venerdì 10 gennaio 2020

Pinocchio – Matteo Garrone

chi va al cinema a vedere il film si trova tutto quello che si aspetta, una storia immensa, universale e bellissima, attori molto bravi, alcune scene da applausi scroscianti, la commozione per i pupazzi prigionieri di Mangiafuoco, un giudice straordinario, insomma, un bel film.
però...
chi è un po' vecchio si ricorda di Nino Manfredi, di Franco e Ciccio, delle musiche di Fiorenzo Carpi e gli scappa di fare confronti.
buona visione del film di Matteo Garrone, intanto - Ismaele







...Il Pinocchio di Garrone è come una biglia immobile su una tavola pendente e che seppur pende da un lato impedisce alla biglia di cadere da un lato o da un altro. Spieghiamo meglio… I toni della favola ci sono ma non troppo, quelli più cupi e dark si intravedono ma restano nel buio. Cosa è successo? È Garrone che ha rincorso questa storia per così troppo tempo da non avere lucida la strada da percorrere? Doveva aspettare ancora prima di portarla al cinema? O la produzione gli ha richiesto un film che andasse in una precisa direzione pur avendo un regista bravo in tutt’altro? Una cosa è certa, questo Pinocchio in ogni caso ha ora un compito, quello di fare riscoprire una storia italiana che fa parte della nostra memoria e che va rispolverata per le nuove generazioni. Brutto non è il film, ma Garrone avrebbe potuto fare molto meglio. Il regista ha dimostrato in più di un’occasione di sapere raccontare il mondo delle fiabe, Il racconto dei racconti è una chiara prova ma anche L’imbalsamatore o Dogman lo sono se pur nerissime. In questa favola qualcosa però non va. È la maledizione di un classico universale? La risposta la daranno gli spettatori anche se Garrone ha messo le mani avanti: “il mio cinema è spesso associato a toni cupi o violenti, ma in questo caso ho voluto fare un film adatto a tutti, grandi e piccini, mantenendo lo spirito del testo originale e inglobando aspetti ironici e leggeri”…

in questa atmosfera, dominata sì dal favoloso – con animali che interagiscono con uomini, uomini che si trasformano in animali (i classici bambini trasformati in asini del Paese dei Balocchi), presenze sovrannaturali e vere e proprie magie – ma che comprende anche il realismo verista della vita dura della campagna e della costa, che si gioca tutta la vicenda, narrativa e poetica di Pinocchio. Alle bastonate seguono le lezioni morali. E alle buone intenzioni ancora gli errori, le ingenuità, le disavventure e i (rari) gesti di umanità. Tutto raccontato con ritmo, anche visivo, in una tensione che precipita nella scena del ritrovamento di Geppetto nel ventre del pesce-cane. Nel romanzo è qui che Pinocchio dimostra, anche nell’eloquio più complesso, una nuova maturità. Nel film questo stesso atteggiamento è tradotto nel piglio deciso, coraggioso e generoso, con cui prepara la fuga insieme al babbo. È l’ultimo snodo.
Ma a differenza di Collodi, che mal sopportava la metamorfosi finale, imposta quasi dal genere stesso del romanzo di formazione, Garrone rende la trasformazione di Pinocchio da burattino a bambino come un traguardo. È il termine di un percorso di consapevolezza che deriva, più che dalle lezioni del Grillo Parlante, dall’esperienza della cattiveria ma anche della bontà del genere umano.
Il moralismo antipatico del finale del libro diventa nel film, insomma, una lezione di attualità. Come Pinocchio, tutti cascano negli stessi errori, tanti si fidano dei vari Gatti e delle varie Volpi che popolano ancora questo mondo, molti scelgono di ignorare e di convincersi che sia un bene farlo: risultato, una stupidità collettiva. Esiste una soluzione, in assenza nel mondo reale di Fate Turchine e Grilli parlanti? Certo: lo studio, il lavoro e la responsabilità. Dirlo nel 1881 era uno scrupolo pedagogico. Mostrarlo nel 2019 sembra una raccomandazione rivoluzionaria.

nelle omissioni si può leggere un significato tutt’altro che banale o secondario. Di più: è possibile rintracciarvi una smentita ufficiale e poderosa dell’opera stessa di Collodi, un suo ribaltamento. L’ideologia borghese presente nel testo viene difatti prima depotenziata e quindi smontata da un lavoro certosino a favore sempre degli ultimi della classe, che non sono obbligati a seguire la morale corrente per dover trovare un proprio posto in società ma devono semmai imparare l’aiuto, la rispondenza dell’altro, il ruolo della collettività. Se il burattino di Collodi doveva maturare per divenire un buon borghese da inserire in una società giovane e colma di speranze (l’Italia unita aveva dopotutto poco più di un decennio, se si considera anche la liberazione di Romv dal giogo Vaticano), il Paese raccontato da Garrone è oramai corrotto, malsano, dominato dalle ingiustizie – Pinocchio sta per essere incarcerato non “nonostante” sia innocente, ma proprio “perché” innocente. Nell’eliminare il capitolo in cui Pinocchio impara a fare il cane da guardia e quello in cui salva il cane-poliziotto, Garrone sta suggerendo allo spettatore una nuova prospettiva politica nella lettura del romanzo. Non è un caso, dopotutto, che anche sulle reiterate bugie del burattino, riscontrabili dall’allungamento parossistico del naso, il film glissi senza farsi troppi problemi. Non è la maturazione di un bambino da bugiardo a sincero e ubbidiente a interessare Garrone, ma la sua crescita emotiva: Pinocchio può ottenere dalla Fata Turchina la carne e le ossa quando l’affetto per il padre lo spinge a fare qualsiasi cosa per garantirgli un bicchiere di latte. Un bildungsroman non solo meno ricattatorio verso l’infante, ma che sottolinea anche un orgoglio di classe (Pinocchio non si fa più abbindolare dal Gatto e dalla Volpe, ma ottiene i soldi lavorando i campi)…

Pinocchio è un film che non spicca per eccellenze particolari a esclusione di quella visiva, quasi impensabile per una produzione italiana moderna (non tanto per i costi quanto per la scarsa volontà di puntare a progetti simili), mancando l’occasione di imporsi in maniera più autorale. La mano di Garrone si sente, ma anche il freno che si è imposto per non intaccare l’opera originale, dando vita a una trasposizione forse un po' vuota, ma sicuramente perfetta per i puristi, totalmente asservita alla messa in scena.

aspetto visivo non basta da solo a promuovere un film che ha già in primis il duro compito di eludere la struttura di un plot fin troppo famoso e l’amore per il testo originale di Collodi non riesce a fare la differenza, risultando fin troppo freddo e scontato per un pubblico più adulto e cinefilo. Probabilmente da un regista importante come Matteo Garrone è lecito aspettarsi sempre qualcosa di più, anche perché ci ha abituato da anni a pellicole nettamente più crude e anticonformiste che hanno saputo scuotere il pubblico nostrano e guadagnandosi il rispetto e la meritata notorietà anche nel resto del mondo. Pinocchio di Matteo Garrone però, contrariamente a quanto ci si poteva attendere, è una piacevole favola per tutta la famiglia che, seppur non aggiungendo nulla di nuovo, è fatta della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni e riuscirà a toccare i cuori degli spettatori e a far riflettere.

…Le parti più belle e convincenti del film, le più sontuose esteticamente, sono quelle dove Garrone porta in scena il circo di felliniana memoria. Sono le marionette del teatrino di Mangiafoco (Gigi Proietti) con la loro natura di freaks a rivelare il substrato di fenomeno da baraccone che Pinocchio reca in sé, oppure il circo in cui il Ciuchino-Pinocchio è portato a esibirsi dopo la sua trasformazione animalesca. Un freak è anche il Grillo parlante (Davide Marotta) e poi i Conigli mannari dall’evidente accento napoletano, tutti personaggi dediti a portare un po’ di anomalia in questo film ripulito in ogni suo punto, girato con mano sicura e dotato di una fotografia più che elegante. L’estetica ha ancora una volta mostrato la sua forza persuasiva in Garrone celebrando il proprio trionfo in modo simile al cinema del suo rivale-compagno Paolo Sorrentino. Il protagonista alla fine non è tanto il burattino ribelle, quanto piuttosto l’Italia con il suo mare e le sue spiagge, i suoi villaggi, i palazzi e le ville, le fortificazioni, un paese miserrimo eppure bellissimo, in cui la natura fa da contorno agli uomini e alle loro difficili vite. Un Paradiso terrestre, o un Presepe oleografico, dove anche un anomalo, com’è il burattino di Collodi, può trovare lo spazio giusto per la sua avventura picaresca. Pinocchio per Garrone non ha commesso nessuna colpa, non deve espiare nessun peccato, neppure d’aver abbandonato la scuola, d’essere stato cattivo e disubbidiente con il suo papà, e con la Fatina dai capelli turchini, che è una madonnina soccorrevole, più convincente nella versione bambina (Alida Baldari Calabria) che non in quella di donna adulta (Marine Vacth)...

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