mercoledì 24 ottobre 2018

Dead Man Down - Il sapore della vendetta - Niels Arden Oplev

Colin Farrell non delude mai, qui in un film d'azione che sembra un filmetto come tanti, sulla carta, in realtà si fa vedere davvero bene.
Niels Arden Oplev riesce a tenere alto il livello della storia, dosando morte e amore, senza annoiare mai.
buona visione - Ismaele





…L’asso nella manica del regista danese è la debordante componente melodrammatica di Dead Man Down, enfatizzata dalla fisicità dei due protagonisti. Lasciandosi trascinare in questo tourbillon di vendette personali e sentimenti irrefrenabili, che prendono il sopravvento e rattoppano il côte gangsteristico, si possono probabilmente apprezzare anche gli eccessi narrativi. Tra i tanti, l’irruzione suicida con la macchina nel villino: una classica e impossibile situazione di “uno contro tutti”, con i proiettili che fischiano all’impazzata mancando sistematicamente l’eroe senza paura, ma non senza macchia. E allo stesso tempo, probabilmente, ci si può immergere nel mood della sequenza, che sembra presa di peso dal cinema hongkonghese anni Ottanta/Novanta. Insomma, un interessante cortocircuito geografico: Danimarca, Hong Kong e Stati Uniti. Ma non solo, visto che il tenebroso Victor è ungherese e la sfortunata Beatrice francese. Un melting pot che ci trascina in una New York grigia, tra capannoni industriali che nascondono macabri segreti e palazzi che ospitano silenziose solitudini.
La storia d’amore tra Victor e Beatrice e le ferite interiori e fisiche del loro passato sono il motore del film, la vera ragion d’essere di Dead Man Down. Più della vendetta, delle sparatorie e del piano arzigogolato contano la redenzione e il riscatto. È il viso sfigurato di Beatrice/Noomi Rapace (in netta ripresa dopo Sherlock Holmes – Gioco di ombre e Prometheus) a distogliere l’attenzione dalla maldestra detection della banda di Alphonse; sono le ombre e i fantasmi di Victor/Colin Farrell (attore dalle scelte spesso imprevedibili) a prendere il sopravvento su alcune sequenze dal basso grado di verosimiglianza. È la potenza del melodramma a riscattare un vengeance movie altrimenti meccanico e convenzionale…

Badando poco al bunker dei ricordi che sa di parecchio già visto, in particolare ci colpiscono alcuni punti del film: il momento della cena al ristorante, con i goffi tentativi di Victor e Beatrice di camuffare la verità sulla rabbia che covano, sull'accecata sete di giustizia, lasciando però trapelare quanto desiderino disperatamente ricominciare con qualcuno; le persecuzioni che Beatrice subisce quotidianamente dai bambini del quartiere, culminate sul vestito chiaro depositario di sogni e aspettative, pagina bianca da voltare che ancora una volta si macchia di sangue; il legame profondo e protettivo che la stessa ha con la madre (una splendida e sempreverde Isabelle Huppert), parzialmente sorda, con cui condivide il problema della disabilità.
Dettagli apparentemente insignificanti, ma da cui s'intravede lo zampino di una sensibilità europea, infiltrata anche nella miscellanea di un cast di provenienza francese, ispano-svedese, irlandese ed inglese. Un'influenza che fortunatamente si ripercuote sulla retorica a stelle e strisce, riuscendo a smorzarne la tradizionale stucchevolezza.

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