americani:

    https://www.pressenza.com/it/2024/01/lenel-e-stata-condannata-a-risarcire-una-tribu-di-nativi-americani/

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