lunedì 23 ottobre 2023

Kafka a Teheran - Ali Asgari e Alireza Khatami

dialoghi monchi, l'autorità, chi comanda, chi opprime non si vede, non ne ha bisogno, gli autori non ce li mostrano, gli oppressori, forse anche questa è una forma di (giusto) disprezzo.

i nove perseguitati, a vari livelli, umiliati e offesi, devono difendersi, giustificarsi, soffrire per (non) ottenere dei minimi diritti civili e umani.

se in qualche momento si sorride, passa subito, non preoccupatevi.

al cinema in pochissime sale.

buona (terribile) visione - Ismaele

 

 

…La potenza della parola diventa a tutti gli effetti onnipresente grazie allo stile minimal scelto dai due registi iraniani: la colonna sonora è quasi del tutto assente, a nove episodi – escludendo l’epilogo catastrofico – corrispondono nove long take a telecamera fissa, dove ad essere inquadrati sono soltanto gli accusati, mentre gli inquisitori restano sinistramente sullo sfondo. Lo spettatore, dunque, si ritrova catapultato su scene spiazzanti e a tratti orrorifiche, i cui dialoghi presentano per giunta chiare venature grottesche. Scene di vita quasi kafkiane, dove la risata, se c’è, è amarissima e si eclissa immediatamente nell’assurdità della vicenda narrata. Da qui si spiega il titolo italiano Kafka a Teheran: meno impattante dell’originale, ma tutto sommato valido.

Al terribile realismo dei nove episodi fa infine da contrappunto un epilogo ricco di simbolismi, che sembra richiamare certi film massimalisti di un certo cinema occidentale. Il terremoto che scuote le fondamenta di un intero paese, la natura che si riprende i suoi spazi a discapito dell’uomo piccolo e impotente. Necessità e oblio, materialismo e distruzione raccontati in chiave magistrale prima da Robert Altman in Short Cuts – America oggi in Italia -, e poi dal suo allievo Paul Thomas Anderson in MagnoliaL’umanità annientata per la sua disumanità, e di conseguenza lo scotto pagato paradossalmente da chi cerca di raccontare questa concreta possibilità, come testimonia il fatto che a uno dei due registi di Kafka a TeheranAli Asgari, è stato confiscato il passaporto e proibito di realizzare un nuovo film.

da qui

 

 

I due registi hanno fatto un lavoro di resistenza civile che deve essere costato non poca fatica, espedienti e rischi e che non avrà spazio di visione in Iran. Perché questo è un cinema di denuncia sociale che, con grande semplicità di mezzi e con un approccio estremamente diretto alla realtà, sa comunicare con efficacia il proprio grido di ribellione molto più di altre opere formalmente elaborate ma distanti anni luce da una fruizione non intellettualisticamente di nicchia...

da qui

 

 

Kafkiana, appunto. A raccontarcelo, con uno stile essenziale e sempre uguale (macchina da presa immobile, un solo soggetto in campo a duellare a parole con il vessatore di turno di cui udiamo soltanto la voce), sono due registi - Ali Asgari e Alireza Khatami - che rinfoltiscono la schiera di una delle migliori cinematografie al mondo, costretta quasi costantemente nella cattività di spazi raccolti, inosservabili dall'esterno, che permettano di girare film coraggiosissimi come questo. Ai capolavori di Farhadi, Majidi, Javidi e Jalilvand si aggiunge questa opera insolita, aperta e chiusa dalla minaccia sorda del terremoto, metafora di una nazione fatta di burocrazia ottusa, maschilismo imperante, abusi di potere, fondamentalismo religioso: tutto quello che, con altrettanta rapidità, potrebbe diventare l'Occidente in un futuro distopico non così lontano.

da qui

 

non c'è mai un colpevole, poichè chi è nascosto dalla telecamera e guarda il giudicato osserva regole indiscutibili poichè scritte nel libro sacro e quindi insindacabili, anche nel momento in cui non si è liberi di togliersi il velo nemmeno nella prorpia casa, se qualcuno dalla finestra può vedere.

e non è il vedere l'atto criminoso, se mai ci fosse del crimine nel vedere; bensì l'essere guardato o peggio guardata.

poichè il vedere implica l'essere vista.

possedere tatuaggi di una nota poesia iraniana non è ritenuto normale, ma sentirsi chiedere di spogliarsi integralmente di fronte ad un funzionario statale per mostrarglieli, lo è.

è un crimine avere i capelli corti per non poter fissare il velo con le forcine; è un crimine prendere un antiacido, possedere un cane(animale considerato impuro), essere una bambina a cui piace ballare, capirai il non conoscere versi del corano.

il potere vuole sapere il perchè di ogni cosa, il perchè di un anti acido, il perchè di una maglietta con su topolino; il potere impone cosa è normale e cosa non lo è.

il potere ti concede di fare domande, ma il fare domande potrebbe essere considerato sconveniente; se non hai nulla da nascondere perchè insistere a chiedere…

da qui

 

A raccontarcelo, con uno stile essenziale e sempre uguale (macchina da presa immobile, un solo soggetto in campo a duellare a parole con il vessatore di turno di cui udiamo soltanto la voce), sono due registi - Ali Asgari e Alireza Khatami - che rinfoltiscono la schiera di una delle migliori cinematografie al mondo, costretta quasi costantemente nella cattività di spazi raccolti, inosservabili dall'esterno, che permettano di girare film coraggiosissimi come questo. Ai capolavori di Farhadi, Majidi, Javidi e Jalilvand si aggiunge questa opera insolita, aperta e chiusa dalla minaccia sorda del terremoto, metafora di una nazione fatta di burocrazia ottusa, maschilismo imperante, abusi di potere, fondamentalismo religioso: tutto quello che, con altrettanta rapidità, potrebbe diventare l'Occidente in un futuro distopico non così lontano.

da qui

 

Lo sfondo macroscopico è Teheran dove milioni di persone vivono una guerra ininterrotta ai lati opposti di un fronte ipotetico, che la divide: una moltitudine in cerca di normalità ed un’altra composta dai fanatici del regime dietro cui nascondono i propri soprusi. Censura e ricatto, ed una legge sacra da esibire come giustificazione contro il peccato di volere un’esistenza ordinaria priva di stupidi divieti. La morale è abbastanza chiara, il male non si nasconde nell’ombra, è radicato nel territorio e si alimenta grazie alla corruzione e le delazioni. Il tono complessivo è in linea con la premessa di normalità e di poco artefatto, e le drammatiche conseguenze nascono da un clima dai tratti aberranti, provocando lo sdegno dopo aver soffocato una risata amara.

Regrediti dopo la rivoluzione Khomeinista, ormai passato remoto, i diritti civili in Iran hanno subito una drastica battuta d’arresto, riservando alle donne la condanna più pesante, quella di essere il bersaglio preferito dei fondamentalisti, come il film non manca di rimarcare. La piccola durata, poco più di settanta minuti, non intaccano l’enorme valore politico di denuncia e la potenza del messaggio, una voce che con il suo disappunto intelligente, nei modi e nei tempi ordinati spinge a lottare ogni giorno contro chi vorrebbe ridurti al silenzio.

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