domenica 13 dicembre 2020

The Stranger In Me (Das Fremde In Mir) - Emily Atef

una mamma non riesce ad accettare il bambino appena nato.

le sue sofferenze e i suoi dubbi e i rapporti con il marito sono resi benissimo, merito degli attori e della storia che non è fatta per bagnare fazzolettini, né per invocare la pena di morte per la mamma degenere.

un film che merita - Ismaele 

 

 

Rebecca (32 anni) e il suo compagno Julian (34), sono in grande attesa per la nascita del loro primo bambino. Rebecca dà alla luce un bel maschietto in perfetta salute, e i due sembrano essere felici. Ma la donna presto si rende conto di non provare quell’incondizionato amore materno che si aspettava. Rebecca è turbata, si sente sempre più sola e disperata, mentre il suo bimbo le sembra sempre più un estraneo. Con il passare dei giorni, la sua incapacità a rispondere alle aspettative della maternità diventa sempre più evidente. Non riuscendo a parlare con nessuno intorno a lei, nemmeno con Julian, cade in una profonda depressione, tanto da rendersi conto di essere pericolosa per il suo bambino. Quando ormai non c’è più alcun dubbio sulla gravità del suo stato, Rebecca viene ricoverata in una clinica. Nel cammino verso la guarigione, nella donna si risveglia il sentimento materno, finalmente desiderosa di sentire il contatto, l’odore e il riso del suo bambino.

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The Stranger In Me is not a Rosetta-style descent into despair; the second half is about a difficult healing process, and the way it can be blocked by society's readiness to brand the unmaternal mother as a monster, and ostracise her. It's at this point that the script turns the initially rather flat husband into a character who becomes as interesting in his own way as Rebecca.

Henner Besuch's cinematography is measured but intimate, just handheld enough to bond with its subject and suggest the desperate loneliness of her situation. But respect dominates over voyeurism - something also underlined by the delicate soundtrack of pared-back, bittersweet piano trills.

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les structures étatiques sont précieuses. Une éducatrice restaure les liens distendus entre Rebecca et son bébé. Pas de jugement moral de sa part, pas de condamnation de la jeune femme en difficulté, ni de son mari d’ailleurs, mais de l’empathie sincère, amplifiée par le fait que cette femme a également souffert d’une dépression postpartum.
Même la police n’est pas inutile. Elle fait fonction de tampon social. Quand Rebecca oublie la poussette, un passant appelle les forces de l’ordre, pour être rassuré dit-il. La séquence est violente. Rebecca semble passer en procès public. Mais cette intrusion va éviter qu’un drame ne survienne et offrir une porte de sortie psychique à Rebecca.
Plus tard, quand Julian croit que Rebecca a disparu avec le bébé alors qu’elle est seulement parti avec lui au parc, là aussi la police est présente, dans leur salon – donc dans l’intime – et fait office de troisième homme, d’arbitre impartial entre les deux réalités qui s’affrontent alors, la peur de Julian au vu du passé récent et la vexation de Rebecca qui ne pensait pas à mal…

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