domenica 8 marzo 2015

Patria - Felice Farina

difficile trovarlo, questa settimana solo in 10 sale.
l'ho visto quando erano presenti anche Francesco Pannofino e Felice Farina.
è un'accoppiata film-documentario, un modo per ricordare la nostra storia recente, ispirato da un libro di Enrico Deaglio ("Patria 1978-2008") che fa la cronistoria di quegli anni.
i tre protagonisti sulla torre parlano, discutono, ma i loro discorsi sono un po' retorici, autistici e impotenti, e intanto quella giornata li fa conoscere meglio, anche se "l’era dello sfruttamento così non diventa più breve" (usando le parole di Bertolt Brecht).
un film per fare memoria, che fa male ma serve per capire - Ismaele

ps: non adatto a chi soffre di vertigini




L'operaio Salvo si arrampica sulla torre della fabbrica dove lavora, per protesta contro il licenziamento, o forse solo per rabbia cieca, minacciando di buttarsi giù. Giorgio, operaio e rappresentante sindacale, anche se di carattere e fede politica del tutto opposti, sale per aiutarlo. Luca, custode ipovedente e autistico, si aggiunge per fare loro compagnia. Nell'arco di una notte, ripercorrono gli ultimi trent'anni della vita del paese.
«Ho tradito le forme del documentario con un esperimento, inseguendo la memoria di un film amato, che è Hiroshima mon amour di Resnais: quel modo di legare i frammenti di repertorio allo svolgersi di un racconto presente, quel fonderli in una sola cosa sincronizzando le emozioni della Storia a quelle dell'azione scenica. Il risultato è indefinito, come indefinito è l'oceano di ombre e luci della memoria». [Felice Farina]
Ci voleva Felice Farina per far diventare la controstoria di Enrico Deaglio, Patria, un film di sentimenti, ricordi, carne viva. Una protesta più casuale che consapevole di due lavoratori e di un matto illuminato diventa il dialogo tra un italiano (Citran), un antitaliano (Pannofino) e un non so (Carlo Giuseppe Gabardini). Farina li confina in una torre, da cui loro buttano ciò che odiano, in cui si scoprono simili, nelle differenze che la post ideologia ha consegnato loro più per abitudine che per riflessione. L'Italia sbagliata dell'ultimo trentennio passa in flashback di repertorio, iconografia in movimento del nostro fantasioso squallore, e nelle loro parole. Fin quando arriveranno Roberto Baggio e la solidarietà. Perché Farina sa che l'unione fa la forza dei lavoratori e che da combattere, prima del Potere, è la guerra tra poveri. [Boris Sollazzo]

La storia di finzione che Farina ha innestato sulle suggestioni storiche del libro di Enrico Deaglio che del film è stato il punto di partenza, sono poco più che pretestuose. I tre protagonisti sono tre figurine stereotipate e monodimensionali, plausibili e banali allo stesso tempo, la cui unica funzione è quella di citare un po' forzatamente gli eventi che s'insinuano nel film sotto forma d'immagini di repertorio, e di fungere da sommario di quella storia bignamesca che Patria rappresenta.
Va certamente riconosciuto il lavoro notevole svolto da Esmeralda Calabria, montatrice, che accavalla le immagini con intenti evocativi e riesce a toccare le corde emotive dello spettatore, ma è il semplice susseguirsi degli eventi e il suo lineare incrociarsi con la cornice fiction a penalizzare questo risultato.
Con il suo pedagogismo elementare, Patria ricorda e passa in rassegna, senza dubbio, ma omette fette di storia e punti di vista magari "di minoranza" ma non minori, si lascia catturare dal buco nero dell'ossessione (legittima ma non necessariamente costruttiva) per il demone Silvio Berlusconi e, soprattutto, rinuncia - come ogni Bignami che si rispetti - a qualsiasi tentativo di critica, d'interpretazione, di rapporto dialogico con quello che viene raccontato e col presente…

L'idea di Patria è accattivante, e la scelta di rendere protagonisti tre "sfigati di cui non importa niente a nessuno" è nobile. Purtroppo però l'esecuzione filmica della storia è debole e poco chiara nell'identificare un rapporto di causa-effetto fra gli episodi storici e la situazione dei tre uomini sulla torre. Chi non conosce il passato recente dell'Italia - leggi: i giovani - avrà difficoltà a capire a quali eventi e quali personaggi si riferiscono le tante immagini reali che inframmezzano la narrazione fictional creata da Felice Farina come filo conduttore. Le scritte sui titoli di coda come compendio storico-politico arrivano troppo tardi a sostituire un vuoto drammaturgico, così come le ipotesi sul destino futuro dei tre protagonisti fanno venire voglia di vedere quel film, invece di quello che abbiamo appena visto…

Deaglio è onorato e ammirato del film che peraltro si volge nella sua città d’origine, Torino. “Onorato perché pensavo che non ce l’avrebbe fatta ma  Felice ha messo tanta passione nel volerlo realizzare, affidandosi a un’idea narrativa brillantissima. Ammirato  - continua il giornalista - perché ho avuto la sensazione di un film profondo, che lavora dentro lo spettatore, oltre la bravura degli interpreti e la qualità dei dialoghi e l’uso attento dei materiali di repertorio. Tutta quella storia d’Italia diventa un flusso potente che provoca il pubblico”.

in questo lavoro ben costruito di cinema artigianale a basso budget aiutano di certo le nuove tecnologie: “Senza il digitale – spiega ancora il regista – tante cose oggi non le fai. E’ vero per ogni industria. I musicisti registrano i pezzi in casa. Noi abbiamo i droni e il green screen che ti permettono di fare cose fantastiche a costi così bassi che solo cinque sei anni fa sarebbero stati impensabili. Il set è una vera fabbrica, ma sarebbe stato proibitivo portare la troupe in alto sulla torre, per cui abbiamo preferito ricostruirne la cima in un teatro di posa di Cinecittà e lavorare di sfondo verde, per poi aggiungere lo scenario realmente fotografato dalla torre in un secondo momento”. 
“Il film lo devono vedere soprattutto i giovani – dice ancora Pannofino – io sono nato nel ’58 e dunque col dopoguerra relativamente vicino, ma era cronaca e non storia. I ragazzi di oggi devono conoscere la nostra storia per capire che non tutto è brutto nel nostro paese, non ci sono solo brutture e corruzione”. 
“Tra l’altro – conclude Farina ancora in vena di ottimismo – sono rimasto molto positivamente colpito proprio dalla reazione dei giovani che lo hanno visto a Venezia. Certo erano i più attenti, accorti e preparati, ma hanno partecipato con verve, sfatando il luogo comune che li vede sempre immersi nei loro cellulari e nelle loro Playstation. I miei nonni mi raccontavano del fascismo e dei rastrellamenti, insomma le informazioni venivano ancora tramandate per via orale, mentre i giovani di oggi sono cresciuti nel mondo della cross-medialità frammentata. Vedere che sono ancora interessati alla nostra storia mi fa capire che ho raggiunto un obiettivo”. 

La messa in scena di Patria 1978-2010 di Enrico Deaglio sembra un’anima divisa in due, inconciliabile, esteticamente divergente. Se da un lato non possiamo che apprezzare il lavoro sui materiali di repertorio, con un sagace utilizzo dell’audio a enfatizzare la già drammatica e a tratti insostenibile portata delle immagini, non possiamo però sorvolare sulla fiction che dovrebbe fare da collante. Lo script firmato da Luca D’Ascanio, Dino Giarrusso, Beba Slijepcevic e dallo stesso Farina si impantana in un meccanico vis-à-vis tra l’operaio berlusconiano Salvatore (Francesco Pannofino), rozzo e dai modi bruschi, e il sindacalista di sinistra Giorgio (Roberto Citran), consapevole e idealista. Ai due si aggiunge il custode ipovedente e autistico Luca (Carlo Giuseppe Gabardini), che sciorina fatti e misfatti dagli anni Settanta a oggi. E così si saltabecca dalla fabbrica che chiude del trio di sconfitti Salvatore-Giorgio-Luca, arroccati in cima a una torre tra la generale indifferenza (dei padroni, delle forze dell’ordine, soprattutto degli organi di informazione), al sequestro Moro, alla piaga dell’eroina che ha falcidiato una generazione, a Gelli, Ambrosoli, Sindona, a Gardini e al Pentapartito, a Tangentopoli e Forlani, a Berlusconi. Il flusso storico è inutilmente inframezzato, interrotto, condito da parole banali…

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