sabato 20 gennaio 2024

The Holdovers - Lezioni di vita - Alexander Payne

pensate a L'attimo fuggente, e a Breakfast Club, e a qualche altro film, naturalmente, aggiungete la bravura consolidata di Paul Giamatti, quella nascente di Dominic Sessa (che assomiglia il giovane Bob Dylan) e quella di Da’Vine Joy Randolph, la cuoca nera, siate ammirati da una sceneggiatura a orologeria e dalla mano registica di Alexander Payne, mescolate il tutto ed ecco un gioiellino da non perdere.

siamo nel 1970, iniziano le vacanze di Natale, e solo pochi sfigati vengono trattenuti nella scuola, soli, in mezzo alla neve, per un paio di settimane.

ci sono il razzismo e la guerra del Vietnam, solo un cieco non lo vedrebbe, ma non sono l'oggetto del film, solo l'opprimente sfondo dei civili Stati Uniti d'America di quegli anni (e non solo). 

i due protagonisti, lontani anni luce all'inizio, scoprono affinità e solidarietà prima inimmaginabili.

non ascoltate chi vi racconta le scene del film, zittiteli e andate al cinema sapendo poco o niente di quanto vedrete, non temete di restare delusi, non lo sarete, promesso.

buona (sorprendente) visione - Ismaele

ps: non tutti sanno che negli Usa il film è vietato ai minori di 17 anni, qualcuno beve alcolici e si vede uno spinello, che scandalo,  e che ipocrisia, in quel paese (dalla morale farisea) il cui esercito uccide e fa uccidere esseri umani a milioni in tutto il mondo!

 

 

 

Negli sguardi di disgusto di Angus verso il Paul Hunham di Paul Giamatti c'è già tantissimo cinema. The Holdovers inizia così un piccolo racconto di formazione a due corsie: il giovane sveglio che deve trovare il proprio posto e l'anziano professore che nel suo è ormai troppo comodo, come uno scranno lontano dal quale lancia strali e su cui è convinto di stare bene.

Nessuno sta davvero bene in The Holdovers, anzi, ci sono continui lampi di umanità spezzate che si calpestano a vicenda perché ormai incapaci di guardare dove mettono i piedi. Alexander Payne però è lì per farci sedere accanto a loro, come a voler dischiudere un amore combattente verso chi viene lasciato indietro dalla vita…

da qui

 

The Holdovers – Lezioni di vita rompe consapevolmente tutte le regole non scritte del cinema americano contemporaneo, evitando deflagrazioni emotive e spiazzanti colpi di scena, ripudiando il manicheismo e puntando su un’umanità grigia e imperfetta, indelebilmente segnata dalla disillusione e dalla sofferenza. Pregi che si trasformano anche nel principale difetto del lavoro di Alexander Payne, tanto abile a distinguersi dalla massa per tono e scrittura quanto incapace di travolgere e sconvolgere.

da qui

 

La forza della sceneggiatura scritta da David Hemingson sta nel mostrare con la giusta progressione drammatica le persone dietro la maschera, dietro la corazza che più o meno consciamente si sono costruite col passare del tempo. In The Holdovers – Lezioni di vita dunque non ci sono il turning point o il momento catartico in cui lo spettatore assiste allo “svelamento” dell’umanità. Al contrario siamo invece incoraggiati a esperire sulla nostra pelle lo svelamento intimo e doloroso della disperazione quieta, del dolore quotidiano. In questo modo la verità dei personaggi scaturisce alla stessa maniera dai loro pregi come dalle mancanze, a formare un quadro frastagliato di figure in chiaroscuro con cui diventa impossibile non condividere i sentimenti, sia quelli più puri che i decisamente meno nobili.

Come sempre Payne sa sfruttare al meglio gli script su cui lavora, supportando i dialoghi con una messa in scena precisa ma mai soffocante. E come sempre la direzione d’attori risulta eccelsa: Paul Giamatti regala al cineasta una prova superba, che si avvicina per molti versi a quella straordinaria di Sideways e al tempo stesso la smentisce. Il suo Paul Hunham, a differenza di Miles, si presenta come un “tipo fisso” che l’attore deve in qualche modo “scardinare”, esporre una parte per volta fino a ricostruirlo come essere umano. Accanto a lui l’esordiente Dominic Sessa sorprende come energetico, vitale contraltare al dogmatico docente. Insieme formano una coppia che racconta lo scontro tra età, potere, visione del mondo davvero difficile da dimenticare…

da qui

 

Paul non fa salire in piedi i suoi studenti sul banco per salutare il professor Keating/Robin Williams ma il finale è altrettanto bello ed emozionante. Ed è altrettanto sorprendente il modo in cui Payne ci arriva, raccontando la storia di tre estranei come quella di una di famiglia. C’è una scena apparentemente innocua ma in realtà atroce. Paul rivede un suo vecchio compagno di scuola che è diventato professore ad Harvard. Lui lì per lì resta senza parole poi ci pensa Angus invece a mettere su una recita dove viene raccontata una possibile vita che in realtà non c’è mai stata. Il rapporto tra i due personaggi è vero e intenso proprio perché è fatto di avvicinamenti e allontanamenti, inganni e complicità. E la visita al padre del ragazzo è un colpo al cuore. Certo, ogni tanto il rischio che il film torni a un certo accademismo di maniera c’è. Ma stavolta Payne, che come per la seconda volta nella sua filmografia non ha scritto la sceneggiatura dopo Nebraska (lo script è firmato da David Hemingson), non si fa ingabbiare dalla prpria scrittura e forse non è un caso che questi siano i suoi due film migliori. Anzi The Holdovers è ancora meglio di Nebraska. Stavolta l’atto d’amore nei confronti del cinema statunitense è autentico, vitale, sottolineato da una colonna sonora trascinante che brucia l’anima nella scena nell’incrocio di sguardi della pista di pattinaggio sulle note di The Wind di Cat Stevens. Paul Giamatti è da Oscar ma anche gli altri due protagonisti, Dominic Sessa e Da’Vine Joy Randolph, sono bravissimi e vi resteranno nel cuore. E in questo rapporto così intimo, forse (e giustamente) da una parte siamo estromessi. Come si ripetono Paul e Angus, ‘entre nous’.

da qui

 

Como siempre en el cine minimalista del director sinceramente mucho no acontece y el retrato de personajes se va desarrollando en función de una cotidianeidad tragicómica que en esta ocasión incluye un brazo dislocado del adolescente semi rebelde, una pelea evitada en un bar con un veterano manco de la Guerra de Vietnam, una fiesta de Navidad en la casa de una administrativa/ secretaria de Barton de la que Paul está románticamente interesado, Lydia Crane (Carrie Preston), el acercamiento paralelo de Angus hacia la linda sobrina de la anterior, Elise (Darby Lee-Stack), y un viaje final a Boston por parte del dúo más Lamb a lo parentela ensamblada que por supuesto nos permite conocer el trasfondo identitario del docente y su alumno, espejos deformantes que se entienden, el primero otrora expulsado de la Universidad de Harvard a posteriori de un episodio de plagio y atentado automovilístico contra un ricachón, por ello Hunham tuvo que volver a su colegio secundario a pesar de que detesta a todos los burgueses soberbios o tontos del lugar, y el segundo un púber traumado por los trastornos psiquiátricos repentinos de su padre, Thomas (Stephen Thorne), de hecho internado en una institución mental mientras la madre, Judy (Gillian Vigman), está de Luna de Miel con su nuevo y asimismo acaudalado esposo, Stanley Clotfelter (Tate Donovan). Payne una vez más va de lo general, tanto el carácter caricaturesco del profesorado como el odio clasista contra los hijos y padres de las cúpulas explotadoras del capitalismo, hacia lo individual, un Paul cuya idiosincrasia tiránica tiene que ver con las decepciones de la vida y la profesión y un Angus que se siente reflejado en Hunham porque también considera que la enorme mayoría de los burgueses son unos necios insoportables que no conocen nada por fuera de su jaula autoconstruida de oro, amén de una Mary que oficia de la mirada externa proletaria que humaniza los dardos cruzados entre ambos y por cierto atraviesa un doloroso duelo por la muerte en combate de su hijo Curtis, ejemplo de una “disciplina académica básica” que jamás iguala del todo porque el negro estudiaba allí y fue convocado al servicio militar sin miramiento alguno, a diferencia de sus compañeritos blancos que consiguieron evitarlo por un linaje siempre vinculado a la alta alcurnia del poder y el privilegio yanqui…

da qui

 

 


1 commento: