mercoledì 15 agosto 2018

Killer in viaggio (Sightseers) - Ben Wheatley

Ben Wheatley non sbaglia un film, meglio per noi.
anche qui succede, come in Down Terrace, che si parta da commedia e si finisce in orrore.
la cosa sconvolgente è la rapidità e la naturalezza con la quale si passa da essere una persona tranquilla, più o meno, a diventare un assassino, come se niente fosse.
come succede in quel piccolo straordinario libro di Max Aub, Delitti esemplari.
a Ben Wheatley piacerebbe molto, quel libro, e Max Aub finalmente avrebbe trovato un regista perfetto per le sue piccole tragiche storie.
non perdetevi il film di questi killer come noi.
buona visione - Ismaele




Ma quello che considero il più grande merito di questo regista è il suo sapere mescolare i generi.
Ogni suo film è tante cose, non incasellabile. Ogni suo film sono, se va male, due generi mescolati tra loro, a volte pure di più. E' un alchimista Wheatley e in un'epoca cinematografica di catene di montaggio abbiamo tanto bisogno di alchimisti.
Sightseers qualcuno lo definirebbe commedia nera. Ci mancherebbe, va bene.
In realtà io credo che la parte nera sia enormemente più presente ed efficace di quella "comica" o dissacrante.
Dirò di più, questo per tematiche è il film più nero di Wheatley, il più cattivo, il più estremo.
Del resto Chris, il personaggio principale, è una delle persone più malvagie, inumane e violente dell'ultimo cinema.
Misantropo, probabilmente misogino (che sembrerebbe metonimia della misantropia ma non è sempre detto), cinico, cattivo…

Tina e Chris uniscono due profonde frustrazioni esistenziali che l'una estrinseca in un amore viscerale per i cani (con alle spalle un forzato senso di colpa) e l'altro nel bisogno di vendicare qualsiasi affronto che ritenga rivolto al suo modo di vedere il mondo. Chris ha velleità letterarie e Tina si sente per la prima volta in vita sua la musa ispiratrice di un uomo che non le lesina attenzioni sessuali. Sembrano una coppia perfetta ma la loro visione dell'omicidio finirà con il portare in superficie due modalità opposte di concepire la vita propria e la morte altrui. Tutto questo, come già sottolineato, con un understatement made in Britain che fa sembrare 'naturale' e quasi doverosa ogni loro azione criminale in nome del rispetto delle buone regole del vivere comune. Ad accompagnarli, in gran parte del viaggio, un cane perplesso in crisi d'identità...

Wheatley, forte di un gusto macabro, vuole strapparci una risata coi suoi ammazzamenti e sicuramente sa il fatto suo nell'imbastire il tutto, miscelando satira e gore, ben aiutato dalla fotografia di Laurie Rose, sempre alle luci dei suoi film, compreso il prossimo "A Field in England" (arriverà nelle nostre sale?). A volte il "gioco" riesce, come nel caso del primo omicidio, a volte meno, come nella scena violentissima e agghiacciante delle mazzate al rompipalle, anche perché i trucchi sono così realistici che non sempre l'effetto comico (voluto e studiato) è raggiunto, nonostante il regista possa contare sulla scelta ad hoc di alcuni brani musicali (strepitoso l'uso di "The Power Of Love" dei Frankie Goes To Hollywood nel prefinale) e la riconoscibilità del meccanismo da parte dello spettatore. L'insistenza sui particolari più cruenti è tale che alla fine non sai se stai guardando una commedia o un film dell'orrore, che forse è quanto il regista voleva.

Appena intravisto al cinema l’altra settimana, e subito scomparso. Eppure questa dark, darkissima commedia inglese gode di ottima fama e stima internazionale, ha fatto il giro di parecchi festival e rassegne (a partire dalla Quinzaine di Cannes 2012), è considerata da molti critici anglofoni una delle cose migliori dell’ultimo biennio. Forse, dico io, un po’ sopravvalutata. Comunque allarmante, disturbante come pochi film usciti ultimamente. Qualcosa che si riallaccia alla tradizione molto british della commedia nera con assassini e assassinii, La signora Omicidi e Sangue blu per capirci, e giù di lì, quell’ammazzar ridendo e facendo ridere di cui a Londra e dintorni detengono la ricetta in esclusiva. Solo che negli esempi della tradizione il gusto del paradosso, l’aplomb inglese e una certa eleganza riuscivano a farci ingollare quei gochetti macabri e scherzi al sangue: stavolta no, resta il sangue, ma manca del tutto ogni filtro di sottile umorismo, e la mistura rischia di essere francamente indigesta. I protagonisti sono una classica coppia criminale (sulla scia, per dire, di Bonnie & Clyde o Natural Born Killers), calati però in un contesto di turpitudini e laidezze quasi insostenibile, due assassini torvi e truci che ammazzano senza il minimo movente, per assenza di ogni pur minimo codice etico, per naturale e animale malvagità, per idiosincrasia. Per non si sa cosa. Il Male al lavoro, ecco. Il che, ne converrete, è sempre uno spettacolo sconvolgente. Una black comedy senza levità, al grado zero di ogni morale, al grado massimo di ogni grevità, in ambienti sottoproletari e degradati di quel tremendo degrado british che abbiamo conosciuto in tanto cinema di Ken Loach, di Mike Leigh o di Andrea Arnold. Solo che manca ogni possibile riscatto…

…Il regista sfrutta scenari naturali che riportano alla tradizione pittorica inglese del paesaggio, ma non documenta, piuttosto stilizza l’ambiente sfiorando il cartolinesco per poi firmarlo con un rutto o nel peggiore dei casi con uno schizzo di sangue. Omaggia in una scena il cult The wicker man, quando all’interno di un camping si svolge un ridicolo rito sacrificale, deridendo il valore della natura, della vita plein air. Attraverso le tappe tipiche di una vacanza pseudo culturale, dentro le quali si realizza l’intromissione violenta di J e Chris, vengono prese a calci tradizioni, ritualità borghesi, convenzioni benpensanti e ingessate di una terra dove al solito prevalgono egoismi e rapporti di potere. E roba da non credere, c’è da divertirsi.

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