giovedì 2 novembre 2023

Il leone del deserto - Mustafa Akkad

in tempi di fascisti al governo, di italiani brava gente, Il leone del deserto non sarà un film che passerà alla tv, né in prima serata né di notte.

il motivo è semplice, in un filmone, con attori di serie A, Mustafa Akkad racconta la storia della Resistenza libica, guidata da Omar al-Mukhtar, contro l'occupazione italiana, che portava non civiltà, ma morte.

è così di attualità questo film che a un certo punto il boia Graziani, prima di impiccare Omar al-Mukhtar, gli spiega che la Libia era italiana, Giulio Cesare lo dimostrava.

niente di diverso da quello che in Israele troppi pensano, tremila anni fa la Palestina è stata data agli israeliani, e non c'è posto per gli altri. 

si può capire perchè Il leone del deserto non è mai passato nelle sale cinematografiche, e neanche in tv.

la verità fa male, anche al cinema.

buona (ritardata e immancabile) visione - Ismaele


QUI il film completo, in italiano

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QUI il film completo, in italiano

 

  

Un gran bel film contro: il colonialismo innanzitutto; poi la guerra, in generale; infine il fascismo. Grande anche perché molto lungo: ma le 2 ore e 53 minuti non risultano quasi mai pesanti.

La sceneggiatura è splendida, e mostra tutti i torti e i crimini di chi si basa sul diritto del più forte. È un caso rarissimo di film sulla resistenza antifascista in cui coloro che lottano per la liberazione non sono italiani. Quindi in Italia lo si può vedere non con gli occhi della guerra civile: il fascismo è dipinto per quello che ha fatto nella politica estera, un tragico e ingiustificabile episodio di lotta contro diritti umani e giustizia, al fine di far prevalere solo la violenza, per rubare. Il film ha anche il merito di circoscrivere questa critica non solo al fascismo e all’Italia, ma in generale a qualunque guerra d’aggressione, a qualunque imperialismo, di ogni epoca, nonostante tutte le maschere e le falsità e la retorica.

La resistenza è qui celebrata in tutto il suo valore: difendere se stessi dalla schiavitù, dalla violenza e dalle ruberie altrui è necessario. Anthony Quinn giganteggia nella parte di questo leader, Omar Mukhtar, che è una leggenda tuttora in Libia: semplice, profondo, buono, ma indomabile, mai disposto a svendere la dignità e la libertà sua e del suo popolo. Per niente un sanguinario, ma uno che non vuole farsi umiliare e asservire: come è giusto che sia. Buono non può essere sinonimo di servo: colui che è buono si ribella all’ingiustizia subita, e nella misura giusta, senza eccessi; se la subisce, usa la bontà come pretesto per la propria viltà, come purtroppo il cristianesimo ha abituato.

Molto interessante è il sottofondo religioso sincero e sentitissimo, prioritario. Mostra come l’Islam imponga la propria liberazione: questo nesso tra religione e indipendentismo è stato ed è tuttora la base dei nazionalismi dei paesi islamici. Ciò innerva la lotta contro gli aggressori, che dall’800 ad oggi sistematicamente sono (ai loro occhi siamo tutti noi, e abbastanza a buon diritto, pur fatte le dovute distinzioni) gli occidentali. Questi hanno più torto degli islamici: hanno iniziato per primi la violenza, per rubare, e la esercitano con mezzi molto più efficaci, e quindi terribili. Una superiorità orrenda, in mano agli occidentali, che il film mostra benissimo: è l’unica ragione del successo, nonostante tutte le bugie di oggi (progresso culturale, liberalismo, crescita della borghesia, diffusione della democrazia a beneficio dei colpiti …), e quelle di ieri: la necessità di civilizzare i primitivi, o la grandezza della storia romana di cui finalmente il fascismo avrebbe raccolto l’eredità come era destino ed evento indispensabile…

Spettacolari sono le scene belliche. Ottima la colonna sonora e la ricostruzione filologica del deserto dell’epoca, ben valorizzato dalla fotografia. Tutto il cast recita bene, tranne Rod Steiger, poco credibile nei panni di un Mussolini che non maschera la sua grande ansia.

Un film profondo, anche nel sottolineare le conseguenze psicologiche delle scelte fatte dai vari protagonisti. È vergognoso, ma non stupisce, che questa pellicola sia sempre stata oscurata in Italia: le cause sono il solito e falso buonismo all’italiana, che non deve mostrarci feroci, e il militarismo neofascista, che spesso è stato addirittura al governo.

Un film epico degno di tal nome, che fa un’epica sui temi reali e importanti della modernità.

da qui

 

L’uccisione di Omar al-Mukhtar - WuMing

È l’11 settembre 1931 quando Omar al-Mukhtar, comandante della guerriglia anticoloniale in Cirenaica, viene ferito a un braccio, disarcionato e fatto prigioniero durante uno scontro nei pressi di Slonta. Lo portano a Bengasi in catene.

Omar al-Mukhtar ha più di settant’anni e combatte contro l’Italia fin dalla prima invasione della Libia, quella del 1911. La sua abilità strategica, la conoscenza del territorio e l’appoggio della comunità hanno consentito alle bande armate beduine – i duar – di infliggere gravi perdite alle truppe d’occupazione e ridicolizzarle con tattiche mordi-e-fuggi. Ma la deportazione di quasi tutta la popolazione civile della Cirenaica, la chiusura del confine libico-egiziano con una muraglia di filo spinato e i bombardamenti con l’iprite hanno ormai piegato la resistenza.

Il processo si tiene il 15 settembre nel Palazzo littorio di Bengasi, è una farsa e dura appena tre ore, perché il verdetto è già deciso.
Omar viene impiccato il giorno dopo. Raccontiamo quel momento con le parole dello storico Angelo Del Boca:

«Sono le 9 del mattino del 16 settembre 1931. Intorno alla forca eretta nel piazzale del campo di concentramento di Soluch, in Cirenaica, sono assiepati oltre 20 mila libici, fatti affluire da Bengasi, da Benina e dai lager della Sirtica. Sono qui per imparare che la giustizia fascista è severa, spietata, inesorabile. Sono qui per assistere all’impiccagione di Omar al-Mukhtar, un capo leggendario che, per dieci anni, ha dato del filo da torcere agli eserciti di quattro governatori italiani.

Quando il vecchio Omar, avvolto in un baracano bianco, viene fatto salire sul patibolo, il silenzio nel campo si fa totale. Ostacolato dalle catene e tormentato dalla ferita al braccio ricevuta nell’ultimo combattimento, il vicario della Senussia muove a stento i passi, tanto che debbono aiutarlo a salire i gradini del palco. Mentre gli sistemano il cappio intorno al collo, guarda per l’ultima volta la folla silenziosa, che trattiene a fatica il dolore e la rabbia. Poi, con un calcio allo sgabello, gli spezzano il collo.

Con Omar al Mukhtar finisce anche la ribellione libica, cominciata vent’anni prima. Ma non finisce la leggenda di Omar.»

 

Nel 1979 il regista siriano-americano Moustapha Akkad gira il kolossal Lion of the Desert, ove si narrano vita, cattura e morte di Omar al-Mukhtar e, attraverso di lui, l’orrenda saga della «riconquista» libica. Una coproduzione internazionale, con un cast di tutto rispetto: l’anziano Anthony Quinn presta i solchi del proprio viso alla dolente e ferma dignità di Omar; Oliver Reed maramaldeggia nel ruolo di Graziani; Rod Steiger dà corpo e smorfie a Benito Mussolini.

Il film non è un capolavoro, ma non è peggio della maggior parte dei film in costume hollywoodiani, e ha il merito di far conoscere in Occidente la figura dell’insegnante-guerrigliero, capo della resistenza popolare all’invasione fascista.

Tuttavia, agli spettatori italiani viene negato il diritto di vedere coi loro occhi e giudicare con la propria testa. Non è ammissibile che nei cinematografi d’Italia si mostrino gli «italiani brava gente» rappresentati come di solito si rappresentano le SS. Non è tollerabile che gli italiani vedano le loro forze armate intente a compiere un genocidio! Come osa quel regista arabo, quel volgare calunniatore?

Rispondendo all’interrogazione parlamentare di un deputato missino indignato per le sequenze che gli sono state descritte, il sottosegretario agli Esteri Raffaele Costa manda un chiaro messaggio ai produttori: il film non otterrà mai il visto ministeriale per la distribuzione in Italia. Non v’azzardate nemmeno a chiederlo.

Nel frattempo, dato che il film è proiettato negli altri paesi, si alzano comunque grida di sdegno. L’Associazione Nazionale Alpini, ad esempio, protesta per le sequenze dove soldati con la penna nera decimano la popolazione del Gebel Achdar.

Di conseguenza, Lion of the Desert diventa un film di culto clandestino. Nel marzo 1987, per protesta contro l’impossibilità di vederlo in Italia, attivisti del Coordinamento per la pace proiettano il film in una piazza di Trento. La Digos interviene a sequestrare la videocassetta e la magistratura incrimina quattro persone – Marta AnderleFranco EspositoRenato Paris e Paolo Terzan – per «rappresentazione cinematografica abusiva». Nel febbraio 1988 gli imputati sono condannati a pagare un’ammenda di centomila lire a testa.

Nel corso degli anni, il veto politico su Lion of the Desert è in parte caduto. Il film è stato doppiato in italiano e trasmesso su un canale nazionale privato. Oggi si trova facilmente su Internet, ma rimane un titolo scomodo, urticante, del quale non si parla volentieri. Omar al-Mukhtar fa ancora paura…

da qui

 

Quando Il colonnello Gheddafi è atterrato a Roma i giorni scorso aveva in bella mostra sulla divisa una fotografia dell’eroe nazionale libico Omar al Muktar. E proprio alla sua storia e agli orrori di cui sono resi colpevoli i militari italiani in Libia tra il 1929 e il 1931 è dedicato il film di Moustapha Akkad “Il leone del deserto”, girato dal produttore esecutivo della saga horror di “Halloween” nel lontano 1981.

Finanziato dal raiss Muammar Gheddafi in persona e costato ben 35 milioni di dollari è stato uno degli ultimi film censurati in Italia per ragioni politiche e non religiose. Tutto questo perché a detta di Giulio Andreotti danneggiava l’onore dell’esercito italiano. Contro l’opera fu persino intentato un processo di vilipendio delle Forze Armate. Morale della favola, nessuna distribuzione nelle sale, dopo un buon successo a Cannes nel 1982 e soltanto una serie di proiezioni quasi clandestine, di cui una a Rimini Cinema del 1988.

Addirittura solo un anno prima era intervenuta persino la Digos quando la pellicola era in programma a Trento ad un meeting pacifista. Da allora, il film era sparito ed era scaricabile solo su internet. Questa la difficile storia del “Leone del deserto”, che si potrebbe definire il racconto di una pagina oscura della storia italiana e del ventennio fascista. Di cui si parla nel libro del 2005 di Eric Salerno “Il genocidio in Libia visto da Eric Salerno”.

Il film si apre con le note di “Giovinezza” che fanno da colonna sonora a momenti poco vittoriosi dei nostri. Un Mussolini di maniera interpretato da Rod Steiger, già Duce per Lizzani, chiama a rapporto il sanguinario generale Graziani per sconfiggere i ribelli libici guidati da Omar al Muktar, anziano professore di religione. La guerra dei partigiani arabi e berberi contro i loro occupanti dura da ben vent’anni. Tra mille difficoltà, l’impresa andrà a buon fine, ma pochi beduini male armati e coraggiosi daranno del filo da torcere ad un esercito numeroso e dotato di carri armati e armi moderne. Sarà un vero e proprio genocidio, in cui moriranno tra stenti e malattie almeno centomila persone, comprese donne e bambini chiusi in terribili campi di concentramento nel deserto. Queste scene ricordano molto da vicino quelle del film sul genocidio armeno “La masseria delle allodole” dei fratelli Taviani.

La tragedia della guerra s’incrocia per tutta la durata dell’opera con le vicende dei protagonisti, di una giovane vedova e del suo piccolo Alì e della coraggiosa Mabrouka interpretata da Irene Papas. Il capo dei ribelli è un uomo saggio e mite ma al tempo stesso eroico, un perfetto Anthony Quinn, che salva la vita ai prigionieri e che muore con dignità dopo un processo farsa. Non tutti i militari italiani sono crudeli, ce ne sono alcuni che resistono all’orrore in cui sono caduti. La ricostruzione storica è piuttosto fedele a parte un paio di scene volute da Gheddafi per screditare il re Idris capo dei Senussi, in seguito cacciato dallo stesso dittatore dopo il suo avvento.

In buona sostanza “Il leone del deserto” è un film sicuramente di parte e attraversato dalla retorica, ma gli va dato il merito di aver riportato alla luce crimini di guerra che per troppi anni erano rimasti nascosti. E sembra quasi che per noi la Libia sia stato quasi una sorta di Vietnam. Basta sostituire la giungla e il delta del Mekong con il deserto e le montagne libiche. Per ironia del destino, il regista siriano Mustafà Akkad è morto con la figlia nel 2005 durante un attentato di Al Qaeda in Giordania ad un matrimonio in cui era ospite.

da qui

 

I tanti crimini compiuti dagli italiani durante l'occupazione coloniale della Libia raccontati con taglio epico e spettacolare in un film che pone al centro l'eroe nazionale libico che guidò la resistenza contro le nostre truppe. Censurato qui da noi, è un film forte e importante e al tempo stesso un'avventura mozzafiato interpretata da ottimi attori, primo tra tutti Anthony Quinn.

da qui

 

 

Film bellico dei primi anni '80 ma che ha il respiro epico dei kolossal dei decenni precedenti, per la durata fiume (quasi tre ore), il gran dispiego di mezzi, la spettacolarità delle scene di battaglia, e naturalmente per il cast: Quinn è magnifico nei panni di Omar Mukhtar, Reed un convincente Graziani, notevoli anche Steiger (per la seconda volta nei panni di Mussolini), la Papas e soprattutto Vallone. Inevitabile una certa propaganda in favore della Libia (tra i finanziatori figurava Gheddafi), ma sempre meno scandalosa di una censura italiana che voleva vietare la storia.

da qui

 

Domande: a) chi inventò i bombardamenti aerei? b) chi inventò l'utilizzo dei campi di concentramento? c) in quale paese occidentale la censura vieta ancora questo film? Risposte: a) e b), gli italiani; c) in Italia.***
Lungo due ore e mezzo (forse un pochino troppo), finanziato in parte dal colonnello Gheddafi, Il leone del deserto è un buon film. Uno spettacolo in ogni caso da vedere, anche per sfatare, una volta per tutte, il mito sgonfio degli "italiani brava gente". Se gli italiani non furono mai molto umani con gli arabi conquistati, la situazione, probabilmente, degenerò durante il periodo fascista: il generale Graziani e i suoi scherani non si risparmiarono nessuna atrocità, pur di mettere a tacere, inutilmente, la resistenza dei nazionalisti libici. È incredibile e intollerabile che a ventisei anni di distanza dalla sua uscita questo film sia ancora invedibile nel nostro paese, ed infatti la versione che circola è fin troppo artigianale nella (pur meritoria) realizzazione dei sottotitoli. Eppure, una gran parte del cast è italiano, a cominciare dai sempre bravi Raf Vallone (uno dei pochi soldati italiani a non fare la figura del quaquaraquà) e Gastone Moschin (un odioso capo della Milizia). Con qualche eccesso di retorica, ma con una ricostruzione d'epoca che, anche grazie agli ingenti capitali american-gheddafiani, appare accuratissima, il regista siriano Akkad (ucciso nel 2005 da un attentato terroristico in Giordania) realizza un film che funziona sia per rigore morale che per tenuta spettacolare: vi sono addirittura delle scene quasi splatter, quando i cingolati italiani passano sui corpi dei ribelli libici. Ottima la prova - forse una delle migliori della sua carriera - di Anthony Quinn (1915-2001). Buona anche quella di Oliver Reed (1937-1999), anche se non risulta la scelta più indovinata in qualità di interprete del generale Graziani. Rod Steiger (1925-2002), per la cronaca, dopo Mussolini: Ultimo atto (1974), interpreta Mussolini per la seconda volta. (15 ottobre 2007).

da qui

 

 

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