venerdì 31 maggio 2019

Il traditore - Marco Bellocchio

la mafia vista con gli occhi di Tommaso Buscetta, per lui esiteva una mafia onorevole e una spregevole.
il suo pentimento non era contro la Mafia, ma contro "quella" mafia.
Bellocchio riesce a tenere attaccati alla poltrona del cinema gli spettatori, che non staccano gli occhi dallo schermo (a parte quei minorati che vanno al cinema a controllare i messaggi nello smartphone, poveri infelici) per due ore e mezzo.
e Pierfrancesco Favino è grandissimo, in un film di serie A da non perdere, al cinema, se vi volete bene, è un film spettacolare e d'impegno civile insieme, indimenticabile.
buona e bellissima visione - Ismaele









Le sequenze del processo rendono alla perfezione la situazione surreale e quasi pornografica dei silenzi e delle sceneggiate mafiose. Scene lunghe che raccontano il circo a cui giudici, giornalisti, pubblici ministeri, avvocati hanno assistito. 
Ma il momento più inquietante di tutti rimane quello che ha per protagonista il processo ad Andreotti, che non a caso Bellocchio mette in scena in mutande (nel senso letterale, la prima volta che compare si sta facendo realizzare un abito e quindi è in desabille). Ma questa storia ce l’ha già raccontata Paolo Sorrentino, e sappiamo tutti come va a finire.
Il Traditore alla fine è anche un film filosofico, un film sulla morte, la morte che arriva per tutti, la morte che arriva e basta. Morire è un po’ come giocare al gioco delle sedie. Morire nel proprio letto è la massima aspirazione, la vera vittoria. Vittoria che alla fine Buscetta otterrà, ormai vecchio, malato, sempre più ossessionato da una vendetta in arrivo, nella sua casa a Miami.

In un’intervista Bellocchio ha dichiarato che questo film ha rappresentato una novità per lui, nel senso che è il primo film in cui in cui qualche modo non parla di sé, in cui non ha messo se stesso: occorre riconoscere che, forse grazie a quest’alterità rispetto ad un personaggio assolutamente diverso, Bellocchio ci consegna uno scioccante capolavoro. Di questa sua terza, felice stagione creativa (dopo l’esplosivo esordio con “I pugni in tasca”, la dubbia fase “psicoanalitica” e il ritorno ad una nuova poetica cinematografica con “Buongiorno notte”), “Il traditore” è senz’altro il più potente, il più forte, il più vero e al tempo stesso fantastico. Cronaca, cronaca italiana piuttosto nota a tutti, che nelle mani del regista, diventa poesia. Tra le molte che si possono scegliere, in un film lineare come sono i film biografici ma complesso per la continua incursione della fantasia nel reale, le due angolature che mi paiono più psicologicamente, e psicoanaliticamente pregnanti, sono la personalità di Tommaso Buscetta, e il suo rapporto col giudice Falcone…

Se non proprio epico, certamente poetico è il Buscetta di Bellocchio: un uomo nato nella povertà, con un destino segnato, che riesce ad incidere su quel destino sollecitato dal comprendere lo spirito del tempo e grazie ad un incontro ‘mutativo’, l’incontro con un simile nella differenza, con cui “gli piace parlare, discutere, anche litigare….mi piaceva la sua testa”, dirà in un’intervista.
Il film percorre tutta la parabola del personaggio fino alla fine, seguendo parallelamente i fatti storici e il destino di quelli che ha denunciato, mantenendo una tensione continua quasi come in un giallo. Eppure non si aspetta nessun colpevole: è la tensione che deriva sia dalla potenza scenica, sia dal contatto empatico che si stabilisce con la mente di un uomo di cui percepiamo, nelle pieghe, tutta la sofferenza, la dignità, la confusione, il rimorso, il rimpianto di non aver avuto un destino diverso (mi spiace non avere cultura, dirà all’atto finale del processo). Comprendiamo infine, nei pochi istanti finali in cui “si confrontano”, l’assoluta differenza con Totò Riina: Buscetta è molto più simile a Falcone che al suo rivale Riina. A differenziarli non è solo l’appartenenza a due clan diversi, l’uno più ‘storico’, l’altro più spietato, ma una precisa psicologia nel rapporto col principio di piacere: Riina ne è totalmente privo, non si godette niente della fortuna accumulata, mente a Buscetta, fino ad un certo punto, piaceva vivere.
Attorniati dalla moltitudine, e costantemente in pericolo, Buscetta e Falcone sono due uomini soli. Il film rimanda perfettamente, nel canto brasiliano sulla “soledad”, il senso profondo di una solitudine irriducibile, insanabile. Soli nella Storia, ma autenticamente insieme nel loro incontro.

L'interpretazione di Pierfrancesco Favino è eccellente e risulta l'elemento di maggiore coesione emotiva dell'intero film, con l'attore italiano che conferisce una statura da personaggio tragico e dolente al suo Buscetta; buone anche le partecipazioni di Luigi Lo Cascio, Fabrizio Ferracane e Fausto Russo Alesi nella parte del giudice Falcone. Qui Bellocchio non eccede in virtuosismi registici, a differenza delle sue opere meno riuscite, mantiene intatto il gusto della composizione figurativa che aveva dato i massimi risultati fra le sue opere recenti in "L'ora di religione" o in "Vincere", forse pretende un pò troppo dallo spettatore in termini di durata. La critica anglofona a Cannes non è andata in visibilio, ma in compenso il film è stato venduto in molti paesi e alla fine della proiezione ci sono stati 13 minuti di applausi; io avrei dato almeno un premio a Favino, magari in ex-aequo con Antonio Banderas.

 Marco Bellocchio è il più grande regista italiano vivente. I suoi film non appartengono ad alcun genere codificato, tanto forti sono lo stile e la personalità: sono i suoi film, e basta. Ed è molto difficile dire quali sono i migliori. Ma il "Il traditore" potrebbe essere tra questi: la puntuale ricostruzione storica, innervata da una dolente vena onirica e melodrammatica, della vicenda del superpentito di mafia Tommaso Buscetta.

L'apertura è degna del maestro, una gran festa da ballo dalle cupe movenze, con cui le "famiglie" mafiose siglano un effimero accordo: è il 15 luglio 1980, Santa Rosalia. Dalla splendida sequenza, che richiama tanto "Il Gattopardo" di Visconti che "Il Padrino" di Coppola, prende avvio la vicenda: Buscetta sente che la pax mafiosa non durerà, che il gigantesco business della droga sconvolgerà il suo mondo, che un'immane tragedia personale e familiare dalle sfumature quasi scespiriane incombe sui di lui…
da qui

…Non è affatto un agiografia, e del resto lo si capisce fin dal titolo. Bellocchio "usa" Buscetta come pretesto per raccontare un pezzo difficile di storia italiana, in un paese che non ha mai fatto i conti fino in fondo con il proprio passato (con la mafia, con il terrorismo, con il fascismo...) ben evidenziando le lunghe ombre e i troppi segreti irrisolti della nostra democrazia. Buscetta è una persona spregevole e sa di esserlo, ma è ben consapevole di far parte di un "sistema" che produce mostri per sua natura, per il lassismo delle istituzioni e per il marcio della sua classe dirigente (non a caso nel film viene riportata fedelmente la celebre frase di Falcone "ho più paura dello Stato che della mafia...")…


2 commenti:

  1. Grazie mille per la citazione! Sono in ottima compagnia... merito di questo film grandioso!

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    1. noblesse oblige, speriamo di vederne tanti, di film così belli e importanti...

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