venerdì 5 dicembre 2014

L'ospite - Simeone Latini e Nunzio Caponio

una vicenda in due parti, tratta da un'opera teatrale, la prima parte, come di preparazione della seconda, è un po' lunga. e ripetitiva, poi si entra nel nocciolo del film, tensione e dramma appaiono, finalmente.
qualcuno racconta di essere chi non è e le cose si complicano.
girato all'interno di una piccola emittente tv, è un'opera prima piccola e senza finanziamenti, e però, in qualche modo, riesce a colpire, con il colpo di scena nell'ultima parte della pellicola, che dà un senso alla storia.
quasi impossibile da trovare, credo.
se non ci si aspetta troppo, si può vedere senza essere delusi - Ismaele






“L’ospite” è una produzione indipendente di Ottavio Nieddu, che racconta, appunto, una vicenda di spettacolarizzazione della tragedia di un uomo qualsiasi, capitato nel posto sbagliato al momento (storico) sbagliato. Tutto questo, all’interno di un programma, messo in onda da un tv cagliaritana, Canale 8, con ambizioni di alta audience e pochi risultati concreti. Il programma si chiama non a caso “storie maledette” (Damned Stories) ed è condotto dall’intrattenitore/giornalista di punta, Simeone Latini. Di fronte a se – e di fronte al pubblico delle case – avrà un signore che si chiama Hamhid (Nunzio Caponio), scampato al massacro di Srebrenica dove però hanno perso la vita la moglie e il figlio.
Rifugiatosi in Italia, si è risposato e gode di una vita tranquilla. Ma ha accettato, anche per denaro, di raccontare la sua odissea. Né il film vampiresco di Gilroy, né quest’ultimo titolo autarchico e ammirevole per professionalità tecnica e espressiva, spalancano le porte a grandi novità tematica…
…Il limite dell’operazione non è certo di non essere al passo con i tempi, ma forse di accettarne la banalizzazione anche fuori dai contesti spettacolari, rendendo così tutta la prima parte ripetitiva e consueta fino alla noia.

…In scena due personaggi in perfetto equilibrio precario di cui un presentatore plastificato, posticcio come i suoi applausi, che intervista annoiato, con cinismo e sarcasmo, un reduce bosniaco, compassato e triste, la cui guerra non interessa abbastanza da innalzare lo share della trasmissione.
Davvero il piacere voyeuristico ci trasforma in ossessi bulimici di ricostruzioni fatte di dettagli raccapriccianti e modellini in scala abitati dalla vita altrui? Davvero il nostro ritmo vitale è quello di un flusso catodico cadenzato da spazi pubblicitari insulsi che fagocitiamo senza consapevolezza?
In questa ribalta tutto è portato all'estremo, tutto è spettacolarizzato, monetizzato, ma tutto è il contrario di ciò che appare forse perché ciò che appare è tutto…
da qui


In un programma televisivo di grande ascolto, ogni puntata, un rifugiato da una delle tante guerre in corso. Tra paillettes ed improbabili jingle pubblicitari, il malcapitato dovrà confrontarsi con un presentatore opportunista, che lo spingerà oltre il baratro pur di innalzare lo share e contentare un pubblico spietato, giudice ultimo del protagonista involontario. Lo specchio di una società cinica, totalmente disinteressata al dramma che si consuma ad un passo da casa nostra. Ma nulla è come appare. In un finale a sorpresa, vittima e carnefice si confondono, lasciando allo spettatore il giudizio definitivo su una vicenda le cui ultime pagine sono ancora tutte da scrivere.

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