dice Paolo Sorrentino che Antonio Capuano è il suo maestro, guardando L’amore buio si capisce perchè.
storie di ragazzi, imprevedibili e alla fine poetiche.
non perdertelo.
buona (carceraria) visione - Ismaele
…"Lei è
irraggiungibile" e tu lo sai, sai cosa le hai fatto ma non sai come
spiegartelo, riesci solo a sentire la colpa, il dolore, l'insonnia notturna e
quella cosa indescrivibile che tutti si ostinano a chiamare amore ma
che tu quando mai hai potuto capire prima d'ora, c'è solo un cuore che batte, e
due occhi che ti restano appiccicati addosso e li vedi anche quando fa buio e
ti ritrovi a pensare a lei, che intanto prova a ricostruirsi il suo mondo
borghese fatto di genitori ancor più ignoranti e incapaci di capire (anche se
in buona fede), di fidanzatini che parlano di matrimonio e America, di un corpo
acerbo e già violato che davanti allo specchio si denuda e nella sua disarmante
pubertà rende colpevole anche chi lo osserva; c'è che ci provi in tutti i modi
a spaccare quella barriera che vi divide (due mondi troppo distanti, troppo
diversi, troppo chiusi) e che la quella fatidica notte hai solo scheggiato con
un foro, sei penetrato in lei ma poi tutto ti si è inesorabilmente richiuso
addosso, senza speranza.
E poi c'è uno sguardo.
La magica capacità dell'animo umano che solo una macchina da presa può rendere
così visivamente efficace: chilometri di distanza, oceani e stati
che vi dividono, e un solo semplice controcampo finale che vi ricongiunge, che
vi riunisce, che vi rimette faccia a faccia in silenzio, per qualche istante,
prima di riprendersi il suo dazio e spingervi, con la violenza dolce con la
quale tutto era iniziato, nelle vostre nuove vite di adulti.
…Il
film racconta la contrapposizione tra due realtà che convivono nello stesso
spazio, ma che sembrano non avere niente in comune: quella di Ciro e dei suoi
amici, che a stento frequentano la scuola e girano Napoli in motorino tutto il
giorno, con genitori che lavorano da mattina a sera per pochi soldi, vessati
dalla camorra che controlla il territorio.
E, dall’altra parte, la città di Irene: quella alto-borghese,
totalmente autoreferenziale, chiusa in sé stessa, fatta di case signorili, servitù,
famiglie che offrono tutto il necessario al mantenimento materiale dei propri
figli e alla loro formazione culturale. Due mondi opposti, che non dialogano,
ma accomunati dalla stessa incapacità di gestire la relazione con gli altri, da
un contesto affettivo carente.
È proprio in questo contesto che cresce quella percezione
distorta per cui violenza e amore possono coesistere e, magari, coincidere,
come pensano Ciro e i suoi amici. Come una percezione distorta è quella che
porta Irene a scambiare per amore il rapporto col suo ragazzo, pieno di
silenzi, distanze, incomprensioni, e in cui il corpo, anziché rispettato e
amato, sembra usato per soddisfare bisogni. Capuano rintraccia le radici di
questa aridità nei rapporti familiari: nella famiglia popolare, come in quella
borghese, per motivi diversi, i genitori non sanno comunicare coi figli…
…ìl film però
lascia sullo sfondo l’episodio drammatico che dà origine al racconto,
interessato com’è a mettere in risalto la condizione sociale dei giovani
reclusi. E nel fare questo si rivela eccessivamente didascalico: contrappone la
trasandatezza della psicologa del carcere (una Valeria Golino imbruttita) alla
raffinatezza della psicologa che ha in cura Irene; l’imbruttimento e
l’invecchiamento precoce della mamma di Ciro alla bellezza e alla cura della
mamma incredibilmente giovane di Irene; la grossolanità delle attività
culturali svolte in carcere (poesie, canzoni rap, posacenere informi) alla
raffinatezza dei testi di Marguerite Duras recitati da Irene, dell’arredamento
della sua stanza, degli strumenti tecnologici di cui si circonda; il disordine
chiassoso e multietnico dei vicoli di Napoli all’ordine minimalista della casa
di Irene a Posillipo.
E anche se il film pone delle questioni importanti sull’integrazione e sul
riscatto sociale di un ceto che sembra condannato a un destino di delinquenza o
di sopravvivenza, anche se il film sembra muovere una precisa accusa contro la
borghesia napoletana che vive la città con sguardo distante, anche se il film
denuncia l’assenza dello Stato nei vicoli e nelle periferie di Napoli, anche se
il film mostra lo stato dell’Università italiana che spinge i giovani (che
hanno i mezzi per farlo) a trasferirsi all’estero, esso non riesce ad essere
pienamente un film di denuncia. Non solo perché molti dei temi che affronta
rimangono solo sullo sfondo, ma soprattutto perché questi non sono una ragione
sufficiente per cancellare la storia del corpo violato di Irene. È come se pure
il film utilizzasse un corpo di donna per raggiungere uno scopo, per fare
incontrare due ambienti che di fatto non possono incontrarsi (come la scena
finale, un po’ retorica, comunque suggerisce); ma nessuno scopo, neanche il più
nobile, può richiedere mai il degrado e il sacrifico di un corpo. Neanche di un
corpo sullo schermo.
Dispiace vedere un film come questo praticamente
ignorato dal pubblico,dispiace vederlo in una sala quasi completamente
vuota.Lo spunto è un fatto di cronaca di quelli con cui si convive
quotidianamente,purtroppo:a Napoli giovane studentessa,Irene, viene violentata
da un branco di ragazzotti che forse non hanno capito neanche quello che hanno
fatto.Uno di loro,Ciro, si autodenuncia e spalanca per sè e per gli
altri le porte del carcere minorile di Nisida.Il film di Capuano segue le
traiettorie sinuose che portano al percorso di maturazione definitiva di
entrambi nei loro rispettivi mondi.Nisida è dominata dall'azzurro del cielo e
del mare,dal calore della luce solare,dai colori delle magliette da calciatore
taroccate dei detenuti e dal'ariosità delle loro stanze ,pur se delimitate da
quattro sbarre metalliche.Il mondo di Irene,rampolla della Napoli
bene è invece incarcerato in interni soffocanti,tetri,cromaticamente
freddi. Sia Ciro che Irene cercano di uscire dalle loro momento di
empasse amplificando il dolore autoinflitto dalla propria solitudine…
…La cosa interessante di questo film, è che lo
spettatore non legge mai una parola delle lettere che i due giovani si
scambiano, eppure ne percepisce l'intensità e si sente subito che il legame tra
i due è fortissimo e delicato nello stesso tempo.
Ciro si ciba delle risposte che gli arrivano da
Irene, scrive in continuazione, lavora con la creta, tira fuori di sé tutta la
creatività che non aveva mai sospettato di avere fuori dal carcere.
Irene inizia a conoscere una parte di lei
sconosciuta, si scopre curiosa di conoscere le cose che le sono vicine ma che
fino ad allora non aveva notato...e comprende come le persone che invece le
stanno accanto le appaiono così lontane.
Un regalo che Ciro le fa giungere a casa (una
ceneriera fatta di creta) pone fine al loro scambio epistolare, lo sguardo
lunghissimo e inteso tra madre e figlia non lascia dubbi: Irene deve
allontanarsi da Napoli, prima che la situazione si complichi
ulteriormente...Così Irene andrà lontanissima, in America, con il fidanzato, ma
ormai era già andata lontano da quella vita...La madre non potrà mai sapere
quanto è rimasta vicina a quella Napoli che l'ha violentata, e che nessun
chilometro potrà mai allontanare abbastanza.
Ciro finisce la sua condanna, esce, ci sono i suoi
familiari ad attenderlo, il suo futuro è segnato, non sarà facile...Ma il
finale del film è uno dei più poetici che abbia mai visto negli ultimi anni.
L'incrocio degli sguardi dei due ragazzi, lontani, ma ormai fusi insieme, si
sono riconosciuti, e non si potranno lasciare più, le loro vite si sono unite
per sempre, le parole scritte scambiate rimangono come macigni, le immagini dei
loro ricordi delle firme indelebili, il loro amore buio una certezza
incrollabile.
Capuano, oltre ad una storia narrata in modo
davvero convincente e originale, ci mostra sempre una Napoli inconsueta e molto
personale, sotto una pioggia torrenziale, i muri di tufo appaiono come le
arterie di un corpo sventrato e stanco, dove Irene vi trova un conforto
insperato. Che dire? Da vedere assolutamente.
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