sabato 14 marzo 2015

Foxcatcher - Bennett Miller

di Bennett Miller avevo visto questo piccolo grande film (qui), come privarmi di Foxcatcher?
è davvero un gran film,  di quelli che restano in testa, e lavorano.
una storia americana, aggiunge il titolo italiano, una di quelle che immagini possano succedere solo lì, dove è davvero avvenuta.
Mark (Channing Tatum), dopo l'oro olimpico, fa una vita grama, e riceve un'offerta che non si può rifiutare, da uno, John Du Pont (Steve Carell), un tipo un po' strano, ma pieno di soldi.
film sul potere (dei soldi), sui rapporti familiari, sulla sofferenza di non crescere, Mark all'ombra di Dave (Mark Ruffalo), che si fa ingaggiare da Du Pont, forse anche per proteggere il fratello,  e John all'ombra della madre (la glaciale, e bravissima, Vanessa Redgrave), che lo disprezza, e lui deve sempre dimostrare di essere qualcuno, senza riuscirci mai.
non c’è bisogno di spiegare troppo, non serve, certi sguardi, certi respiri, certi sospiri non si possono spiegare, bisogna vederli, sentirli, si soffre anche, ma non privatevene - Ismaele

ps: il film è vietato ai minori  di 17 anni negli Usa (qui), mentre quel film “50 topi grigi” (o qualcosa del genere), media dei voti 4,2/10 per Imdb, è vietato solo ai minori di 14 anni, negli Usa come in Italia (mentre in GB il divieto è fino ai 18 anni).





il regista, Bennet Miller, sa costruire il climax, sa girare scene, sa usare perfettamente luoghi ed attori, è certosino nel raccontare il lento avvicinamento alle Olimpiadi (vediamo sempre nella palestra il "day until" ad esempio). Non ci sono cali, non ci sono nemmeno accelerazioni in verità, è tutto un lento e costante avvicinarsi a qualcosa.
Ma è la componente psicologica la vera magia del film.
I 3 personaggi sono caratterizzati in modo pazzesco.
Il dolce e sereno David, che ama il suo sport ma non ne fa una ragione di vita, che sa giocare con i bambini anche nei momenti in cui non dovrebbe farlo, che ama sua moglie e suo fratello, che ha equilibrio e sa pure donarlo agli altri.
Di contrasto Mark, chiuso, completamente concentrato sulla lotta, infelice, represso, un ragazzo che al tempo stesso ama alla follia il fratello ma forse lo odia pure, lui che ha la sua famiglia, lui conosciuto da tutti, lui vero artefice di tutti i suoi successi.
E poi c'è Du Pont, un personaggio così pazzesco che non sembra vero. E' un 50enne paranoico e afflitto da manie di grandezza, forse latentemente omosessuale, un uomo che non ha avuto mai nessuno vicino a sè ("l'unico amico che avevo da bambino l'aveva pagato mia madre per esserlo"), un uomo che vuole dimostrare a sua madre di essere grande, di essere un punto di riferimento dell'America, di essere uno che miete successi. Ma per farlo sceglie la via più assurda, quella della lotta libera...

Le scénario est intelligent et offre à chacun des personnages le temps de se développer complètement. Celui de Steve Carell, odieux fils d’une famille de riches, est déconnecté d’une certaine réalité, un brin mégalo, en mal d’ego et collectionnant les petits comme les très gros calibres. Protégé par une mère castratrice, il souffre d’avoir vécu une enfance pas comme les autres, coupé de tout, obligé de faire ce que maman lui dictait et notamment d’aimer les courses de chevaux ! Mais lui n’a que la lutte gréco-romaine en tête (et dans le slip ?) et se lance dans le financement d’un centre d’entraînement pour lui rendre ses lettres de noblesse… Mais ses beaux discours patriotiques et d’honneur rendu à ce sport cachent un profond malaise égoïste. Il est surtout question de s’acheter une crédibilité à l’aulne d’une vie vide de sens et de prouver à sa génitrice qu’il est capable de mener un projet seul, aidé bien entendu d’un porte-monnaie bien garni. Il se paye donc les deux meilleurs frères sportifs de cette discipline, deux champions olympiques, achetant au passage leur respect et les manipulant pour en tirer profit. On se souviendra longtemps de cette scène où Tatum demande à Carell comment l’appeler, ce dernier indiquant ne plus vouloir être nommé « Monsieur » et balançant au jeune, sur un ton des plus sérieux, un irrésistible « Appelle-moi Aigle doré ! »…

El deporte puede ser muy cruel con sus atletas. El contrato olímpico es una quimera que funciona muy bien sobre el papel pero, en la práctica, es una completa farsa que obliga a muchos de los atletas más importantes del mundo, como ocurrió con Mark Schultz, a vagar de escuela en escuela tratando de enseñar a niños de primaria, por 20 dólares, ciertos valores con los que ni ellos mismos están de acuerdo. Se puede tener un minuto de gloria, pero si no se es un fenómeno —física, mental y socialmente— como lo fue Carl Lewis, Michel Jordan o Muhammad Ali, lo más probable es que los sueños y las aspiraciones del deportista sean más grandes que sus logros, ocasionando una inestabilidad emocional inaguantable. En figuras como la de David Schultz, auténtico entrenador de Mark y ejemplo de deportividad, interpretado sensacionalmente por Mark Ruffalo, es donde encontramos que los auténticos valores deportivos siguen presentes en nuestra sociedad, escondidos en iconos olvidados, personas que de verdad creían en el deporte como medio de superación, educación y protesta, sin importarles tanto su éxito personal como el triunfo de sus principios. Lamentablemente, ese tipo de valores se castiga con el ostracismo atlético, un castigo que, por otra parte, habrá valido la pena si pensamos en la reivindicativa imagen de Tommie Smith y John Carlos en lo alto del podio olímpico de México 1968, con el puño en alto en señal de protesta por la falta de derechos de los afroamericanos.



la vera storia di Dave Schultz:

4 commenti:

  1. Questo non può non interessarmi. Mi tocca da vicino. Ovviamente per il mio sport, ma non solo.... ;)

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  2. Gran bel film davvero. Miller ha dimostrato di sapere come muoversi.

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    1. e poi non fa film facili, per passare il tempo, fa film solidi, con tanta sostanza, film che dureranno

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