lunedì 6 maggio 2019

Ancora un Giorno (Another Day of Life) - Raúl de la Fuente, Damian Nenow

Ryszard Kapuscinski, unico reporter polacco in Africa della Tv di stato polacca, va in Angola per capire cosa stava succedendo.
i portoghesi erano andati via, loro facevano la rivoluzione dei garofani.
In Angola il Mpla, che era destinato a succedere ai portoghesi, si era trovato contro un esercito di mercenari, sostenuto dal Sudafrica (che poi invaderà l'Angola), a sua volta sostenuto dagli Usa (un famoso e potente stato canaglia, alleato, e sostenitore politico ed economico, degli stati canaglia che praticano l'apartheid, allora il Sudafrica, adesso Israele). 
meno male che i cubani contribuirono alla lotta del Mpla.
il film racconta la storia di Ryszard Kapuscinski, delle sue amicizie, del suo coraggio, delle sue domande, di Carlota, di Farrusco.
è un film bellissimo, cercalo, non te ne pentirai mai - Ismaele







Kapuscinski, uno dei più grandi reporter di tutti i tempi, quello che meglio ha saputo descrivere il processo di decolonizzazione dell'Africa, è il protagonista di questa storia, ispirata al suo libro uscito postumo 'Ancora un giorno'. 
1975: la storia dell'indipendenza Angolera, passata attraverso una brutale guerra civile supportata da USA e URSS, è stata uno dei tanti teatri di quella guerra fredda che aveva trovato il suo apice in Vietnam. Come in tante guerre civili la 'confusao', il caos, la fanno da padrone. Kapuscinski non ha timore di immergervisi capo e collo, per provare a raccontare al mondo ciò che va succedendo nel cuore dell'Africa. Ed è un viaggio prima di tutto emotivo, raccontato attraverso straordinarie sequenze oniriche che ricordano la poesia che trasudava un altro film d'animazione di scottante attualità, 'Valzer con Bashir'.
Intervallate a immagini di repertorio e interviste d'oggi, in un continuo gioco tra passato e presente, tra realtà e possibilità, tra imparzialità del cronista e sua responsabilità nei confronti della storia che sta raccontando, tra caos e controllo. 
Un film davvero ben diretto, dai temi alti, sperimentale nell'approccio narrativo e trascinante dall'inizio alla fine.

…Ancora un giorno è un film su come l’etica umana debba per forza scontrarsi coi limiiti del giornalismo imparziale. E soprattutto su come un processo di decolonizzazione possa brutalmente trasformarsi in una guerra civile. Un moto di liberazione in una generale confuçao. È in questo clima di disintegrazione che la stessa realtà pare trasformarsi in un incubo lucido. Carrarmati e proiettili si sfibrano come molecole di tempera sotto effetto dell’adrenalina e della paura. Vecchi banchi universitari diventano schegge di memoria tra cui fluttuano vittime, superstiti, protagonisti di una vita passata…
In appena 85 minuti un team di 200 esperti è riuscito a restituirci tutto ciò con estrema e rarissima potenza narrativa. Ancora un giorno ci si offre come una vigorosa istantanea a colori sui modi di una guerra fratricida, sporca, e sui valori etici (quasi autodistruttivi) di reporter d’eccezione. Il risultato è un documentario epico, spiazzante, unico nel suo genere. Capace di mantenersi fedele a uno dei suoi assunti principali: «La povertà non può parlare quindi ha bisogno di qualcuno che parli per lei». E di ridare dignitosamente voce a una determinante ma impolverata pagina di storia mondiale.

…Uno dei temi dominanti della poetica del Kapuściński narratore era la memoria. La sua penna e la sua macchina fotografica potevano consegnare tracce di attimi che altrimenti si sarebbero perse nel tempo.
Il momento chiave nel film su questa tematica è l’incontro con Carlota, affascinante guerrigliera del Mpla che deve portare il reporter da Farrusco. È la migliore di tutto il contingente: ha una sua guerra privata per migliorare l’educazione dei ragazzi angolani. Sognava di fare l’infermiera per aiutare la gente. Chiede al reporter di fotografarla, per trasmettere ai posteri il suo volto e quale fosse il suo posto nel mondo.
Durante la missione, la donna capisce che il suo convoglio rischia di subire un’imboscata e ordina al reporter di tornare indietro. Lei non sopravviverà. Il senso di colpa e il senso di vuoto provocato da questa perdita umanizzano ancora una volta il reporter, rendendolo partecipe degli eventi, più che semplice osservatore…

La pellicola è il primo tentativo, assolutamente riuscito, di traslare dalla prosa al grande schermo uno dei capolavori del giornalista polacco. Stile encomiabile che con assoluta armonia mescola graphic novel, interviste, riprese documentarie e immagini di repertorio. Ma l’unicità del lavoro sta nel fatto che oltre ad essere un preziosa testimonianza storica e un progetto energico, nuovo, e di ottimo livello, è anche un manifesto professionale come pochi se ne sono visti negli ultimi anni.
Attraverso il racconto dell’esperienza di Kapuscinski, le sue riflessioni, i suoi pensieri, le sue domande senza risposte, le sue frustrazioni, le sue volontà personali sospese tra l’etica , la dedizione professionale e le richieste del momento storico; viene descritto, con una comprensibilità cristallina, una delicatezza a tratti liturgica e una sensibilità umana rara, quello che è lo scopo di un reportage e il fine di spingersi là dove non va nessuno: la volontà di conoscere, di ricercare l’uomo, chiunque esso sia, e di immortalarlo sempre e per sempre.
Grandi nomi, numeri, vicende collettive, è questo che tramanda la storia, sono invece i singoli, gli uomini e le donne di ogni giorno, coloro verso i quali deve riporre la sua attenzione il cronista. Senza pregiudiziali e catalogazioni ma con la volontà continua di stupirsi altrimenti, nel momento in cui lo stupore viene meno, come riflette lo stesso Kapuscinski nel film: ”Qualcosa, forse la parte più preziosa, è morta per sempre in un uomo”…

…Jan Assmann, nel suo libro La memoria culturale. Scrittura, ricordo e identità politica nelle grandi civiltà antiche (1992), distingue una memoria “comunicativa” – quella derivata dall’interazione personale con un soggetto narrante che garantisce l’esperienza raccontata, dunque una dimensione organica della memoria – e una memoria “culturale” – quella affidata a processi di estrinsecazione e oggettivazione del passato (all’interno di simboli, riti sociali, istituzioni), dunque una dimensione mediale della mnemotecnica.
Documentare (in senso filmico) un’esperienza vuol dire necessariamente proiettare uno dei due livelli sull’altro, far aderire il soggettivo all’oggettivo, o viceversa. Il documentario classico sceglie normalmente di partire dal primo tipo di memoria, il racconto personale, trasformando quest’ultimo in un racconto “universale”, a più mani e a più direzioni, oggettivandolo attraverso una tecnica che lo fissi in uno schema narrativo esposto al suo “intorno”. Una tendenza strettamente contemporanea sembrerebbe affidarsi, invece, ad un percorso inverso: quello cioè che parte da una memoria già culturalmente oggettivata, un’immagine d’archivio ad esempio, riadattandola ad un racconto ad essa estraneo, spesso di carattere intimo. In entrambi i casi – e forse il secondo si sta dimostrando vincente – ciò che si cerca di fuggire è la messa in scena della propria storia da parte di un soggetto chiuso entro i limiti del suo punto di vista sugli eventi narrati

Ibridando il genere del reportage “puro” e quello della narrazione, lo stile di Kapuscinski ha fatto sì che il suo nome rimanesse nella storia del giornalismo mondiale (tanto da essere spesso inserito nelle liste dei possibili premi Nobel). Se infatti Ancora un Giorno tiene incollati allo schermo mentre racconta i fatti della guerra, è nel segmento finale che raggiunge il suo climax, quando Kapuscinski si trova a fare i conti con l’etica professionale. Egli possiede delle informazioni che potrebbero cambiare il senso del conflitto e si chiede dove finiscano i doveri del giornalista e dove inizino quelli dell’essere umano. Quella ‘cosa’ la sa solo lui, in tutto il mondo. Ha nelle mani lo scoop che ha inseguito per tutta la carriera ed è conscio che potrebbe costare la vita a centinaia di persone. Ripensa allora alle lezioni universitarie, nelle quali uno studente insinuava che senza i giornalisti le guerre sarebbero diverse. Non vi spoileriamo nulla, ovviamente. Vi diciamo solo che quel minuto di scena giustifica da solo il proverbiale “prezzo del biglietto”.

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