martedì 18 agosto 2015

Buone notizie – Elio Petri

l'ultimo film di Elio Petri, considerato da alcuni come un'opera minore, secondo me solo perché gli altri film sono grandissimi.
la tv invade e pervade la vita, le buone notizie del titolo non esistono.
nessuno è felice, la realtà fa schifo, i dialoghi sono veri e crudeli, a volte surreali.
si vive alla giornata, nessuno ha un progetto di vita, come se si aspettasse una qualche fine, l'allarme bomba è finto, ma qualcosa dovrà pur scoppiare.
Giancarlo Giannini qui è bravissimo.
un film che merita molto, come tutta l'opera del regista.
guardatelo, decidete voi quanto vale - franz




QUI il film completo


Un'opera sarcastica e amara che riflette sulla società dello spettacolo in cui la vita e la realtà sono annullate dalla simulazione di se stesse. La decostruzione del racconto, una sorta di esperimento à-la Derrida, è anche una decostruzione di idee. Petri rende tangibile la sua disperazione con un film volutamente sgradevole. "Nella società dello spettacolo, non c'è più lo spettacolo della vita. C'è solo lo spettacolo che la società preordina, programma, elabora per darti l'impressione che tu vivi, mentre tu non vivi più da molto tempo. Io credo che la realtà non ci sia più [...]. Io credo che la nostra sia un simulacro di vita"

L'ultimo film di Petri non è il suo più riuscito, ma mi sembra sbagliato e ingiusto considerarlo, come fanno anche critici affermati, un'opera minore dell'autore di Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto e Todo modo. Come con quest'ultimo film aveva anticipato tragedie che di lì a poco avrebbero sconvolto il mondo politico e segnato profondamente il paese, anche Buone notizie è anticipatore di situazioni che non tarderanno a verificarsi: del resto, il compito - direi quasi la missione - dell'artista (e Petri era sicuramente un artista/polemista) è quello di suscitare un dibattito su argomenti che non ne sono ancora oggetto. Qui gli spunti di riflessione sono parecchi, ma emerge prepotente il tema della televisione e della sua pervasività nella società italiana (ma occidentale in senso lato): la televisione

Buone Notizie è un film ferocemente pessimista dipinto come un affresco ambiguo e surreale (debitore del cinema di Buñuel) ambientato in una Roma irriconoscibile, minacciosa e decadente, straziata e violentata dal consumismo i cui resti immondi marciscono ai piedi di monumenti millenari e popolata da una serie di personaggi nevrotici che si esprimono con un linguaggio frantumato e incomprensibile, pervaso da una vena di malinconico sarcasmo…
Buone Notizie, film-testamento di Elio Petri, contiene città sommerse dalla spazzatura, una volgarità dilagante ed esibita, un susseguirsi di episodi di cronaca nera, l’acuirsi dell’insicurezza delle persone, i continui allarmi-bomba (con cui viene puntualmente evacuato il palazzo della tv), una famiglia disgregata e assente, l’incomunicabilità eletta a sistema di vita, la ricostruzione televisiva di fatti di sangue: sembra girato in questi giorni, in realtà Petri, come tutti i grandi aveva già capito tutto prima che tutto accadesse. Buone Notizie è un film dimenticato, sottovalutato e maltrattato dalla critica, irreperibile (se non per una vecchia registrazione satellitare), appartiene di diritto a quelle opere in grado di dividere il pubblico, di suscitare il dibattito, di interrogare (criticamente) lo spettatore. Un cinema, rischioso e provocatorio, di cui ci sarebbe assoluto bisogno, compresso in un film che ad una prima visione può sembrare approssimativo, e sovraeccitato, ma che in realtà è una delle più lucide analisi di una società al collasso, mentre l’asfissia si sta ancora diffondendo.

Buone notizie si apre in un panorama in cui la società è in pieno disfacimento e decadenza. La sporcizia e i rifiuti che ricoprono la città sembra una naturale continuazione del finale di Todo Modo. Una società nevrotica, come il suo protagonista, circondato e influenzato dagli status symbol, incapace di comunicare con il mondo esterno, ossessionato dalla paura della morte (come il protagonista de I giorni contati) ed insicuro sul sesso. Il finale è piuttosto enigmatico, ma in quei bigliettini con scritto "Da non aprire" c'è forse la soluzione (già prospettata in Un traquillo posto di campagna) dell'unico rifugio possibile ad una società che fagocita tutto e tutti: la follia.
Come in tutto il suo cinema, anche in questo suo ultimo film, sono disseminati intuizioni notevoli a dimostrazione della capacità di Petri di essere un osservatore acuto della società e della sua evoluzione. Non è un film di facile fruibilità, grottesco e sopra le righe come è nel suo stile, ma non è un film banale, riuscendo ad offrire qualche ottimo spunto di riflessione.

3 commenti:

  1. Quello che preferisco di Petri è Il maestro di Vigevano anche se per me il romanzo di Mastronardi è più bello.

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    1. ricordo il film, merita moltissimo, ma il libro non è da meno, anzi...

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  2. Film difficile nel senso che le tesi inserite in esso da questo grande autore di cinema non sono sempre così evidenti ed immediate. Ma chi prova a conoscere bene le opere di E. Petri lo sa bene che ogni suo film merita un vero proprio studio al di là del concetto di cinema come solo svago. I messaggi sono chiaramente legati all'individuo, alle sue schizofrenie, e ai suoi legami complessi con la società. Da non perdere!

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