domenica 11 giugno 2023

Prigione 77 – Alberto Rodriguez

La prigione nella quale è girato il film, La Modelo, a Barcelona, è la stessa dove Salvador Puig Antich fu prigioniero per qualche mese, fino al 2 marzo del 1974, quando fu ammazzato con la garrota, prima della morte di Franco.

Sulla storia di Salvador Puig Antich fu girato un film, Salvador 26 anni contro , che nel 2006 passò anche nei cinema italiani.

Chi ha visto i due film avrà riconosciuto quel carcere dentro la città.

Prigione 77 racconta la storia di quello che avvenne in quel carcere, negli anni dopo il franchismo, quando c’era la democrazia, e nasceva la COPEL (un bel documentario sulla COPEL si può vedere QUI)

Quella democrazia, che i secondini schernivano, tanto lì dentro non era cambiato molto e non lo sarebbe stato, permise l’uscita dei prigionieri politici, ma nessuna amnistia ci fu per i detenuti comuni.

La violenze dei secondini e delle squadre antisommossa durante la democrazie non si distinguevano molto dalle violenze sotto il franchismo.

 

Una volta entrato in galera tutti sono nemici, gli altri carcerati, i secondini,

I due protagonisti, Miguel Herrán (Manuel) e Javier Gutièrrez (Pino), sono perfetti nella loro parte, in una sceneggiatura che non fa annoiare mai.

Buona visione (solo in una trentina di sale, purtroppo)

 

Ps1: Anche in Italia le violenze democratiche nei carceri di Modena o di Santa Maria Capua Vetere, o di Sassari non fanno meno male di quelle sotto il fascismo, misteri della democrazia.


Ps2: un altro bel film spagnolo ambientato in carcere è Cella 211, di Daniel Monzón

 

 

 

 

…Punteggiato di sequenze magistralmente dirette (la prima rivolta dei detenuti, la lunga sequenza conclusiva, che di nuovo cita i classici del genere) Prigione 77 è un esempio di cinema impegnato di sicura presa spettacolare, che al respiro storico affianca una capacità non usuale di scavare in psicologie complesse (non solo quelle dei due protagonisti: i comprimari sono ugualmente ben definiti) poste in una situazione estrema. Il film di Alberto Rodríguez rallenta solo un po’ nella sua ultima parte, dilungandosi forse in modo eccessivo in una digressione narrativa che poteva essere sfoltita; ma, nondimeno, non perde mai quella tensione – etica prima che narrativa – che lo caratterizza fin dall’inizio, informandone efficacemente tutta la trama. Il contrasto tra il fuori e il dentro – anche semplicemente nella forma di una luce al neon luminosa, che annuncia un cambiamento di cui dietro le sbarre può arrivare solo un’eco – è costantemente evocato, esplicitamente e non; così come viene esplicitamente richiamata (in modo chiaro e netto, ma mai con toni smaccatamente da pamphlet) l’ipocrisia di una politica che, a ogni cambio (apparentemente) radicale di regime, sceglie quasi sempre gli accomodamenti col vecchio, l’impunità per i responsabili meno in vista e la sacrificabilità degli “invisibili”. Ivi compresi quelli come Manuel e Pino, che la visibilità l’hanno conquistata facendo rumore, anche per tutti quelli che non hanno voluto, o potuto, fare altrimenti.

da qui

 

…Ci sono tutte le antinomie tipiche del cinema dello spagnolo, nell’allestimento di progetti ambiziosi che condividono con la conoscenza della macchina industriale, l’organizzazione del set come dispositivo dello sguardo. Girare all’interno de La Modelo gli ha consentito di sovrapporre il livido realismo degli ambienti, con un incedere spettacolare che ricombina quello spazio secondo i principi di un cinema ad orologeria di marcata qualità scopica. Rodríguez qui afferra il rovescio della realtà carceraria e lo investe nuovamente di un valore simbolico, con l’avvicinamento di Manuel al negozio di ottica dove lavora Lucia. Visione a colori che sospende il senso nel tempo del sogno, esasperando quell’iperrealtà di consumo che gli inviava promesse al neon attraverso le sbarre. Le lotte e le mancate conquiste del sindacato, si dissolvono contro il muro impenetrabile del sistema, all’alba di una democrazia apparente, tanto che a Rodríguez interessa soprattutto la forza possibile di un gesto individualista, dove i rapporti di fratellanza sono ridotti al minimo. Al centro di tutto questo, la crudeltà delle guardie carcerarie, a cui il sistema spagnolo affidava la maggior parte del controllo e l’immagine di un potere che nasconde le peggiori attitudini con una sospensione totale dello stato di diritto. Sfortunatamente, le risonanze di alcuni orrori, incluse le immagini di una popolazione carceraria punita per reati bagatellari, le rinunce, le automutilazioni, gli scioperi per indulto e amnistia, sono davvero flagranti con le condizioni dei nostri penitenziari, nonostante le differenze storiche e la distanza temporale. L’ossessione che la pena venga inflitta con modalità “certe”, ci rende pericolosamente vicini ai segreti di un franchismo indisturbato e separato dalla società democratica da una cataratta di cemento e sbarre.

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Prigione 77 nasce da un’illuminazione, almeno secondo Rodríguez: «Nel 2006 io e Rafael abbiamo scoperto la storia del COPEL. Da allora abbiamo fatto ricerche sui fatti e i personaggi, per essere pronti ad affrontare questa storia colossale. Fatti che aiutano a descrivere il profondo cambiamento che avvenne nella nostra società in un periodo di tempo molto breve. Un tempo in cui tutto sembrava possibile. Una lotta per l’uguaglianza, la giustizia e la libertà». Un film sobrio e dagli approcci narrativi semplici, dinamico, privo di orpelli artificiosi ma dotato di forza e egual bellezza nelle sue immagini realistiche e senza filtri. Immagini che, sulla dichiarata scia dei grandi classici del prison-movie, raccontano di uomini intrappolati disposti a tutto pur di riconquistare la propria dignità e con essa la libertà.

Lo stesso Rodríguez ha citato lo spirito di coesione tra i detenuti di capolavori come Il buco e Le ali della libertà tra le principali ispirazioni tematiche di Prigione 77, ma non solo. Nei momenti in cui il giovane Manuel affronta l’incubo della prigionia nella solitudine più cupa – resi da Rodríguez in momenti filmici dalla brutalità spiazzante attenuata solo da salvifici chiaroscuri al neon – ecco crescere l’anima storico-politica di Prigione 77 che da semplice cornice narrativa assurge a valore aggiunto del racconto sulla scia dei controversi-ma-bellissimi Hunger e Fuga di mezzanotte. Una violenza giustificata quella dei secondini franchisti, codificata come codardo atto di rivalsa nei confronti di prigionieri il cui unico vero crimine è quello di credere nei valori della democrazia e della libertà…

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…El director sevillano vuelve a componer una película con una factura técnica impecable, a la que no se puede señalar ningún error. El problema lo encontramos en la parte del fondo narrativo. Mientras se dedica a señalar de forma indirecta al olvido que el sistema siempre muestra por los grupos más desfavorecidos funciona muy bien. Sin embargo, cuando trata de convertirse en una historia personal resulta fallida e impostada. Todo lo que resulta interesante como metáfora del ambiente en el país, acaba en cliché dramático cuando se traslada a lo individual.

da qui

 

Película carcelaria vinculada a un período de transición política en donde parece que cambia mucho pero realmente cambia poco o nada.

La película mezcla el discurso con motín con el propósito de fuga en un tono combativo.

Contiene bastantes clichés de cinta de prisión en el retrato de personajes y sus relaciones, un interés romántico superfluo que podría obviarse, trazos de progresivo desencanto político y un desarrollo un tanto monótono a pesar de los aparentes vaivenes de situación.

Miguel Herrán cumple como personaje protagonista dentro de un catálogo de tipos diversos pero sin la trascendencia y el efecto emocional que se pretende.

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