lunedì 29 gennaio 2024

Poor Things (Povere creature) - Yorgos Lanthimos

la storia è semplice, forse troppo.

uno scienziato, Godwin (interpretato da Willem Dafoe), crea la donna nuova, Bella (interpretata da Emma Stone), corpo da adulta, cervello di bambino, come Candido (di Voltaire) scopre il mondo con la sua ingenuità, decisa a ottenere tanto piacere (perché farsi del male?)

e la donna nuova parte con lo spasimante Duncan (interpretato da Mark Ruffalo) alla conquista del mondo, o almeno alla conquista di una vita degna di essere vissuta.

lei è una macchina da sesso per gli uomini, lavora anche in un bordello, quasi tutti gli uomini sono dei deficienti e delle merde, quasi tutte le donne sono persone in gamba, in una storia semplice semplice.

la magia di Lanthimos è quella di fare un film che sembra un manifesto del positivismo, una storia di non amore, con sfondi e scene che sembrano uscire da un cartone animato, o qualcosa di simile, ne esce un film lungo e denso di avvenimenti, con Emma Stone (bravissima) sempre al centro della scena, ingenua,  compassionevole, e poi vendicativa, diventa una persona normale.

in fondo abbiamo visto una storia che è fiaba, ma di quelle con molti fuochi d'artificio, Bella vince sempre, tutti si arrendono a lei.

se non fosse per le scene di sesso, sarebbe un film per bambini, senza troppe complicazioni.

buona (e Bella) visione - Ismaele



...Torniamo così a Poor Things. Che è l’adattamento – o meglio la semplificazione – sul grande schermo dell’omonimo romanzo dello scozzese Alasdair Gray del 1992. L’originale è costruito sull’espediente canonico del manuscrit trouvé, alimentato e ulteriormente complicato, con gusto postmoderno, da un palinsesto di punti di vista intrecciati che si contraddicono l’un l’altro in una sorta di elevazione a potenza del meccanismo del narratore inaffidabile. 

Così, il resoconto di Wedderburn viene corretto dal diario di Bella Baxter, riportato però all’interno del racconto di McCandless, che è infine smentito dalla lettera di sua moglie Bella/Victoria. E tutto questo si regge sulla mise en abyme della ricostruzione storica da parte dell’autore Alasdair Gray (o meglio il suo alter ego), il quale, nella cornice metanarrativa, ritiene veritiera la versione fantastica di McCandless a scapito di quella realistica di Bella/Victoria, pur specificando, in apertura, che un suo amico, il “vero” artefice del ritrovamento dei “documenti” trascritti, nega la sua veridicità. L’architettura a scatole cinesi del palinsesto è l’unico vero pregio di un romanzo che troppo spesso si arrabatta per dimostrare le sue tesi politiche. 

Ma di quest’architettura nel film non c’è traccia. La sceneggiatura estrapola solo la storia di McCandless – quella secondo cui una donna riportata in vita con un altro cervello ha trovato se stessa e sposato il narratore –, facendone però la versione della stessa Bella. Nel romanzo, invece, Bella (ossia Victoria) risponde polemicamente agli uomini che hanno preteso di raccontare la sua storia al posto suo, denunciando le fantasticherie romanzesche proiettate su di lei secondo il trito schema per cui la donna è l’immagine e l’uomo il depositario dell’immaginario. La sua vicenda, nelle sue parole, non avrebbe nulla di sovrannaturale, ma sarebbe “solo” la storia di una suffragetta fuggita dalle costrizioni vittoriane e divenuta una delle prime laureate in medicina in Gran Bretagna – cosa che per gli uomini è già “fantastica” abbastanza, commenta risentita. Ma non è tutto qui, perché Gray, riprendendo la parola nel finale, lascia al lettore il dubbio se Victoria (ovvero Bella) non abbia in realtà un motivo per voler nascondere le proprie origini miracolose, a meno che lo stesso scetticismo di Gray non confermi ciò che Victoria ha detto sugli uomini, e così ad infinitum.

L’eroina del romanzo diventa un’attivista politica che, tramite le sue idee di sanità pubblica, per quanto estreme, tenta di realizzare un’utopia emancipatrice; nel film, invece, perde ingenuamente tutti i soldi dell’amante pensando di destinarli agli indigenti. Il punto sta che nel romanzo, a differenza del film, Bella non si fa soltanto consapevole di sofferenze e povertà, ma risale alle loro cause economiche e politiche. Anche la rimozione di Glasgow come ambientazione, così importante nel libro per stabilire il discorso su un tono estremamente caustico verso l’imperialismo inglese, è funzionale all’appiattimento delle rivendicazioni politiche del romanzo sulla fiaba sessuale tutto sommato rassicurante che è il film, senza accenno alle denunce anticoloniali e anticapitaliste che costituiscono le pur didascaliche tesi del romanzo. 

Oltretutto, per dipingere Bella come una Candide, vengono semplificati non solo l’intreccio e il suo personaggio, ma – ovviamente – tutti gli uomini che le stanno intorno. Nel suo creatore non c’è più l’ombra del Pigmalione satiresco immaginato da Gray e, allo stesso modo, il suo promesso sposo è solo un “alleato della causa” mansueto e comprensivo, non il fosco lettore dei romanzi che si perde in fantasie e neppure il plebeo di belle speranze, che anche una volta ottenuto il prestigio non riesce a celare il risentimento antiborghese. Nel film, l’amante libertino rapisce Bella per gelosia, portandola sulla nave da crociera per allontanarla da altri uomini, mentre nel romanzo è lei a trascinare lui in crociera per salvarlo dal tavolo da gioco, come sarà lei, più tardi, a donargli generosamente i suoi soldi perché ritorni a casa (nel film lui glieli strappa dalle mani). Per non parlare di Blessington (Christopher Abbott), scialba caricatura del nobile malvagio degna di un deteriore romanzetto d’appendice che ha poco a che vedere con il personaggio corrispondente nel romanzo. Si dirà: legittime libertà creative per il libero adattamento di una storia, e questo è indubbio. Ma sono operazioni che tradiscono una volontà precisa di eliminare clamorosamente complicazioni e ambiguità per fare una favola banale e manichea. 

In molti, sia anche per la vicinanza temporale, hanno evocato Barbie parlando di Poor Things: ebbene, in Barbie, per quanto scriverlo sia paradossale, c’è molta più complessità. Se in quest’ultimo molto si fonda sulla dialettica tra il mondo reale e un mondo di finzione e le loro compenetrazioni, in Poor Things (film) il world-building massimalista è tale da farne un universo a sé, orgogliosamente altro dal nostro. Scegliendo il registro del meraviglioso a scapito di quello del fantastico (inteso come rottura del paradigma di realtà che provoca dubbio e inquietudine, come nel romanzo) e riempiendo il mondo di Bella di animali chimerici, macchine mirabolanti e un cielo dai colori iridescenti e ultraterreni, Lanthimos apre allo stupore, non al mistero, che è ben altro.

La metafora presa alla lettera in Poor Things è quella – piuttosto problematica di per sé, sia detto per inciso – del change of mind, il cambio di mente ossia di mentalità compiuto da Bella per emanciparsi, cosa che avviene tramite lo scambio di cervelli e che, nel romanzo, la donna che si firma Victoria mette in ridicolo nella sua lettera. Anche l’idea che basti fare tabula rasa della cultura e della società per poter godere il sesso – come se esistesse un sesso assoluto al di fuori della comprensione culturale – sembra ingenua, o quantomeno in contraddizione con ciò che il regista aveva esplorato nei film precedenti. Bella, che ignora la vergogna e il senso di colpa, vive una sessualità infantile, libera e immediata, quasi l’infanzia fosse immacolata, priva di complicazioni o mŷthos

Certamente non lo era in Kynodontas, dove la sessualità rientrava nell’orizzonte extramorale dei giochi dei fratelli, adulti-bambini “idioti” a loro volta, al punto da non percepire l’inammissibilità dell’incesto: mancandogli, nel sesso, le nozioni di norma e tabù, sembravano però ignorare anche il desiderio. In Alps, il sesso faceva parte della recita, una scena tra le tante da ripetere, un’immagine mentale in cerca di simulacri sempre inadeguati. In Kinetta, il regista dava ordini meticolosi persino alle sue amanti, nel quadro di una squallida vita sessuale, come se cercasse di continuo di avvicinarsi, simulandola, a una scena madre di cui conosciamo solo imitazioni. E Steven Murphy si eccitava se sua moglie si fingeva una paziente in anestesia generale. In Poor Things è lampante la semplificazione estrema, anche su questo fronte, rispetto al percorso precedente. 

Si badi bene: non è un brutto film. La recitazione di Emma Stone, per esempio, è notevole. È però un film banale, riduzionistico, ipercinematografico in tutti i sensi, frutto di un’operazione industriale che, nella più ampia filmografia di Lanthimos, lascia perplessi. Si potrebbe essere tentati di ipotizzare un filone “essoterico”, adatto al grande pubblico, a cui fa da controcanto la linea “esoterica”: quella, per restare in tempi recenti, di Bleat (2022), cortometraggio, sempre con Emma Stone, ambientato sull’isola di Tino, nelle Cicladi, che riporta l’enfasi sul senso originario greco (e dionisiaco) della tragedia nel luttuoso “canto dei capri”. Per volontà del regista, è da vedersi solo con musica orchestrale di accompagnamento dal vivo: è quindi irriproducibile, non inquadrabile all’interno di logiche commerciali, decisamente per pochi.

Due tendenze che si devono leggere anche chiamando in causa gli sceneggiatori. I lavori esoterici (eccetto Kinetta) sono quelli scritti a quattro mani col connazionale Efthymis Filippou. Basta prendere un film da lui sceneggiato come Miserere (2018, diretto da Babis Makridis) per accorgersi di quanto fondamentale sia stato il suo apporto. Dall’altro lato, La favorita e Poor Things sono stati scritti non da Lanthimos ma da Tony McNamara (con Deborah Davis, nel primo). La favorita, dramma in costume su un triangolo di intrighi e gelosie alla corte della regina Anna di Gran Bretagna, segna l’ingresso nel mainstream e il passaggio dal perturbante al bizzarro, dal mito greco all’eccentricità britannica, dal metacinema alla cinematograficità estrema, dalla critica alla società dello spettacolo allo spettacolo visionario. Di nuovo, niente affatto un brutto film, ma un film irrimediabilmente altro rispetto alla linea qui descritta. Un prodotto industriale.

Di Lanthimos è già stato annunciato il prossimo film, Kinds of Kindness, sempre con Stone e Dafoe come interpreti principali, ma con il ritorno alla sceneggiatura del sodale Filippou. Se la recente consacrazione e l’acquisito successo internazionale vanificheranno la tendenza esoterica, o se invece Lanthimos saprà intrecciare e magari confondere e congiungere alchemicamente le due linee in un contrappunto degno del Bach che tanto ama e utilizza, come ci sarebbe da aspettarsi da un auteur che della trasgressione dei confini ha fatto il proprio tratto distintivo, è questione per ora rimandata al futuro.

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...Povere creature! ne aggiunge o consacra un'altra: la libertà. Una dimensione rischiosa, sempre sfuggente, perché, nella scienza come nell'esistenza, "è così finché non si trova un altro modo" e ancora e ancora. Una trasformazione antropologica e sociale è dunque possibile? Una reale libertà del femminile? O è solo una favola di fanta-scienza? Per rispondere, il regista greco lancia la sua Eva in un viaggio senza tempo (non è cambiato molto, nei secoli, in materia di relazioni uomo-donna), liberando contemporaneamente un'energia visiva esplosiva, che frulla suggestioni pittoriche e organiche, impressionismo ed espressionismo, esalta il racconto vittoriano dello scozzese Alisdair Grey alla base del film, la fantasia interpretativa della Stone e il lavoro immaginifico di scenografi e costumisti.

Più simile al Candido voltairiano che al mostro di Frankenstein, la creatura di Yorgos Lanthimos fa esperienza dell'abbondanza cromatica del mondo e della scarsità di empatia dei suoi abitanti, passando in rassegna un campionario maschile tragicomico (il buono, il geloso, il padre, il cinico, il crudele) che ha in comune la tendenza a volerla rinchiudere nel proprio universo, con la scusa di offrirle protezione. E si ride, con Povere creature!, della comicità più acuta: quella che non nasconde il suo lato oscuro.

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…Dunque niente di nuovo sul fronte occidentale, e ora, con Povere creature, siamo a Sofocle passando per il teatro dell’assurdo e Mary Shelley ma finendo a piè pari nel Grand Guignol.

Dispiace dirlo, ma il confronto a ritroso con La favorita, Il sacrificio del cervo sacro Alps e Kynodontas  è perdente, povere creature siamo noi spettatori che, per due ore e venti, ce lo sorbiamo in silenzio, non essendo possibile sfondare la tela del cinema e dire basta.

Con tutto il rispetto per chi lo ha apprezzato diciamo no.

Abbiamo fatto emergere questioni radicate nella cultura occidentale fin dalle sue origini.

Infatti, con la differenza che gli scienziati pazzi sono arrivati dopo, almeno dagli alchimisti, Cagliostro e compagnia, e di esperimenti chirurgici nei teatri anatomici ne abbiamo visti che basta e applicarci un tema come quello della liberazione della donna suona falso come una moneta falsa…

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…Che barba. Che noia!

Libera dai pregiudizi del suo tempo, ma prigioniera di altri stereotipi, Bella tenta goffamente di difendere un'inesistente emancipazione.

O millantata uguaglianza/ parità di genere.

Purtroppo l'emancipazione non passa attraverso un bordello parigino, dove una donna può scopare dalla mattina alla sera.

Forse la protagonista si sarebbe evoluta meglio alla Sorbonne, imparando le lingue o con un corso di fisica quantistica. 

Ma questo se mi trapianti il cervello di un feto, presumibilmente maschio, cioè grande 5 cm, forse non è contemplato dall'uomo che che lo fa! O forse lei impara le prerogative primarie di un uomo medio: calcio, calcio, calcio; al mattino sesso, sesso, sesso al pomeriggio.

Il film seppur visionario, spiazzante come è sempre Lanthimos, ricco di fotografia iridescente e luoghi iconici, in questo caso delude.

Purtroppo per noi e lui, l'emancipazione di una donna non coincide con lo sfruttamento del suo corpo!!! 

E ormai siamo anche stanchi di ribadirlo.

L'energia femminile, potente, creativa che dona la vita, ridotta al solo corpo, un mezzo, la priva degli intenti fenomenali per cui è progettata e concepita.

Ed è cosa, nel 2024, fuori moda, obsoleta e anti evoluzionista…

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Mi avvicino sempre con  circospezione e anche con un po' di timore ai film di Yorgos Lanthimos, al quale ho sempre riconosciuto la capacità di "osare" ma non sempre quella di fermarsi al momento giusto, ovvero un attimo prima di oltrepassare i limiti del buon gusto (cosa che in verità, almeno per il sottoscritto, è accaduta solo una volta con Il sacrificio del cervo sacro). Questa volta però c'è solo da applaudire, commuoversi e emozionarsi, specie se si ha avuto la fortuna di vedere Povere Creature! nel contesto della Mostra di Venezia, dove ha vinto il Leone d'oro a furor di popolo: presentato appena il terzo giorno del festival, quindi con ancora quasi tutta la rassegna davanti, è entrato fin da subito nel cuore di pubblico e critica tanto da pronosticarlo sicuro vincitore quasi "al buio".


Questo perchè Povere Creature! è una bellissima, rutilante, liberatoria favola dark per adulti, che attraverso la storia di Bella Baxter, giovane donna e novella Frankenstein, passata dalla morte alla rinascita grazie alla lucida follia di uno scienziato ripudiato dalla società (e che si fa chiamare "God", cioè Creatore), ci regala una pellicola sorprendentemente vitale, femminista e progressista. Sorprendente perchè, a dirla tutta, finora Lanthimos nel corso della sua carriera non ci era mai sembrato granchè disposto nei riguardi dell'altro sesso: nei suoi film la donna assumeva sempre (finora) le sembianze di puro oggetto carnale (come in Dogtooth, ma anche in The Lobster) oppure di spietata opportunista (come ne La Favorita). Invece in Povere Creature! il ruolo di Bella assurge a simbolo di emancipazione e liberazione (non solo sessuale ma anche patriarcale), quasi un'icona di autodeterminazione e risolutezza. E certo fa specie che nell'anno di Barbie e C'è ancora domani il film più femminista e inclusivo dell'anno lo abbia diretto un uomo, per giunta "insospettabile"...

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Se in “Barbie” la regista ha reso esplicito il tema del patriarcato e della condizione della donna, nel film di Lanthimos si giunge a trattare gli stessi argomenti senza mai nominare la parola “patriarcato” avendone comunque la presenza, in varie forme, in diverse scene. Si tratta di uomini che Bella incontra e che, in qualche modo, cercano di ingabbiarla in convenzioni, tradizioni, persino come oggetto da custodire sotto chiave.

Bella si ribella a tutto ciò scoprendo e riscoprendo i veri affetti, le relazioni che aggiungono valore e utilità alla sua vita. Vita che, da povera di cose, diventa ricca di esperienze senza alcun limite come dovrebbe essere per ogni persona.

La regia di Lanthimos è ottima e fa uso di inquadrature particolari, grandangolari, stroboscopiche e distorte proprio come il regista ha abituato i suoi numerosi estimatori. La sceneggiatura è solida, con battute e dialoghi frizzanti. L’interpretazione di Emma Stone è sensazionale e offre tutti i livelli di crescita del personaggio. Anche il cast si comporta molto bene soprattutto l’ìstrionico Willem Dafoe.

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Pobres Criaturas es un derroche de fantasía y provocación. Su director, Yorgos Lanthimos, deja patente su enorme talento y su genialidad, desmontando los estereotipos de la mujer. Brillante el trabajo de Emma Stone, quien interpreta un complejo personaje, Bella Baxter, resultando totalmente magistral. Las escenas de sexo son tan naturales, e incluso ingenuas, que para nada escandalizan, más bien al contrario, divierten y enternecen.

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“Decepción” es la palabra que mejor define a una película correcta y no mucho más como Pobres Criaturas (Poor Things, 2023), la flamante propuesta del cineasta griego Yorgos Lanthimos, uno de los pocos directores originales, inconformistas y/ o con algo para decir del insistentemente mediocre Siglo XXI. El film, el cuarto en inglés del señor luego del drama de horror El Sacrificio del Ciervo Sagrado (The Killing of a Sacred Deer, 2017) y aquellas comedias Langosta (The Lobster, 2015) y La Favorita (The Favourite, 2018), la primera de impronta absurda y la segunda palaciega/ de época, un trío en verdad magistral, se ubica en una hipotética zona cualitativa intermedia entre por un lado las dos películas minimalistas con las que se hizo famoso en el ámbito cinematográfico internacional de los festivales, Canino (Kynodontas, 2009) y Alpes (Alpeis, 2011), díptico interesante que por cierto inauguró la mejor versión de su fetiche temático para con mundos claustrofóbicos ficticios en función de los cuales los protagonistas de turno pretenden salir o entrar, y por el otro lado las faenas iniciáticas también correspondientes a su período profesional griego, Mi Mejor Amigo (O Kalyteros mou Filos, 2001) y Kinetta (2005), obras fallidas y muy poco vistas -la primera de ellas codirigida por el también protagonista Lakis Lazopoulos- que asimismo plantaron las semillas de las otras obsesiones de siempre del cineasta, sobre todo el surrealismo, la experimentación formal, el sexo delirante, la traición, los problemas identitarios, el mimetismo, el enclave hogareño como sede de batallas y ese gustito por lo macabro o lúgubre retratado desde una perspectiva arty que jamás se decide del todo entre la frialdad quirúrgica y la calidez del sarcasmo o la sátira. Pobres Criaturas retoma todas estas premisas y recursos pero sin lograr articularlas como en el pasado en un relato en verdad glorioso y dejándolas flotar en un vacío que se vuelve bastante mecánico y que sólo llamará la atención del espectador conservador y muy poco formado del nuevo milenio, ese que se sorprende con cualquier mínima anomalía y cae en un éxtasis digno de un mocoso…

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2 commenti:

  1. Noto che quasi tutti scrivendo di Lanthimos abbiamo citato Barbie: di sicuro questo è stato l'anno della svolta per un certo tipo di produzione (e anche di un certo tipo di pubblico, che da tanto aspettava questo tipo di film :) )

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    1. a volte fare confronti con altri film è una forma di pigrizia intellettuale

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