domenica 26 novembre 2023

Cento domeniche - Antonio Albanese

come tutti gli attori bravi, Antonio Albanese riesce a eccellere nell'interpretare ruoli comici, ma è bravissimo anche nei ruoli drammatici, come in questo film.

Antonio è un operaio in pensione, senza troppe pretese, vive con la mamma che ha l'Alzheimer, è in pensione, è separato, gioca a bocce, è amantedi una donna ricca, ha qualche gallina, aspetta il matrimonio della sua unica figlia, non ha nemici, è una brava persona.

è una storia dalla parte degli ultimi, umiliati e rapinati da un sistema finanziario criminale, fatto di ladri e delinquenti, a tutti i livelli. Antonio è uno dei poveri risparmiatori che si sono fidati della propria banca*, perdendo tutto.

il film è un grido di dolore, e non c'è niente da ridere, purtroppo.

il film è "stranamente" in più di 300 sale, non lasciate le poltrone vuote, è un film che merita. 

buona visione - Ismaele

*https://www.labottegadelbarbieri.org/il-risparmio-tradito/

ps: nel colloquio di Antonio col direttore della filiale, costui parla di interessi sulle azioni, è un grave errore dal punto di vista logico-finanziario, o è sfuggito, o gli autori volevano sottolineare l'ignoranza del direttore, chissà...

 

 

Al centro della trama di Cento domeniche, ambientata in un’imprecisata, tranquilla città di provincia, c’è il personaggio di Antonio, interpretato dallo stesso regista: arrivato al pre-pensionamento, dopo aver lavorato per decenni come tornitore nella fabbrica locale, l’uomo riceve la bella notizia che sua figlia Emilia sta per sposarsi col suo compagno. Sia Antonio che la sua ex moglie, con cui l’uomo è rimasto in ottimi rapporti, sono felicissimi per la ragazza: Antonio, tuttavia, è irremovibile nella decisione di farsi carico interamente dei costi del ricevimento di nozze, per organizzare il quale decide di impiegare i risparmi che ha depositato nella banca locale. Quando si reca nell’istituto spiegando di aver bisogno di liquidità, tuttavia, Antonio si trova di fronte al fare evasivo del nuovo direttore, che lascia presagire che la banca stia attraversando un periodo non proprio positivo. Mentre le voci su una crisi dell’istituto si rincorrono, e i giornali dipingono un quadro fosco, l’uomo è sempre più preoccupato: ma Antonio non può credere che la banca del paese, che per decenni ha retto da sola l’economia locale – ed era per i correntisti come “un confessionale” – possa essere sul punto di fallire. Tuttavia, i fatti si incaricheranno presto di smentire il suo ottimismo…

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Antonio Albanese non si limita solo a costruire il racconto e raccontarcelo con uno stile sobrio, asciutto, efficace, ma si carica sulle spalle il ruolo drammatico del protagonista, uomo comune, ex operaio come tanti, con sogni altrettanto semplici ma non per questo meno importanti. Un ruolo delicato che l'attore incarna senza lasciarsi andare a eccessi, senza steccare il tono del racconto e mettendosi al servizio della storia, della sua nuova storia da regista con la giusta umiltà e distanza. Non è un film che ha particolari guizzi nella costruzione del racconto e della messa in scena, è vero, ma è altrettanto evidente che l'Antonio Albanese regista dimostri ancora una volta un occhio, uno sguardo capace di trasmettere sensazioni, emozioni e tematiche della storia che va a costruire. Lo fa da regista, lo fa da attore, riesce a ottenerlo dal resto del cast, tutto in parte e capace di trasmettere allo spettatore l'empatia necessaria a comunicare l'importanza del tema e delle sue ripercussioni sociali…

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Antonio Albanese nel suo acuto discorso disegna uno scenario disarmante in cui è compresa anche una riflessione sulle classi sociali, i suoi dislivelli, il grande gap che vi è fra queste e le ingiustizie radicate. La sua regia è netta, così come la sceneggiatura che cura insieme a Piero Guerrera: niente è lasciato in sospeso, ma soprattutto alcuna sequenza gioca sull’eccesso o la teatralità. Il picco emotivo Albanese lo confina nel climax finale, sentito, giusto nei tempi, forte, accorato e commovente, in cui si concentra tutto il senso del film e il malessere del protagonista che, di riflesso, invade anche lo spettatore. Il quale, inevitabilmente, dopo il crescendo di tensione e apprensione, è più capace di assorbirlo. Come se fosse lui. E in fondo lo è. Perché Cento Domeniche non è un film dedicato solo a coloro che sono finiti nel vortice del crac. È dedicato a tutti gli italiani che, sostanzialmente, hanno perso la fiducia. E questa concretezza, questo realismo dell’opera, non possono che fare male.

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…Alla sua quinta regia cinematografica, Albanese racconta il quieto, angosciante disorientamento delle persone perbene messe di fronte ai paradossi di sistemi sempre più malati, attraverso un’opera agrodolce. Tanto toccante, commuovente e retorica nel messaggio, quanto feroce e disperata negli intenti.

Due anime filmiche irrimediabilmente contrastanti, spesso in disequilibrio nel delicato reticolato narrativo di Cento Domeniche, che vede Albanese scegliere la via della sensibilità nel narrare una storia dalla portata universale come quella dei piccoli risparmiatori vittima di crack finanziari. Una pellicola figlia diretta del corso drammatico della carriera di Albanese inaugurato con quel Grazie Ragazzi scritto e diretto da Riccardo Milani incentrato tutto sulla vita in carcere come un grande teatro dell’assurdo – e di cui Albanese era l’anima e il cuore pulsante del racconto – e che qui appare ancora più cupo, incisivo e incredibilmente riuscito.

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