mercoledì 8 gennaio 2020

The Party - Sally Potter

un incontro fra amici, per festeggiare la nomina di Janet a ministro ombra di un governo che verrà, arrivano tutti, o quasi, e si parte per un gioco al massacro (come in Carnage, di Roman Polanski).
un crescendo di rivelazioni, e di sorprese, e non si salva nessuno.
che bel mondo che vivono (e che viviamo)!
da non perdere - Ismaele




Dopo anni di impegno politico Janet (Kristin Scott Thomas) ha ottenuto finalmente il riconoscimento dovuto, sarà ministro della salute nel governo “ombra” di opposizione, e gli amici di una vita, tra cui la pungente April (Patricia Clarkson) con il “fidanzato” Gottfried (Bruno Ganz), sono venuti per festeggiare. Sennonché il marito di Janet, Bill (Timothy Spall), spiazza tutti con una rivelazione… Anzi, due. È l’inizio di una serie di scambi sempre più taglienti che portano alla luce segreti e tradimenti, con una sorpresa finale.
Il lavoro di Sally Potter, che non fa niente per nascondere la sua impronta marcatamente teatrale, è uno studio di personaggi e relazioni che seziona l’animo di un gruppo di liberal senza lasciare nessuna via d’uscita. The Party è un film “intellettuale”, ma anche capace di divertire con le battute taglienti e gli equivoci (nonché qualche situazione da vaudeville che coinvolgono un bagno dove tutti nascondono qualcosa…). Maschere di una classe sociale e politica ben definita, i personaggi riescono tuttavia a conservare una loro verità e individualità, specialmente quando in scena ci sono la Scott Thomas e la Clarkson, due amiche profondamente diverse ma sempre solidali; oppure quando il film affronta con una lodevole serietà le incertezza di una coppia lesbica di fronte alla notizia di una gravidanza “eccezionale”…

Dai dialoghi taglienti emergono faglie redatte in convenevoli salottieri, strutture di pensiero destinate alle accademie e mancanti di qualunque senso pratico («you’re a first class lesbian, and a second rate thinker», sei una lesbica di prima classe e un’intellettuale di secondadice Patricia Clarkson a Cherry Jones), necessità reciproca che altro non rispecchia se non l’estraneità al resto del mondo: la festa va in fumo, il partito di conseguenza; la circolarità si spiega come incapacità di uscita dai propri circuiti -sempre più corti-, il bianco e nero è una parabola chic che lascia il tempo che trova, e lo trova molto bene, dati i tempi.
L’ottima scrittura, soprattutto dei dialoghi, garantisce ritmo, ironia, arguzia, asprezza, causticità e altre virtù britanniche. Il cast è garanzia, la direzione è salda. E, come spesso in Sally Potter, regista e sceneggiatrice meritevole, che però raramente evade la misura della propria bravura stabile, abbiamo un buon film, con una sua personalità, da vedere.

…Tutti gli attori del cast sono stati, per scelta della regista, sempre contemporaneamente sul set durante le riprese. In questo spazio ristretto e intimo il film è stato girato con la camera  a mano, e il tutto dà un risultato di una tale concentrazione claustrofobica di energia e comicità, che da spettatori ci si dimentica quasi dei contenuti politici. Perché poi lo sfondo è naturalmente un orrendo sfondo oscuro, la Gran Bretagna sull’orlo del precipizio della Brexit, pronta alla morte come Lemming nei Monty Python. Tutti gli ideali sono scomparsi, tutte le illusioni sono svuotate come un pallone regolato dallo spirito del tempo. Tutto è strepitosamente comico pur di evitare che si pianga. Un sinistro divertimento, questo film, che bisognerebbe guardare in un loop senza fine che ci eviti di posare lo sguardo sulle tristi notizie provenienti da Londra. Sally Potter catapulta nella satira di The Party i suoi sei protagonisti, spingendoli giù dalla cima della montagna del femminismo, e lo fa in maniera estrema ed altamente comica, attraverso dialoghi di un’efficacia straordinaria. Il cinema britannico nella sua forma migliore.
da qui

Anche se Sally Potter è una regista poco prolifica (il suo precedente lavoro, "Ginger e Rosa" risale a cinque anni fa), la critica e il pubblico appassionato guardano sempre con un certo interesse alle sue opere da quando, nel lontano 1992, conquistò un po' tutti a Venezia (a parte la giuria) col suo adattamento da "Orlando" di Virginia Woolf, con protagonista una memorabile Tilda Swinton. I suoi lavori successivi (fra cui "Lezioni di tango" e "The Man who cried") non sono stati accolti altrettanto bene, ma con "The Party" l'entusiasmo degli ammiratori nei confronti della Potter dovrebbe rinnovarsi. Infatti l'autrice gioca bene la carta della black comedy e il suo sapido sguardo sulla classe (quasi) dirigente è arguto, anche se a volte può sembrare, come è stato fatto notare, fin troppo programmaticamente intelligente (comunque sempre meglio una commedia di costume in cui, ad esempio, l'omoparentalità viene accettata come un dato di fatto, rispetto a quelle in cui l'omosessualità di un personaggio viene ancora considerata un pretesto valido per scontri e confronti, non fosse altro perché questo indica una società almeno in tema di diritti civili più evoluta). La fotografia in bianco e nero del grande operatore russo Aleksei Rodionov (che i cinefili ricorderanno per il suo lavoro in "Va' e vedi" di Elem Klimov, oltre che per il già ricordato "Orlando") suggerisce la cupezza di fondo del quadro (ma la scelta è stata anche interpretata come un omaggio alla grande stagione del "free cinema" anni Sessanta).
Va detto che il film diverte molto anche grazie a dialoghi adeguatamente spassosi e ad una squadra di attori anglofoni che si adegua al registro con impagabile naturalezza, compresi quelli che finora non erano necessariamente noti per le loro doti da commedianti. Quindi speriamo di rivederli presto in chiave comica ma soprattutto auguriamoci che "The Party" non resti un caso isolato nella filmografia della regista e che i suoi prossimi lavori sfruttino ancora questa sua vena brillante.

Scritto e modulato come una black comedy ma architettato come un dramma da camera, il film è una pochade con intenti evidentemente satirici dove viene riciclato il vecchio e abusato copione della festa che si trasforma lentamente in un gioco al massacro. E se come commedia funziona benissimo calibrando umorismo e sarcasmo, descrivendo alla perfezione la maschera di ognuno dei personaggi (formidabile pur nella sua dimensione macchiettistica, la coppia Patricia Clarkson, amica cinica e disillusa della protagonista, e Bruno Ganz, fricchettone agée che parla solo per frasi fatte e banali considerazioni sul senso della vita) è però incapace di ergersi, come vorrebbe, a satira di costume su larga scala.
L’intento è quello di ironizzare, con una certa dose di autoreferenzialità, sulla sinistra borghese da salotto, quella degli intellettuali radical-chic che (non solo) nel Regno Unito – come è stato indubitabilmente sancito dalla Brexit – sta perdendo consensi e si sta allontanando in maniera sempre più netta dalla middle-class. Ma lo fa ergendo a simboli dei cliché talmente convenzionali, obsoleti e abusati (la coppia gay che aspetta tre bambini, l’intellettuale ateo e razionalista che scopre il lato spirituale in punto di morte o il manager rampante e liberal che dà di matto quando viene a sapere delle corna della moglie) da far sembrare forzature anche i normali stereotipi da commedia…

Nessun commento:

Posta un commento