martedì 24 ottobre 2023

Dogman - Luc Besson

il film inizia così: "Ovunque ci sia un uomo infelice, Dio manda un cane a tenergli compagnia."

la storia è così verosimile da essere in realtà vera, quella di un bambino chiuso in gabbia con i cani, che ha colpito Luc Besson.

protagonista è un bambino che non dimentica i suoi amici fedeli e sinceri.

i cani non sono 101, sono solo 65, e tutti bravissimi.

l'interpretazione di Caleb Landry Jones, che è Dogman, è da premio Oscar, al festival di Venezia erano distratti, non se ne sono accorti.

il film è stato abbastanza maltrattato dai critici laureati, e anche in sala ha avuto poco successo, peccato per chi non l'ha ancora visto.

buona (canina e imperdibile) visione - Ismaele

 


ps: il film ricorda, per i cani, e per l'ultima scena, White god, di Kornél Mundruczó



 

 

Dogman è senza dubbio un film che merita di essere visto, e ancor di più è un film che, nonostante tutto, merita di essere amato, più che compreso. In un'ora e mezza circa, LucBesson mette tanta, forse troppa, carne al fuoco: il tema universale della famiglia, la fragilità umana, il rapporto tra l'uomo e il cane, la potenza del teatro, l'emarginazione, il fanatismo religioso, la disabilità, la fluidità di genere e chi più ne ha più ne metta. Altrettante sono le piste narrative affrontate con il linguaggio dei piu disparati generi cinematografici. Con spiazzante disinvoltura Besson passa dal thriller al drammatico, dall'action movie all'horror... Non mancano neppure scene che per usare un eufemismo rasentano il ridicolo, come quelle in cui i cani sono capaci di compiere azioni degne del miglior Tom Cruise in Mission Impossible, di Una Thurman in Kill Bill e perfino di Macaulay Culkin in Mamma ho perso l'aereo. I dialoghi, talvolta interessanti e molto accattivanti, sono per il resto pieni di banali luoghi comuni come la battuta "Più conosco gli uomini più amo i cani..." Ma ciò che rende Dogman un buon film sono tre elementi: il ritmo sempre incalzante; una trama capace di evocare tutta una serie di emozioni capaci di far dimenticare i passaggi meno convincenti del film; la performance immensa del protagonista Caleb Landry Jones, Dogman è un film che non va capito: lo guardi e ti lasci travolgere dalle emozioni, ignorando la necessità di doverti sempre spiegare tutto, perché in fondo funziona così ogni volta che si ha la fortuna di avventurarsi nel meraviglioso mondo delle favole!

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Ma cosa in fondo riscopre Besson? La pulsazione urbana che ci guida e ci rispecchia. Non antropomorfizza il non umano, ma difende la sua diversità, nella caratterizzazione della modernità. Quella pulsazione l’avverti dai sotterranei in cui si nasconde Douglas, in cui ha costruito una trappola perfetta per gli invasori del mondo soprastante. DogMan è una folata dark, un torrente insalubre. Forse è per questo che la sua sagoma su una sedia a rotelle si aggira per la metropoli, per le strade di celebri serial-killer, della cronaca nefasta. Anche la fugacità di un amore si mostra, per colei che, in età adolescenziale, gli ha insegnato ad amare il teatro, ad amare il travestimento, ad amare l’esibizione. Cattura quella fugacità, il fascino degli sguardi, perché Besson ha fatto un altro prepotente passo verso nuovi incontri, cattura quella seduzione e quella sensualità che la città offre a ogni angolo. Luc Besson però è anche stavolta un fenomenale sabotatore, non è il supereroe Douglas che cammina con noi e per noi, lo può fare solo per brevi spostamenti e può restare in piedi pochi istanti, il tempo di chiudere il sipario, prima di ripiombare a terra. La vendetta è servita verso se stesso, i suoi numerosi detrattori, in omaggio al suo cinema e i suoi personaggi preferiti e soprattutto a favore di quella costante attrazione per la maschera del disertore autoriale e l’inarrestabile, ancora una volta e per sempre, riflesso malinconico errante dei suoi ineguagliabili, ai più, orizzonti filosofico/scientifici.

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…Il film si apre con l'arresto del protagonista - un Caleb Landry Jones ormai specializzatosi in ruoli di figure ai margini della società - e si svolge diegeticamente lungo le 24 ore successive.  

Come spesso accade nel Cinema di Luc Besson sono i flashback a fare buona parte di costruzione del background del protagonista.

Malgrado abbia perso completamente la fiducia nel genere umano - tanto da preferire la compagnia canina e trovare sollievo solo nel travestimento, nella lettura e nel teatro - Doug non lesina atti di benevolenza, in piena coerenza con alcune delle figure più note della carriera del regista.

Luc Besson ha curato anche la sceneggiatura e la produzione del film e si è cimentato dunque nella preparazione di un prodotto che ormai padroneggia a memoria: un mix di dramma e thriller, su un reietto della società che riceve una seconda opportunità. 

Dogman contiene comunque diverse contaminazioni: con il suo tono generale quasi favolistico sembra richiamare al Cinema per ragazzi, ma le sue venature di violenza e di genere non ne permettono un'agevole catalogazione. A volte i fidi ed empatici cani di Doug si muovono come sgherri al servizio di un gangster e, per qualche minuto, il film si tinge di tinte da heist movie con una divagazione a dir poco bizzarra.

Il tutto mentre Doug oscilla tra follia ed empatia, imita Edith Piaf in un locale notturno, minaccia i criminali della zona e decanta in ogni modo il suo amore per i cani. 

Nel complesso, pur con tutti i suoi eccessi, Dogman dona a mio avviso dei momenti di Cinema in grado di toccare disparate corde in ogni categoria umana nel pubblico, con il rischio di indispettire gli spettatori in alcuni momenti, ma certamente senza mai lasciarli indifferenti…

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“Dog” è “God” al contrario. Stesse lettere, un semplice anagramma che si fa spazio in alcune scene anche con una certa evidenza grafica. Tutto il film comunque rimanda a una religiosità e credenza in Dio che è molto diversa a seconda dei personaggi che si incontrano.

Padre e fratello di Douglas risultano dei fanatici bigotti che non mettono in pratica nulla di quanto leggono o apprendono tramite la Bibbia. Douglas ne condivide un certo spirito, è fortemente credente a livello personale ma è ugualmente violento. “DogMan” presenta anche delle immagini create utilizzando la croce come simbolo incastrando il protagonista in una scenografia che, al tempo stesso è veicolo narrativo.

“Il cane è il dono di Dio a chi ha una ferita che procura dolore”

Questo l’incipit del film che troverà anche soluzione nella scena finale. Un film che tiene lo spettatore sempre in tensione e in modo fortemente ematico con il protagonista che racconta la sua storia per tappe. Malgrado, in questo caso, il fine non giustifica i mezzi, la figura di Douglas è molto ben scritta ed interpretata. Il film è sicuramente da vedere.

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…possiamo parlare bene quanto vogliamo di Dogman e dei virtuosismi registici di Besson, eppure sarebbe inimmaginabile concepire Dogman senza la sua star: Caleb Landry Jones è talmente magnetico e intenso che non si può non trepidare e "tifare" per lui, pur consapevoli del suo destino segnato. La sua performance è straordinaria (non si capisce come non abbia vinto la Coppa Volpi a Venezia, dove il film era in concorso, ma vedrete che sarà di sicuro tra i nominati agli Oscar) e riesce ad esprimere magnificamente il dolore e l'orrore di una vita talmente "particolare" e drammatica, specchio della sua terribile sofferenza e solitudine, alleviate solo dalla presenza simbiotica dei cani. Perchè, come si legge nella didascalia ad inizio film, "Ovunque ci sia un uomo infelice, Dio manda un cane a tenergli compagnia."

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Dogman è un gran bel film umano e umanista. E ciò proprio in virtù di trattare, in modo affascinante e pieno di colpi di scena, un caso drammatico di autismo e isolamento assoluto. Un film anche inconsueto e intenso, ottimamente recitato, oltre che dal protagonista, dalla psicologa altrettanto piagata dalla vita come Doug e dal cui interrogatorio apprendiamo il succedersi della storia. Senza parlare ovviamente della bravura espressiva dei cani (tutti di razze diverse) e della loro capacità di eseguire gli ordini ricevuti (altro che attori-cani!).

DogMan, dunque, vive e si illumina sull’idea che mentre la società non ti aiuta a guarire, è l’amore degli animali per il loro padrone il fattore catalizzante e salvifico, ed esso porta il reietto Doug a raggiungere la sua serenità finale in un finale quasi cristologico davanti ad una chiesa. Ma sì facciamo, come ci chiede il regista, il “tifo” per il nostro protagonista.
Assolutamente consigliabile per la sua ottima tavolozza di emozioni anche a chi predilige solo i felini.

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… è innegabile come Dogman sia, prima di ogni altra cosa, un affascinante viaggio all’interno di una psiche in tumulto. Dagli abusi paterni, rinchiuso in gabbia insieme ai cani, sino alla parentesi come sfrenata mimesi drag di Édith Piaf, il protagonista del film sviscera tutto se stesso, appellandosi al suo statuto di emarginato, all’amore dei cani (che, sostiene Douglas, sono capaci di amare di più dell’uomo), alle possibilità che gli sono state precluse a causa delle sue difficoltà a camminare. Douglas è un uomo sofferente, fragile, smarrito tra gli orizzonti di un mondo disconnesso che lo ha rigettato.

Tutto il resto è sfondo, in una tela narrativa che si rivela progressivamente come una parabola dal sapore quasi cristologico, con il rapporto con il divino che assurge per Douglas ad unica chiave interpretativa rimasta per cercare di attribuire un senso alla sua vita. Si tratta di uno studio del personaggio potente e inaspettato, guidato da un Caleb Landry Jones pienamente calato nella parte, afflitto, abbattuto, a tratti animalesco, ma anche incredibilmente lucido e divertente nei suoi spettacoli come drag queen, teatrale, sentimentale e passionale, in quello che è il miglior film di Besson dai tempi de Il quinto elemento.

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…Identità fortissima quella di Caleb Landry Jones, attore che si porta sulle spalle l’intero peso del film. Jones riesce a caratterizzare Douglas in maniera tutt’altro che superficiale, riuscendo nel difficile equilibrio di mostrarsi fragile e duro, perverso e gentile. Per tutte le due ore di durata del film, come spettatori potremmo avere tutte le ragioni per odiare il protagonista, ma questo sentimento non ci colpisce mai. E se risulta veramente difficile poter tifare per lui (anche se in certe occasioni l’empatia si fa più forte), non manca mai quella sensazione di comprensione della persona, essenziale per la riuscita del film.

Ma è soprattutto nel modo in cui parla, specie con gli occhi, che Jones primeggia. Capace di cambiare il tono del film nel giro di un’inquadratura, in un sorriso malizioso, nel modo in cui osserva ciò che sta intorno a lui, lasciando trasparire rabbia, rassegnazione e rancore, il suo Douglas è uno dei personaggi più forti visti finora al Festival di Venezia 2023. Tanto che, nonostante un finale in cui si tenta un’emozione maggiore, troppo ricercata per poter colpire con forte sincerità, adombra tutto il resto del cast, davvero troppo anonimo. Ad eccezione dei numerosi cani che riempiono la storia, capaci di colorare non solo l’esistenza del protagonista, ma parecchie scene del film. Anche in questo caso il rapporto tra l’uomo e l’animale regala una particolare alchimia che eleva il film…

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"Ovunque ci sia un infelice, Dio invia un cane."

E con questa frase del poeta Alphonse de Lamartine, Luc Besson apre il suo film e ci fa immergere in un mondo in cui l’infelicità la fa da padrone. Senza sconti per nessuno.

E forse per questo motivo che per tutto il film sono rimasto incollato alle sofferenze del protagonista, al modo con cui sono state raccontate, alle emozioni e alle lacrime che la narrazione di Luc Besson ci porta. Senza toni ricattatori, l’empatia nasce spontanea come quando due anime gemelle si incontrano per la prima volta.

Alla base di Dogman c’è la storia vera di un ragazzo cresciuto dentro una gabbia e che ha toccato profondamente il regista che ha deciso di rappresentare il dolore, di come le violenze giovanili possano segnare e trasformare per sempre le persone tirando fuori quel lato cattivo che non credevano di avere.

Il film si apre con l’incontro di due anime lacerate dalla vita: da una parte Douglas un ragazzo in sedia a rotelle travestito da Marilyn Monroe e dall’altro una psichiatra svegliata nel cuore della notte che deve capire il segreto che si cela dietro questo stranissimo personaggio.

E così Douglas racconta il suo dolore all’unica persona che lo può capire perché i diversi si annusano, si riconoscono e si scelgono. Un po’ come successe tra Leon il killer bambino e Matilda la bambina killer o Nikita la tossica che nessuno vuole, riprogrammata per fare giustizia ma non per amare.

Douglas è un ragazzo cresciuto tra le botte senza motivo di un padre violento e l’anaffettività di una madre troppo debole per difenderlo che preferisce la fuga per una vita migliore. Costretto a vivere dentro una gabbia in compagnia dei cani che il genitore allevava per i combattimenti clandestini, oppresso da una religiosità invadente che tutto accetta “In the name of God”. Un God che rovesciato diventa un Dog che indirizzerà per sempre la vita del giovane Douglas.

Luc Besson decide di rappresentare questa vita dolorosa facendo un mix di generi ma risultando un’opera comunque originale, con una sua personalità che evidenzia la mano autoriale del regista.

Si inizia come un racconto Dickensiano dove i continui maltrattamenti costringeranno il protagonista all’immobilismo e dove la sedia a rotelle è sia salvezza che strumento di tortura visto che lui può stare in piedi e camminare solo per qualche minuto altrimenti va incontro a morte certa. Si trasforma in un’illusoria storia d’amore contrassegnata da tutta la poesia e la crudeltà di William Shakespeare, fino ad arrivare al più classico degli action movie con tanto sangue dove il protagonista si trasforma in un Villain/ Eroe accompagnato dal suo esercito fedele composto da cani di tutte le razze disposti a tutto per di difendere il loro capo branco.

Il grande merito di Besson è di aver scelto come protagonista un Caleb Landry Jones, già vincitore come migliore attore un paio di anni fa a Cannes, in stato di grazia che condensa sul suo corpo tutto lo strazio del dolore subito trovando conforto e protezione nella trasformazione di genere dentro un Queer Club.

E così tra un’intensa e disperata Edith Piaff e una seducente e conturbante Marlene Dietrich, compie il suo percorso verso il suo destino.

Dogman è un bellissimo film che parla di salvezza e redenzione, di diversità e dolore, di ricerca dell’amore totale che si trasforma nella scoperta dell’amore non convenzionale.

Il tutto all’interno di una valle di lacrime che sia quella dove vive il protagonista sia quella che sgorga dagli occhi dello spettatore al termine delle 2 emozionanti ore.

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2 commenti:

  1. Dici sia stato maltrattato dalla critica? A me pareva invece il contrario... durante la Mostra di Venezia i consensi erano unanimi, semmai era stata la giuria a non prenderlo in considerazione (trovo incredibile che Caleb Landry Jones non abbia vinto la Coppa Volpi come miglior attore). Ad ogni modo, a me è piaciuto tantissimo (e non sono un fan di Besson)

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    1. guarda la differenza:

      https://www.imdb.com/title/tt17009348/criticreviews/?ref_=tt_ov_rt


      https://www.imdb.com/title/tt14225838/criticreviews/?ref_=tt_ov_rt

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