domenica 7 ottobre 2018

L'Uomo che Uccise Don Chisciotte - Terry Gilliam

chi veste i panni di don Quijote lo diventa, capita a Jean Rochefort (a cui il film è dedicato), capita al calzolaio, capita a Ciccio Ingrassiacapita al regista nella pellicola, e nella realtà.
il film (definitivo?) di Terry Gilliam è ricchissimo, forse anche troppo, il ritmo è vertiginoso e i colpi da scena sono continui.
quando don Quijote diventa una macchietta per la pubblicità, fra le risate e le offese, lui resiste, non si cura della gentaglia, se non per salvare Dulcinea.
che brutto il mondo dove si trova (ci troviamo) a vivere, dove tutto si può comprare, vendere e rubare, ma lui non è in vendita, lui resiste, e la sua resistenza è sempre fuoritempo e sempre necessaria, lui non potrebbe fare altrimenti.
merita, merita - Ismaele





C’è tanto amore per la letteratura e per il cinema in quest’opera di Terry Gilliam. Il film non è perfetto, ha diversi difetti, soffre anche le innumerevoli rielaborazioni al quale è stato sottoposto in 25 anni ma non si non voler bene a Don Chisciotte e alla sua voglia di dimostrare alla sua Dulcinea il suo valore.
Ognuno insegue la propria Dulcinea da salvare. Terry Gilliam vede nel suo film la sua amata arta che lo riporta in costante misura nella giusta direzione. Don Chisciotte ha nel mirino quella Dulcinea fonte di ispirazione per le sue avventure. Toby insegue la sua Angelica. La Dulcinea incontrata anni prima e che ha rapito, senza saperlo, il suo cuore.
Jonathan Pryce è il perfetto Don Chisciotte, il cavalier errante che ti aspetti. Così vero e così fantasticamente effimero. Il cavaliere improvvisato che la mente dello spettatore aveva creato leggendo i libri di de CervantesAdam Driver è quello scudiero innamorato del suo lavoro con la coscienza del suo amore ritrovato. Perfetto anch’esso nell’interpretazione. La bellissima Angelica ha il volto di Joanna Ribeiro. C’è tanta tenerezza nella storia d’amore tra Angelica e Toby così come  c’è tanta sincera ammirazione e  commozione per il Don Chisciotte disegnato da Gilliam.

il viaggio surreale, comico, completamente assurdo e dai toni farseschi, a tratti bambineschi, che smorzano violenza e sessualità (pur presenti) forse più di quanto ci si aspetterebbe ma comunque in linea con quel che vorremo da Terry Gilliam, a maggior ragione da Terry Gilliam alle prese con un progetto che l'ha perseguitato per quasi metà della sua vita. L'uomo che uccise Don Chisciotte è un film scombinato, con il classico finale sospeso e inconcludente, che vive forse più delle sue clamorose componenti tematiche, narrative, metacinematografiche, visive, attoriali, rispetto a un insieme sfuggevole e scombinato. È un film ovviamente non in grado di soddisfare l'aspettativa che qualunque persona sana di mente avrebbe in testa per l'opera inseguita trent'anni, ma è del resto un film scritto, diretto, interpretato, pensato da persone che sane di mente non lo sono fino in fondo e che di certo vuole parlare a chi sano di mente non lo è mai stato.

…Il personaggio di Don Chisciotte è la metafora della ricchezza della fantasia contro il cinismo della realtà, la potenza dell'immaginazione è l'alabarda con cui il cavaliere combatte contro i mulini a vento che lui vede come dei pericolosi giganti. È oltretutto significativo che nelle prime sequenze del film Toby giri il suo spot commerciale con un finto Don Chisciotte all'interno di un campo eolico, dove le pale del vecchio mulino ricostruito per il set è circondato dalle pale eoliche che girano vorticosamente, in un affiancamento visivo tra passato e presente, tra finzione e realtà, tra artigianato e tecnologia che diventano anche la cifra stilistica dell'opera di Gilliam. Ma non esiste, appunto, un solo Don Chisciotte. Tutti noi lo siamo e la sua moltiplicazione sullo schermo è una metafora di un'icona che sopravvive a se stessa. Abbiamo quindi il primo durante la ripresa dello spot con cui inizia "L'uomo che uccise Don Chisciotte"; il secondo durante il film con lo stesso titolo, girato dal giovane Toby, con intere sequenze in bianco e nero che si incistano nel corpo dell'opera di Gilliam; il terzo, protagonista del film di Gilliam, Javier, che crede di esserlo e di vivere nel passato (o in un presente alternativo); infine, un quarto, lo stesso Toby che, dopo aver ucciso per errore il vecchio Javier, impazzisce di dolore e diviene egli stesso Don Chisciotte. Fin qui, è ciò che si vede sullo schermo. Ma al di là della messa in quadro, l'aspetto metacinematografico che mette in scena Gilliam, lo trasforma in un altro Don Chisciotte che combatte contro i mulini a vento delle avversità della produzione cinematografica, rapito dalla realizzazione di un sogno, così come molti protagonisti della troupe, composti da altri don chisciotte e sancho panza (dal direttore della fotografia, l'italiano Nicola Pecorini, al co-sceneggiatore Tony Grisoni, che lo hanno seguito nell'avventura in tutti questi anni fin dall'inizio). La moltiplicazione della figura di Don Chisciotte diviene così la metafora dell'immortalità di un personaggio che materializza in corpo e volto la voglia di sognare di ogni uomo in cerca di libertà di creare un mondo a sua immagine e somiglianza…

Siamo davvero sicuri che Gilliam s’identifichi in Don Chisciotte? Anche lui lotta contro i mulini a vento, è vero, ma c’è molto di lui anche in Toby, inseguito dalle richieste e dalle pretese assurde dei produttori, e alle prese con le sue stesse creazioni, che continuano a sfuggirgli di mano.
Questo film dopotutto, spogliato dalle sue sfavillanti scenografie, sembra volerci ricordare una cosa tanto ovvia quanto poco considerata: fare cinema, raccontare storie, ha sempre delle conseguenze. E credere che non sia così è da ingenui, proprio come il nostro Toby-Da-Giovane. Non si può giocare con le vite degli altri, mischiare la realtà alla finzione e poi alla fine di tutto calpestare ciò che ne rimane. Far credere loro di essere valorosi cavalieri o dolci fanciulle da salvare con un futuro davanti pieno di grandi avventure. La realtà fa ancora più male dopo aver avuto il privilegio di vivere, anche solo qualche ora, nella finzione di qualcun’altro. Niente è per sempre, e quando la magia finisce, la triste, grigia e piatta realtà torna a svuotare le vite, e le conseguenze possono essere disastrose, per le persone fragili. 
Non per Toby, che la vita ha trasformato in un duro, disilluso, senza amore, senza memoria. Ma il momento per ricordare arriva per tutti, arriva sempre, e il percorso che si troverà a fare è proprio quello a ritroso che lo porterà alla consapevolezza delle sue responsabilità verso i troppi conti in sospeso. 
“Pensi che spiegare spieghi ogni cosa?” Dice il visionario Don Chisciotte al “babbano” Toby-Da-Grande. 
E allora come possiamo provare a fare arte, coinvolgendo le persone nelle nostre invenzioni, ispirandoci alla realtà, trasfigurandola, senza far diventare matta la gente? Facendo le cose con il cuore. Mantenendo le nostre promesse. Non scendendo mai a compromessi. Che è poi esattamente ciò che ha fatto Terry Gilliam con il suo Don Chisciotte. Non l’hai mai abbandonato, dopo tutto questo tempo. 
Se questo non è vero amore, io non so davvero che cosa sia.

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