sabato 25 luglio 2015

Banana - Andrea Jublin

finalmente, dopo otto anni da due grandissimi corti (qui), di cui uno, “Il supplente”, è stato nella cinquina dell’Oscar, per il miglior cortometraggio, arriva in sala Andrea Jublin, con il suo primo lungometraggio.
il film è uscito a gennaio, addirittura in dieci copie.
ce n’è voluto, parlo da spettatore, per vederlo in sala.
e il risultato è davvero buono.
bravissimi tutti, e sopra tutti Giovanni, il bambino protagonista, e Anna Bonaiuto, la professoressa, (in un ruolo simile a quello di Roberto Herlitzka in “Il rosso e il blu”).
Andrea Jublin fa un film fresco, sincero, non banale, controcorrente, senza scegliere scorciatoie, che magari rendono di più alla cassa, ma rendono di meno alla bellezza del film.
ormai al cinema si può vedere in qualche arena estiva, ma per fortuna è già disponibile il dvd, vogliatevi bene, non perdetevelo - Ismaele




Chi non molla e resta se stesso, alla fine, riesce a cambiare un pochino anche gli altri. Un sacco di cose fanno schifo, ma se iniziamo noi a fare meno schifo, magari qualcun altro ci seguirà. E ci sarà qualche sconfitta in meno, un po’ di schifo in meno.
Andrea Jublin non ha mollato e alla fine ci ha dato un film pieno di sconfitte ma pieno di speranza. Un film che non rassicura, ma dà forza. Basta una maglietta del Brasile e la voglia di raccontarsi – e raccontare – meglio. Magari facendosi da solo la telecronaca, mentre un ragazzino bruttino e grassottello si toglie i guanti da portiere, esce dalla porta, scarta gli avversari uno dopo l’altro, entra in area, tira e…

Film come Banana in Italia, semplicemente, non se ne fanno. Vale a dire lungometraggi in cui i ragazzi sono protagonisti e vengono trattati con la medesima complessità e sfaccettatura degli adulti, non come figli ma come coetanei, non come esseri umani cretini ma come esseri umani diversi (un filo più idealisti e ingenui, ma solo di una sfumatura), non tutti per bene ma all’occorrenza anche bastardi, piccini e meschini senza salvezza come il resto dell’umanità. L’ultimo che si ricordi valevole una menzione è l’iperbolico L’uomo fiammifero, datato 2009.
Mentre all’estero questo tipo di cinema è abbastanza florido (lo sa solo chi frequenta il Festival di Giffoni o la sezione Alice nella città del Festival di Roma), da noi non ne esiste una vera tradizione, solo sporadiche incursioni che, anche nei casi migliori, non ricevono il credito che meritano. Banana però non è sorprendente solo per la sua natura ma soprattutto per la sua fattura. Scritto con una fluidità, una serietà e un rispetto della materia trattata che impressionano, vanta anche una consapevolezza della vera lingua parlata dai ragazzi (non i termini gergali e di moda ma l’atteggiamento, gli insulti, le insicurezze e le arroganze) che rischiara tutto il racconto di plausibilità…

…Il primo lungometraggio di Andrea Jublin è un film onesto, in cui il disincanto lascia spazio all’ottimismo di chi vive in una realtà che non lo merita, ma riesce a restare incontaminato. Non vincitore forse, ma più vicino alla felicità di quanto lo possano essere quelli che “sanno come va il mondo”, quelli che “io l’avevo detto”, quelli che “odio tutti”.
Il film di Jublin non è certo perfetto: ha una sceneggiatura che sembra sofferente quando il protagonista non è al centro di essa e una caratterizzazione dei personaggi eccessivamente caricaturali in più di un caso. Tuttavia è un film vincente, che con leggerezza ci offre un insegnamento indubbiamente positivo e l’invito a essere luminosi come il mondo che vorremmo.
Insomma, Banana non sarà un vincente, ma è di certo un “brasiliano”.

Quel che allontana Banana dal sospetto di "conventicola", come direbbe Virzì, è lo spirito profondamente e genuinamente anarchico di Jublin, già evidente ne Il supplente, che lo rende mina vagante e scheggia impazzita. Dunque anche certi dialoghi da corso di sceneggiatura rivelano sprazzi di genuina crudeltà, ai congiuntivi appiattiti "ad arte" si alternano espressioni colloquiali esilaranti, ai sermoni edificanti sui buoni sentimenti fanno da correttivo le acidissime viperate della Colonna, interpretata da una Anna Bonaiuto che giganteggia su un film in cui tutti gli interpreti sono capaci (e ben guidati dal regista): fra gli altri spiccano Beatrice Modica nel ruolo di Jessica, bella di periferia senza speranza e senza redenzione, e lo stesso Jublin nel ruolo di Gianni, il grande amore di Emma, deviante irriducibile dalla fisicità ingombrante che sarebbe piaciuta a Lucien Freud. 
"Ma tu ce la fai a continuare?" è la domanda che si pongono i personaggi di Banana. E intendono: a continuare in questa Italia qui, che ammazza le speranze e qualunque traccia di "filosofia brasiliana". Auguriamo a Jublin di continuare a sgomitare nel nostro cinema ristretto e autocensorio tirando fuori sempre di più la sua verve iconoclastica, e lasciandosi bacchettare, quando serve, da un produttore che lo tenga al di qua di qualsiasi tentazione di autocompiacimento.

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