sabato 18 luglio 2020

L'assassinio di un allibratore cinese - John Cassavetes

Cosmo gestisce il suo club di intrattenimento e spogliarello con la stessa cura di un buon padre di famiglia, attento al personale, e tratta le ragazze come amiche, una è anche la sua fidanzata.
sopravvivere in quel mondo spietato di strozzini e squali è quasi impossibile, ma Cosmo riesce a non essere come loro.
fino a che non si fa fregare dalla mafia. 
ha un debito di gioco , e deve pagare entro poche ore.
non ha i soldi, ma gli amici mafiosi gli chiedono, lo obbligano a un lavoro estremo.
senza Cosmo la società dello spettacolo si priva di uno dei suoi migliori esponenti.
il film è bellissimo, se non si è capito.
ci sono diverse versioni, quella "vera" è da 210 minuti (circa), è passata a Fuoriorario un po' di anni fa, frugando in rete si trova ancora.
buona imperdibile visione - Ismaele





“L’assassinio di un allibratore cinese” rappresenta uno dei punti più alti della “poetica” cassavetesiana e uno dei suoi film più belli e più “suoi”. Si perché tra l’altro Cosmo Vitelli è uno di quei personaggi che più somigliano al suo creatore/regista: Cosmo si oppone alle regole della malavita proprio come Cassavetes fa dell’opposizione al cinema tradizionale ed hollywoodiano uno dei suoi principi di vita e di lavoro. Dunque Cosmo/Ben Gazzara è l’alter ego di Cassavetes, e “ciò che rende il personaggio di Cosmo – santo e farabutto insieme – così commovente è la relazione col suo alter ego rappresentato dal regista: il prode impresario e figura paterna di un collettivo sgangherato (la troupe di Cassavetes?) deve compromettere i suoi valori per mandare avanti la piccola famiglia” (Jonathan Rosenbaum).
Cassavetes dovette spiegare esplicitamente tutto questo all’amico Ben Gazzara, al quale inizialmente non piaceva affatto il personaggio che Cassavetes gli voleva fare interpretare.  E allora Cassavetes spiegò all’amico attore che i gangster nel film erano la metafora di coloro che cercano costantemente di rubare o rovinare i sogni delle persone per bene. Ad un certo punto Cassavetes comincio’ ad urlare con l’amico/attore e Gazzara andò oltre la stessa metafora usata dal regista, perché comprese che in realtà il personaggio di Cosmo Vitelli rappresentava appunto John Cassavetes  e che il film era una metafora della possibile rovina dei sogni del regista…

Un poliziesco? Forse. Un noir? Può darsi. Un gangster movie? Probabile. Un melodramma? Anche. In realtà “L’assassinio di un allibratore cinese” è tutte queste cose messe assieme. Cassavetes, da grande anarchico del cinema qual era, mescola i generi più disparati per poi mandarli all’aria, con l’obiettivo di realizzare un’opera sperimentale, perfettamente coerente con la sua idea di cinema indipendente, libera cioè da ogni schema precostituito. Cassavetes, poi, trova nello straordinario Ben Gazzarra – che praticamente compare in ogni singola inquadratura del film – un complice perfetto per mettere in scena la deriva esistenziale di Cosmo Vitelli, un proprietario di un modesto nightclub che finisce stritolato da un meccanismo diabolico dal quale, probabilmente, ne potrà uscire solo con la morte. Insomma, si tratta di un film eccezionale, diretto da un regista geniale, qui in autentico stato di grazia, oltre che interpretato da un attore, il succitato Ben Gazzarra, fenomenale. “L’assassinio di un allibratore cinese” è un film sovversivo, selvaggio, girato con uno stile di regia caotico che se ne infischia delle regole: il risultato è un’opera maledettamente affascinante che spiazza continuamente lo spettatore, il quale non può far altro che rimanere folgorato da questa pellicola che fa del nichilismo la sua bandiera. Da vedere assolutamente nella versione integrale di 130 minuti, meritoriamente recuperata da “Fuori Orario”. Grande Cassavetes.
"Solo le persone che stanno bene con se stesse sono felici" ammette Cosmo Vitelli a un certo punto del film.
Un film temerario, spiazzante, meraviglioso e del tutto antitetico a pellicole del genere. L'amarezza apatica del protagonista, proprietario di uno squattrinato locale di strip tease dalla deriva (parodistica) europea è già un fattore insolito, come i malavitosi connessi alla mafia moderatamente "insospettabili" o lo stesso locale di Cosmo.
Un microcosmo squallido per una baracconata di quart'ordine, dallo strano "sapore" decadente. Non è la solìta giostra di ilarità trasgressiva dei classici strip-pub, non si respira aria di vita, ma di sopravvivenza.
Fino all'ultimo respiro, direbbe Godard, o meglio fino all'ultima recita, come suggerisce lo script.
Cassavetes è sempre un marchio indelebile di garanzia: pochi dialoghi ma fondamentali, poca azione, tanti chiaroscuri, un incubo urbano che degenera nel traffico opprimente della metropoli.
Solo a tratti - ad esempio quando il protagonista capisce di essere in trappola - la sperimentazione del regista sfoggia un registro tecnico efficace ma fin troppo pretenzioso.
Magnifico personaggio, comunque, magnifico loser, capace di arrendersi alla propria incoscienza con una viltà controversa. In fondo è anche questa la sua forza.
da qui

 L’assassinio di un allibratore cinese propone dunque una lettura multistrato: a un livello diegetico Cosmo Vittelli è un imprenditore e regista il cui unico scopo è la buona riuscita del suo lavoro e di quello del suo staff, stessa pratica in cui, a un livello extradiegetico, ha sempre eccelso Cassavetes. Pertanto la scena in cui i malavitosi impartiscono a Cosmo l’ordine di uccidere l’allibratore, con dovizia di indicazioni (attoriali) atte a guidare la messinscena del crimine, assume anch’essa un significato metaforico. Al “ruolo” che Cosmo si è scelto se ne va a sovrapporre un altro, indesiderato, governato dal capitalismo “oppiaceo” dei gangster, che incarnano, come lo stesso Cassavetes ebbe a dichiarare, proprio quei produttori hollywoodiani dai quali, dopo l’infelice esperienza di Blues di mezzanotte e Gli esclusi, è caparbiamente fuggito.
E allora, il monologo conclusivo di Cosmo/Gazzara diventa qui un monito per gli attori (e autori) di ieri e di oggi: essere a proprio agio in un ruolo, questo è tutto, dedicandosi con fiducia al proprio mestiere e al pubblico. È da questa fondamentale onestà che nasce l’emozione – la cui frontalità è stata ben stigmatizzata da Scorsese – nei film di Cassavetes, il cui lascito risiede in una libertà creativa che lascia arrivare dritto in faccia allo spettatore l’amore per il proprio lavoro, che oggi come ieri che riceviamo, senza fare troppa fatica, semplicemente guardando i suoi film.



Nessun commento:

Posta un commento