domenica 3 novembre 2024

Berlinguer – La grande ambizione – Andrea Segre

vedere Elio Germano nei panni di Berlinguer è una sorpresa positiva, e non era scontato.

Berlinguer è stato l'unico uomo politico amato dal popolo, e il film, anche con immagini storiche, lo dimostra bene.

il film non è un documentario classico, la parte di finzione non manca, moglie e figli e figlie hanno un ruolo importante.

quando Berlinguer sosteneva l'adesione alla Nato non sapeva che dietro le bombe a Piazza della Loggia, a Brescia, la Nato ebbe una parte attiva (qui). La Nato è una banda di assassini, che va eliminata il prima possibile. 

nel film sembra a volte che Berlinguer sia un ingenuo, il Male è stato combattuto troppo poco, ha sottovalutato i nemici, quelli più potenti e nascosti.

non si scoprono novità rispetto alla storia, e però  fa sempre piacere sapere che ancora non ci si dimentica di Enrico Berlinguer.

buona visione - Ismaele



 

 

 

 

…Il protagonista, il gigante Elio Germano, è dentro in ogni ruga e solco sul viso, in ogni gesto, ma soprattutto ce lo ricorda nelle intenzioni e nello spirito. Lo conferma anche Elio nella conferenza stampa del Festival del Cinema di Roma: non è tanto una questione di imitazione, quanto di animare un ideale. La bravura di Andrea Segre è stata proprio quella di raccontare con equilibrio e profondo rispetto la figura di un personaggio difficilmente gestibile. Perché nessuno lo ha fatto, o avuto semplicemente il coraggio di farlo prima di lui.

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Ecco, la ricostruzione narrativa di Andrea Segre e Marco Pettenello si muove tra la dimensione pubblica e quella privata, tra la ricostruzione puntuale, a volte persino didascalica, delle dinamiche politiche e storiche e la libertà dell’invenzione drammaturgica, che vuole suggerire le infinite dimensioni del personaggio. Di qualsiasi personaggio. Ma in ogni caso, l’intenzione non è indicare la contraddizione o un possibile punto di rottura. Pur nei conflitti interiori, nei dubbi, nelle ansie, nelle paure, il Berlinguer di Segre è un uomo dalla barra e dalla schiena dritte, un esempio di vicinanza, se non di coincidenza, tra l’idea e la realtà. Certo, in questa direzione, il rischio è quello dell’agiografia e della celebrazione. Eppure, sebbene le scene familiari scontino alcune forzature di scrittura, la figura resta umana, umanissima, anche grazie all’interpretazione di Elio Germano, che cerca di porre l’accento su ogni gesto e reazione, persino su ogni piccolo movimento di nervosismo.

Per il resto, la parte più calda, vibrante di film non è negli interni in casa, né nelle stanze di Botteghe Oscure o del Parlamento, dove l’atmosfera si fa plumbea e la voragine del grottesco è sempre a un passo. Sta nelle scene “di strada”, nei momenti di militanza attiva, negli incontri con gli operai e le operaie, con i lavoratori e la gente delle periferie. Sta nell’energia di testa e cuore dei comizi, nel nutrirsi alla radice popolare della lotta, nella rabbia e nella “festa collettiva”. È soprattutto qui che interviene il lavoro sull’archivio, straordinario. Che da un lato integra il racconto e risponde all’esigenza di “economia” narrativa e di messinscena. Dall’altro, restituisce con una forza più immediata i toni e i colori di un’epoca. Fino a vertigini di poesia, come le scene dei balli sul battello lungo il Po. Quell’archivio è come una specie di porta che apre al sogno. E del resto, è una delle tracce più interessanti di un film che, apparentemente, è saldamente ancorato ai fatti, alle vicende, dimensione concreta, materialista, della realtà. Qui tutti sognano, hanno apparizioni, segni, fantasmi o premonizioni. Persino Andreotti, nella maschera sovraccarica di Paolo Pierobon. E ogni sogno raccontato è come una fenditura che apre varchi nella dittatura della Storia. La traccia di un’altra strada possibile.

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È lodevole l’intenzione che c’è alla base del progetto, quella di andare a indagare l’uomo dietro alcuni degli elementi-chiave di uno dei periodi più turbolenti della Storia recente italiana, ancora oggi materia di studio e di rielaborazione cinematografica (una curiosa coincidenza vuole che il film di Segre sia arrivato nelle sale un mese dopo l’edizione 2024 del Festival di San Sebastián, che ha dedicato la sua retrospettiva al crime movie italiano ambientato e/o girato negli anni Settanta). Ma quando la Storia nel senso più ampio comincia a imporsi nella seconda metà, a discapito del delicato lavoro fatto sulla psicologia di Berlinguer e sugli aspetti meno pubblici della sua grande ambizione, il tutto si fa più schematico, più scolastico, regredendo al tipo di operazione che il film stesso, come il suo protagonista in ambito politico, annunciava di non voler emulare.

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Per questa interpretazione, Elio Germano sceglie una chiave minimalista, che si adatta al carattere schivo del leader politico in questione. La somiglianza fisica non ne è il punto di forza e l’accento sardo non è impeccabile. Da apprezzare invece la capacità di tratteggiare con piccoli cenni la parte emotiva: dall’aspetto ironico alla passione politica stessa, che non è urlata, né platealmente esibita, ma emerge ugualmente con forza. Berlinguer – La grande ambizione restituisce l’immagine di un uomo di grande rigore, innanzitutto con sé stesso, ancora prima che nel dettare la linea del partito, e al tempo stesso aperto e dialogante in modo autentico…

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