sabato 24 febbraio 2024

La società della neve - Juan Antonio Bayona

per quasi tutta la durata il film è normale, niente di nuovo sul fronte dei film di sopravvivenza, quello che colpisce di più è, dopo la salvezza, il silenzio, i sensi di colpa, l'indicibile, che è successo, necessario per la sopravvivenza.

Juan Antonio Bayona sa tenere sveglia l'attenzione e allora...

buona visione - Ismaele


ps: nel 2017 Idris Elba, in un film di Hany Abu Assad, dopo un disastro aereo, in montagna, nella neve, si salva camminando per diversi giorni, fino alla salvezza.

 

 

QUI la storia del disastro aereo sulle Ande, del 1972, su wikipedia

 

 

 

La società della neve mostra la lotta sopravvivenza nell'arco di 71 giorni, fino al 22 dicembre 1972. Lo sguardo del cineasta è vicino ai suoi personaggi, anzi convive con loro. "Per chi saranno quelle immagini?". Le fotografie diventano determinanti come forma di cronaca prima e di memoria poi.
Bayona gira un film efficace ma anche emotivamente trascinante dove la componente spettacolare è importante ma è comunque subordinata a uno dei temi che caratterizzano l'opera del cineasta, in cui l'incubo può trasformarsi in una tragica realtà e i protagonisti devono lottare, sia fisicamente, sia mentalmente (
The Orphanage e Sette minuti dopo la mezzanotte) con i propri demoni. E il suo film regge benissimo la durata di 144 minuti senza avere mai un attimo di cedimento.

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La stessa descrizione della scelta (obbligata) del cannibalismo da parte dei superstiti mostra un notevole pudore nella messa in scena: le sequenze in tal senso sono rapide e lasciano fuori campo, o sfocato, il terribile cibo di cui gli uomini sono costretti a nutrirsi; mentre ampio spazio viene dato a primi e primissimi piani dei personaggi stessi mentre attendono al terribile banchetto, a evidenziarne la dolorosa repulsività. L’enfasi, più volte ribadita, sul non sapere chi è colui di cui ci si sta cibando, prende significativamente la direzione opposta a quella della rivelazione esplicita e didascalica di volti, storie e nomi: Bayona sembra suggerirci che solo lo spettatore, dal suo punto di vista privilegiato, può ricondurre vivi e (soprattutto) morti a esseri umani e vicende reali, mentre ai superstiti questa consapevolezza è vietata, pena la follia. Tuttavia, per il resto, l’ottica fornita allo spettatore, in La società della neve, è tutt’altro che fredda e distaccata: al contrario, man mano che l’orrore si protrae, e il gruppo dei sopravvissuti si riduce, il film evidenzia in misura sempre maggiore i legami che tengono stretti i personaggi – legami interni a chi resta e con chi se n’è andato – trasmettendone senza mediazioni di sorta tutto il portato emotivo e melò. Il risultato, in un film tecnicamente impeccabile (la sequenza dello schianto dell’aereo e quella successiva della frana sono pezzi di cinema di grande valore) è un’ondata emotiva capace di restituire consistenza e realismo al genere, affidandosi (senza lasciarsene sopraffare) a un commento musicale di Michael Giacchino potente e ispirato. Difficile, date le premesse e lo stretto recinto in cui il progetto si muoveva, chiedere di più.

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La Sociedad de la Nieve es ante todo una película de supervivencia y una celebración del esfuerzo humano en toda regla. Una cinta que no es en absoluto complaciente, pero que junto a su final feliz, da una reflexión sobre las consecuencias por todo lo vivido. Espero sinceramente que Juan Antonio Bayona se alce con el Oscar por esta película titánica, humana y de enorme belleza sobre una situación completamente escalofriante en la que jamás desearía verme envuelto.

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L’impasto di La società della neve è un survival movie che però si apre presto allo sviluppo individuale, forte di una voce narrante che introduce, testimonia, accompagna, pondera e illude prima di spiazzare (non vi posso dire altro, abbiate pazienza). Coinvolge nella tensione perché mostra un tenace lavoro di squadra, nel raggiungimento di una meta (visto che si parla di rugby) che appare irraggiungibile. Il merito di Bayona è però quello di far letteralmente immergere lo spettatore nel dramma, rendendolo claustrofobico, privo di sbocchi. E per far questo gioca dapprima sul contrasto, poi sul soffocamento. Da un lato mostra le enormi distese della cordigliera delle Ande al confine tra Argentina e Cile, il paesaggio maestoso ma annichilente fatto di un’unica candida superficie che si perde nell’immensità del paesaggio, talmente ampio da rendere invisibile ai soccorsi anche il relitto dell’aereo. La Natura che impone il suo peso sull’esiguità della dimensione umana. Dall’altro, nell’angustia dello spazio necessariamente condiviso per solidarietà verso i feriti e per tentare di non morire di freddo durante le escursioni termiche notturne, Bayona e il suo direttore della fotografia Pedro Luque (è uno bravo, fidatevi) cambiano totalmente gli obiettivi e strozzano la prospettiva con un grandangolo che smette di mostrare per costringere il pubblico a penetrare e condividere dall’interno il dramma dei superstiti. Una scelta forte, che su grande schermo avrebbe spaccato, ma funziona lo stesso anche sullo schermo di una tv da un po’ di pollici, se dotati di discreta immaginazione.

Un’immersione che diviene asfissia, in un film che punta metaforicamente a riemergere e a conquistare spazi, fino a scavallare, a invertire la tendenza mestamente indirizzata: una narrazione che non perde colpi in oltre due ore (12 minuti sono di titoli di coda: pazzesco) e che dopo l’abilissima costruzione anche visiva della tensione, come abbiamo detto, e una riflessione tutt’altro che banale sui limiti morali della sopravvivenza, si libra in uno slancio lirico finale che non guasta, che non fa crollare banalmente la a tratti cinica narrazione, ma sa tanto di inevitabile catarsi, giunti alla fine di tanto penare. Loro e anche nostro. Ed è per questo che il film funziona e merita di essere visto. Nella sestina dei migliori film in lingua non inglese del Golden Globe (battuto da Anatomia di una caduta) e candidato per la Spagna ai prossimi Oscar. Lo so, non vuol (più) dire niente, ma comunque sempre meglio di un calcio nel culo.

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…Ahora la fuente primordial es el volumen del mismo título del 2009 del escritor y periodista uruguayo Pablo Vierci y el film en sí recupera de manera prolija cada uno de los latiguillos por los que la colisión y sus consecuencias constituyen un pivote tan tenido en cuenta en las antologías sobre desastres aéreos, sobre dramas de supervivencia en regiones inhóspitas y sobre ejemplos de antropofagia en las civilizaciones recientes, pensemos para el caso en el espantoso colapso de la aeronave, que se queda sin cola y ambas alas, en la desesperación de los protagonistas cuando descubren que las autoridades de Argentina, Chile y Uruguay han dejado de buscarlos a la octava jornada, todo gracias a una pequeña radio que hallaron entre los restos, en las deliberaciones alrededor de la posibilidad de la antropofagia, único recurso para sobrevivir sin flora ni fauna a la vista, en esa avalancha que enterró el fuselaje partido, empeorada por una tormenta de nieve, y en la consabida aventura de exploración en busca de ayuda, recién consiguiéndola en el décimo día de una caminata hiper helada.

Resultaría divertido consagrarse a la cantidad y la complejidad de problemillas que arrastra la propuesta que nos ocupa, una coproducción entre España y Estados Unidos con algo de apoyo de Uruguay y Chile en términos del rodaje, si uno no tuviese en cuenta lo doloroso del episodio y su claro estatuto en la memoria cultural internacional en tanto exponente hiperbólico de lo que el ser humano es capaz de hacer con tal de sobrevivir, un detalle que desde ya reinstala el instinto biológico más primario de los cuerpos -mantenerse con vida- y tira por la borda todo el maquillaje social/ ético/ religioso/ humanista/ filosófico/ cultural del que tanto gusta empaparse hipócritamente el grueso de los bípedos de las civilizaciones modernas y posmodernas…

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Es una película que empieza narrando preguntas que se supone responderá lo que veremos, como enfrentarse al mundo por uno mismo, no solo de manera existencial, como complemento; o por lo más marcado, lo más terrenal, sino incluso se puede entender económicamente o desde el cine social. Se siente en ello un humanismo hacia el prójimo y al mismo tiempo proclama el anhelo de autosuperación. El filme hace ver cuan difícil era dar el paso de comer carne humana, pero era un paso indispensable para lograr sobrevivir, aun cuando Nurma Turcatti (Enzo Vogrincic), un eje importante, no quería hacerlo (aunque lo llegó a hacer). No obstante ayudó en todo y proporcionó un estado de ánimo general, un estado positivo al grupo, como de unidad y compañerismo casi de hermanos, de gente que se ama altruistamente, tal como anuncia el título, de una sociedad en que todos se ayudan mutuamente, en que todos juntos salen adelante, apoyados en las distintas propias habilidades, como aquel que arregla la radio o aquel que sabe de electricidad, o de medicina, o se halla en mejores condiciones físicas. Es un filme en el que se vive mucha tensión y a la misma vez mucha fe en la humanidad. Se siente un estado de lucha más que de melodrama, de enfrentar la adversidad, aunque había lógicos bajones anímicos, pero no pasaba mucho y volvían a la carga, a no dejarse rendir. El presente suceso es un canto de éxito, hasta conseguir lo extraordinario, desde gente real. Cada momento, cada pensamiento, toma peso humano, que implica trascender como persona, desde la esencia humana, enfrentar la muerte, que la invoca la poderosa naturaleza; así mismo enfrentar la falta de recursos. Se trasmiten muchas emociones, visualmente. Hay mucha sensibilidad en el ambiente, Bayona logra mucha empatía con su versión.

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2 commenti:

  1. Mi è piaciuto molto. Nonostante la messincena spettacolare non spettacolarizza il fatto ma mostra l'umanità e la coesione dei superstiti. Sorprendente.

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    1. sono d'accordo con te, il punto forte del film è che tutta la parte tragica, violenta, dolorosa viene lasciata immaginare...

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