domenica 5 agosto 2018

Sole alto - Dalibor Matanić

tre storie che hanno come sfondo quella guerra jugoslava degli anni '90.
i due protagonisti, la ragazza e il ragazzo, sono ogni volta condannati a soffrire, visto che hanno l'ardire di volersi bene, anche se appartengono a etnie diverse, che si sono massacrate in pochi anni, raccogliendo e spargendo odio.
e proprio l'amore è bandito, laggiù.
i tre episodi sono separati, e ciascuno è bellissimo, con poche parole, sguardi, silenzi, un film che merita molto.
sappilo, tu che stai leggendo, e cercalo.
c'è poco da ridere, e non ci sono scorciatoie, si soffre, guardando il film, ma è necessario.
buona visione - Ismaele




È al limite del ‘criminale’ non distribuire questo filmSole alto è un film su una delle guerre civili più sanguinose di sempre (300.000 morti circa), ma dove la guerra non è presente. Non si vede sangue e non si sentono spari, nemmeno si parla mai della guerra, essa è uno spirito che corre in mezzo alle persone in modo impercettibile, tanto che , se non fosse che gli esami sono scanditi in anni, sarebbe impossibile accorgersi della guerra. Matanic presta attenzione al tempo, nel secondo episodio, nello scorrere “inutile” del tempo per le persone che vorrebbero ricominciare ma non possono. Soprattutto rinuncia a mostrare le “miserie” delle guerre, poiché egli parla di personaggi nel complesso “fortunati”, anche solo per essere usciti vivi e senza troppe perdite dalle feroci guerre Jugoslave. Il figlio di Saul Sole alto: il neo-neorealismo.

…Immagini di case in rovina distrutte dalla guerra e quella di palazzine ricostruite intervallano le storie e lo scorrere del tempo in un film drammatico che guarda alla commedia. Il progetto nella sua ambizione rischiava di affogare nella pretenziosità, ma invece Matanic ha l’umiltà di attenersi alla semplicità delle storie che racconta. Senza esibire messaggi nè punti di vista politici. Sa che il cuore del film e il dolore per un conflitto traumatico e ancora vivo emergono maggiormente se lasciati in fuori campo. Se infatti il primo episodio è il presagio drammatico della tragedia imminente, il secondo e il terzo affrontano i residui della guerra, i resti e il costo della rinascita. Il tempo scorre su un paesaggio illuminato da un sole passionale e malinconico. I personaggi cambiano ma gli attori rimangono gli stessi, dando al film il fascino performativo della variazione sul tema,  che diventa non soltanto l’occasione per permettere ai protagonisti nuove sfumature di recitazione ma anche quella di sperimentare modi diversi di raccontare l’amore. Vengono fuori così tre film differenti, ognuno recitato e filmato con un suo stile. Nel primo episodio l’innamoramento bucolico dei protagonisti viene offuscato dalla tensione e dalla violenza improvvisa che scandiscono la perdita dell’innocenza, nel secondo sono gli spazi chiusi a comprimere una passione fisica impossibile, affogata ancora nel risentimento tra le due parti. Nel terzo è la modernità delle nuove generazioni a scandire una regia videoclippata e caotica come quella di una generazione alienata e ancora costretta a fare i conti con i peccati dei propri popoli.

Sole alto è un film dall’eterna estate e dagli eterni vent’anni che racconta con finezza tante cose sottili e profonde, in maniera rapsodica e leggiadra, in un alternarsi di suoni e silenzi, di movimenti di macchina leggeri e inquadrature certosine, di montaggio e luci ipnotiche che vanno a costituire un onirismo pervasivo anche se mai esplicito fino alla ridondanza. Riesce anche a essere un film che meglio di tante altre letture e visioni ci fa capire il meccanismo ciclico di certi fenomeni, molti degli elementi in cui questa guerra maturò. E ci fa capire anche un altro trauma: sono passati vent’anni che paiono cinquant’anni dei nostri e, come dice il protagonista maschile del terzo episodio alla madre, “il tempo sta passando. E va sempre peggio”. Ma non è mai detta l’ultima parola.
Riassumendo: la contemplazione della bellezza e la distruzione del piccolo Eden, la ricostruzione tra cicatrici ancora forti, la sua sospensione in un punto interrogativo che lascia spazio a una possibile rinascita, poiché nel finale le porte, fisiche e narrative, restano aperte.
Questo film, manifesto contro l’intolleranza, che non vuol mai dare l’impressione di esserlo, ci parla di noi: degli altri noi stessi in un altro luogo geografico, delle attuali e delle prossime catastrofi umanitarie destinate a triplicarsi o quadruplicarsi, e che metteranno a durissima prova i nostri sistemi democratici. Ma la risposta al male dell’uomo non può che venire dal cuore dell’uomo. Vale a dire dall’amore e da uno sforzo di comprensione reciproca, per quanto duro possa essere il primo passo. E se il male dell’uomo è l’assenza di amore, quando quest’ultimo è assente e l’uomo (e i popoli) precipitano nell’oscurità, questi fanno del male agli altri per fare del male a se stessi.

Tre lunghe estati: 1991, 2001 e 2011. Epoche e paesaggi così lontani, eppure così uguali. E a replicarsi sono anche il dolore, la sofferenza, le famiglie rovinate e le vite distrutte. Ma proprio nell’apparente ciclicità di luoghi e situazioni, Matanić trova la chiave espressiva del film. Il suo è un cinema low budgetche dimostra di saper raccontare la realtà senza orpelli e con la sola forza delle immagini. Grazie anche a un uso superbo della natura, dagli splendidi paesaggi balcanici - luoghi fisici ma anche emotivi – ai piccoli dettagli: l’alternanza luce/ombra, il calore della terra, il fruscio dell’erba, lo sguardo di un cane o il rumore di un gatto che scivola dietro la scena. Allo stesso modo, la musica si fa metafora e contrappunto, assecondando l'evolversi della narrazione. In più, va segnalata la formidabile prova dei due giovani protagonisti: una sensuale, rabbiosa e rabbuiata Tihana Lazović e un esuberante Goran Marković, a dar vita a un campionario d'emozioni contrapposte…

Sole Alto si rivela quindi un melodramma in tre atti in grado di riaggiornare e declinare il dramma shakespeariano in tre storie nel corso di tre decadi, fotografando la ex-Jugoslavia subito prima del conflitto, sei e sedici anni dopo la fine. Nel corso dei tre episodi, Dalibor Matanić scandaglia i sentimenti, i sensi di colpa, gli umori, gli sguardi, le allusioni, la Storia e la geografia sociale e politica di una terra ancora intimamente travagliata. Per farlo, sceglie gli ampi spazi del cinemascope, una fotografia ad alto tasso emotivo, sofisticati quanto efficaci raccordi di montaggio e una sceneggiatura tutto sommato in grado di scorrere e districarsi nonostante l’eccessivo schematismo dei tre episodi e qualche piccola forzatura (ci risulta difficile, per esempio, credere ad una gioventù del 2011 dedita esclusivamente a droghe e feste in spiaggia, con tanto di autostoppiste succinte, senza altri pensieri che non siano istintuali). Un film, insomma, estremamente ambizioso nel volersi ergere a paradigma di una terra, acuto, capace di sonori picchi di coinvolgimento emotivo, eppure a tratti discontinuo, talmente attento alle sequenze migliori da finire per dare qualcosa per scontato in quelle di raccordo, scritte e girate con meno ispirazione. Un peccato veniale, che non intacca la riuscita complessiva del buon Sole Alto, ma che in un progetto così ambizioso lascia un po’ di amaro in bocca. Ma non vogliamo essere iperciliosi: abbiamo visto un film sul tempo, sulla memoria, sugli esseri umani, sul fatto che la carne possa essere molto più razionale della testa, abbiamo visto un film di cuore e politica. E non è affatto poco.

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