l'ho visto quando erano presenti anche Francesco Pannofino e Felice Farina.
è un'accoppiata film-documentario, un modo per ricordare la nostra storia recente, ispirato da un libro di Enrico Deaglio ("Patria 1978-2008") che fa la cronistoria di quegli anni.
i tre protagonisti sulla torre parlano, discutono, ma i loro discorsi sono un po' retorici, autistici e impotenti, e intanto quella giornata li fa conoscere meglio, anche se "l’era dello sfruttamento così non diventa più breve" (usando le parole di Bertolt Brecht).
un film per fare memoria, che fa male ma serve per capire - Ismaele
ps: non adatto a chi soffre di vertigini
L'operaio Salvo si arrampica sulla torre
della fabbrica dove lavora, per protesta contro il licenziamento, o forse solo
per rabbia cieca, minacciando di buttarsi giù. Giorgio, operaio e
rappresentante sindacale, anche se di carattere e fede politica del tutto
opposti, sale per aiutarlo. Luca, custode ipovedente e autistico, si aggiunge
per fare loro compagnia. Nell'arco di una notte, ripercorrono gli ultimi
trent'anni della vita del paese.
«Ho tradito le forme del documentario con
un esperimento, inseguendo la memoria di un film amato, che è Hiroshima
mon amour di Resnais: quel modo di legare i frammenti di repertorio
allo svolgersi di un racconto presente, quel fonderli in una sola cosa
sincronizzando le emozioni della Storia a quelle dell'azione scenica. Il
risultato è indefinito, come indefinito è l'oceano di ombre e luci della
memoria». [Felice Farina]
Ci voleva Felice Farina per far diventare
la controstoria di Enrico Deaglio, Patria, un film di sentimenti, ricordi,
carne viva. Una protesta più casuale che consapevole di due lavoratori e di un
matto illuminato diventa il dialogo tra un italiano (Citran), un antitaliano
(Pannofino) e un non so (Carlo Giuseppe Gabardini). Farina li confina in una
torre, da cui loro buttano ciò che odiano, in cui si scoprono simili, nelle
differenze che la post ideologia ha consegnato loro più per abitudine che per
riflessione. L'Italia sbagliata dell'ultimo trentennio passa in flashback di
repertorio, iconografia in movimento del nostro fantasioso squallore, e nelle
loro parole. Fin quando arriveranno Roberto Baggio e la solidarietà. Perché
Farina sa che l'unione fa la forza dei lavoratori e che da combattere, prima
del Potere, è la guerra tra poveri. [Boris Sollazzo]
…La storia di finzione che Farina ha innestato sulle suggestioni
storiche del libro di Enrico
Deaglio che del film è
stato il punto di partenza, sono poco più che pretestuose. I tre protagonisti
sono tre figurine stereotipate e monodimensionali, plausibili e banali allo
stesso tempo, la cui unica funzione è quella di citare un po' forzatamente gli
eventi che s'insinuano nel film sotto forma d'immagini di repertorio, e di
fungere da sommario di quella storia bignamesca che Patria rappresenta.
Va certamente riconosciuto il lavoro notevole svolto da Esmeralda Calabria, montatrice, che accavalla le immagini con intenti evocativi e riesce a toccare le corde emotive dello spettatore, ma è il semplice susseguirsi degli eventi e il suo lineare incrociarsi con la cornice fiction a penalizzare questo risultato.
Con il suo pedagogismo elementare, Patria ricorda e passa in rassegna, senza dubbio, ma omette fette di storia e punti di vista magari "di minoranza" ma non minori, si lascia catturare dal buco nero dell'ossessione (legittima ma non necessariamente costruttiva) per il demone Silvio Berlusconi e, soprattutto, rinuncia - come ogni Bignami che si rispetti - a qualsiasi tentativo di critica, d'interpretazione, di rapporto dialogico con quello che viene raccontato e col presente…
Va certamente riconosciuto il lavoro notevole svolto da Esmeralda Calabria, montatrice, che accavalla le immagini con intenti evocativi e riesce a toccare le corde emotive dello spettatore, ma è il semplice susseguirsi degli eventi e il suo lineare incrociarsi con la cornice fiction a penalizzare questo risultato.
Con il suo pedagogismo elementare, Patria ricorda e passa in rassegna, senza dubbio, ma omette fette di storia e punti di vista magari "di minoranza" ma non minori, si lascia catturare dal buco nero dell'ossessione (legittima ma non necessariamente costruttiva) per il demone Silvio Berlusconi e, soprattutto, rinuncia - come ogni Bignami che si rispetti - a qualsiasi tentativo di critica, d'interpretazione, di rapporto dialogico con quello che viene raccontato e col presente…
…L'idea di Patria è accattivante, e la scelta di rendere
protagonisti tre "sfigati di cui non importa niente a nessuno" è
nobile. Purtroppo però l'esecuzione filmica della storia è debole e poco chiara
nell'identificare un rapporto di causa-effetto fra gli episodi storici e la
situazione dei tre uomini sulla torre. Chi non conosce il passato recente
dell'Italia - leggi: i giovani - avrà difficoltà a capire a quali eventi e
quali personaggi si riferiscono le tante immagini reali che inframmezzano la
narrazione fictional creata da Felice Farina come filo conduttore. Le scritte
sui titoli di coda come compendio storico-politico arrivano troppo tardi a
sostituire un vuoto drammaturgico, così come le ipotesi sul destino futuro dei
tre protagonisti fanno venire voglia di vedere quel film, invece di quello che
abbiamo appena visto…
…Deaglio è onorato e ammirato del film che
peraltro si volge nella sua città d’origine, Torino. “Onorato perché pensavo
che non ce l’avrebbe fatta ma Felice ha messo tanta passione nel volerlo
realizzare, affidandosi a un’idea narrativa brillantissima. Ammirato -
continua il giornalista - perché ho avuto la sensazione di un film profondo,
che lavora dentro lo spettatore, oltre la bravura degli interpreti e la qualità
dei dialoghi e l’uso attento dei materiali di repertorio. Tutta quella storia
d’Italia diventa un flusso potente che provoca il pubblico”.
…in questo lavoro ben costruito di cinema
artigianale a basso budget aiutano di certo le nuove tecnologie: “Senza il
digitale – spiega ancora il regista – tante cose oggi non le fai. E’ vero per
ogni industria. I musicisti registrano i pezzi in casa. Noi abbiamo i droni e
il green screen che ti permettono di fare cose fantastiche a costi così bassi
che solo cinque sei anni fa sarebbero stati impensabili. Il set è una vera
fabbrica, ma sarebbe stato proibitivo portare la troupe in alto sulla torre,
per cui abbiamo preferito ricostruirne la cima in un teatro di posa di
Cinecittà e lavorare di sfondo verde, per poi aggiungere lo scenario realmente
fotografato dalla torre in un secondo momento”.
“Il film lo devono vedere soprattutto i giovani – dice ancora Pannofino – io sono nato nel ’58 e dunque col dopoguerra relativamente vicino, ma era cronaca e non storia. I ragazzi di oggi devono conoscere la nostra storia per capire che non tutto è brutto nel nostro paese, non ci sono solo brutture e corruzione”.
“Tra l’altro – conclude Farina ancora in vena di ottimismo – sono rimasto molto positivamente colpito proprio dalla reazione dei giovani che lo hanno visto a Venezia. Certo erano i più attenti, accorti e preparati, ma hanno partecipato con verve, sfatando il luogo comune che li vede sempre immersi nei loro cellulari e nelle loro Playstation. I miei nonni mi raccontavano del fascismo e dei rastrellamenti, insomma le informazioni venivano ancora tramandate per via orale, mentre i giovani di oggi sono cresciuti nel mondo della cross-medialità frammentata. Vedere che sono ancora interessati alla nostra storia mi fa capire che ho raggiunto un obiettivo”.
“Il film lo devono vedere soprattutto i giovani – dice ancora Pannofino – io sono nato nel ’58 e dunque col dopoguerra relativamente vicino, ma era cronaca e non storia. I ragazzi di oggi devono conoscere la nostra storia per capire che non tutto è brutto nel nostro paese, non ci sono solo brutture e corruzione”.
“Tra l’altro – conclude Farina ancora in vena di ottimismo – sono rimasto molto positivamente colpito proprio dalla reazione dei giovani che lo hanno visto a Venezia. Certo erano i più attenti, accorti e preparati, ma hanno partecipato con verve, sfatando il luogo comune che li vede sempre immersi nei loro cellulari e nelle loro Playstation. I miei nonni mi raccontavano del fascismo e dei rastrellamenti, insomma le informazioni venivano ancora tramandate per via orale, mentre i giovani di oggi sono cresciuti nel mondo della cross-medialità frammentata. Vedere che sono ancora interessati alla nostra storia mi fa capire che ho raggiunto un obiettivo”.
…La messa in scena di Patria 1978-2010 di Enrico Deaglio sembra un’anima
divisa in due, inconciliabile, esteticamente divergente. Se da un lato non
possiamo che apprezzare il lavoro sui materiali di repertorio, con un sagace
utilizzo dell’audio a enfatizzare la già drammatica e a tratti insostenibile
portata delle immagini, non possiamo però sorvolare sulla fiction che dovrebbe
fare da collante. Lo script firmato da Luca D’Ascanio, Dino Giarrusso, Beba
Slijepcevic e dallo stesso Farina si impantana in un meccanico vis-à-vis tra
l’operaio berlusconiano Salvatore (Francesco Pannofino), rozzo e dai modi
bruschi, e il sindacalista di sinistra Giorgio (Roberto Citran), consapevole e
idealista. Ai due si aggiunge il custode ipovedente e autistico Luca (Carlo
Giuseppe Gabardini), che sciorina fatti e misfatti dagli anni Settanta a oggi.
E così si saltabecca dalla fabbrica che chiude del trio di sconfitti
Salvatore-Giorgio-Luca, arroccati in cima a una torre tra la generale
indifferenza (dei padroni, delle forze dell’ordine, soprattutto degli organi di
informazione), al sequestro Moro, alla piaga dell’eroina che ha falcidiato una
generazione, a Gelli, Ambrosoli, Sindona, a Gardini e al Pentapartito, a
Tangentopoli e Forlani, a Berlusconi. Il flusso storico è inutilmente
inframezzato, interrotto, condito da parole banali…
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