lunedì 7 dicembre 2020

Il coltello nell'acqua - Roman Polanski

sembra che la commissione di censura si siano lamentati per qualche nudo della protagonista (Krystyna) e per un finale ambiguo, niente a che vedere con il realismo socialista, e pare che Gomulka, il segretario del partito comunista (POUP) abbia lanciato un portacenere verso lo schermo, e i critici cinematografici polacchi di allora non apprezzarono il film (era il 1962). 

sembrerà un caso, ma Polanski lascio la Polonia per la Francia.

ci sono solo tre attori, ma non sono troppo pochi, sono perfetti.

chi vede il film, opera prima di Polanski, candidato all'Oscar come miglior film straniero (vinse Fellini con 8 e mezzo), capisce che la Polonia rappresentata non era il paradiso in terra, ma esistevano le classi, i giovani scalpitano per un posto nel mondo, le donne sono trattate abbastanza male.

il film è un thriller senza pause (ha lavorato alla sceneggiatura Jerzy Skolimowski), c'è un morto che non è morto, quasi una lotta di classe fra la vita e la morte, la protagonista osserva ma fa le sue scelte, chiaro oggetto del desiderio.

non perdetevelo, è un gioiellino che non potrà deludervi - Ismaele


 

QUI il film completo, in italiano

 

 

…Andrea e il giovane sono, infatti, il simbolo di un conflitto generazionale e politico che oppone la borghesia, con il suo lusso fatto di barche a vela, belle macchine, sicurezza economica, alla classe sociale inferiore, fatta di incertezza, precarietà e un’invidia latente. Il conflitto tra i due nasce all’interno di una dinamica matrimoniale già conflittuale, ma quasi sottaciuta.

Cristina è vittima dell’arroganza di un marito borioso e superbo che continuamente le dà ordini. Confinata nel ruolo di oppressa, è un personaggio continuamente chiamato a riportare la calma e l’ordine nelle zuffe dei due, mentre il marito, alla guida dell’imbarcazione, sembra dirigere il loro destino verso un orizzonte vuoto e silenzioso.

Un personaggio femminile che diventa una sorta di muto testimone delle contese di virilità degli uomini e, allo stesso tempo, un muto trofeo da esibire e da conquistare. Contrapposto al rapporto matrimoniale, quello tra i due personaggi maschili diventa un continuo affrontarsi e cercare il predominio sull’altro: Andrea è l’uomo borghese arrivato, che nella vita ha saputo trovare il coraggio di diventare un giornalista di successo. È un personaggio che continuamente cerca di dare prova del suo sapere accademico e della sua superiorità pratica. Il giovane autostoppista è invece un personaggio che cerca di riscattarsi, di dimostrarsi altrettanto uomo con i mezzi di un ragazzo inesperto. I tentativi di svelarsi all’altezza della situazione svaniscono con la superbia di un ragazzino immaturo. Ne è simbolo il coltello che si porta dietro, con cui si diverte a giocare e a sfidare il pericolo: retaggio di un’adolescenza passata che traduce il rifiuto della maturità cui è destinato…

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L'esordio di Polanski è già un film riuscito, completo e pienamente polanskiano.
Gli basta poco, come al solito: una coppia di alta borghesia prende in macchina un giovane autostoppista e il marito decide di portarlo con loro nella gita in barca.
E' già il mondo raffinatamente surreale di Polanski, che studia l'animalesca personalità umana in un viaggio col passare dei minuti sempre più irrazionale e perverso. I due uomini hanno caratteri decisi; come animali vogliono mostrare chi è il più forte, il più virile, di fronte alla femmina. Il marito assomiglia pericolosamente a Nicholas Cage ma recita meglio, è insopportabile e umilia di continuo l'altro dall'alto della propria esperienza; il ragazzo accetta sempre, con arroganza, le sfide poste dal marito. Gli episodi, banali all'apparenza, riescono ad accumulare una tensione sottile, irritante, sottocutanea, che affiora periodicamente in superficie. L'esplosione definitiva scopre i veri uomini che si nascondevano dietro i due che, come dice bene la moglie, stavano solo recitando delle parti.

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Perse molte tracce di storicismo cui era legata la Scuola Nazionale di Cinema di Lodz (e dalla quale era uscito il regista) il film recupera il suo potenziale critico nell’ambiguità dei personaggi, nello sfondo plumbeo del cielo (cinismo in penombra che con l’episodio della pioggia ne aumenta il carattere asfissiante) e nelle menzogne dei fatti: i due protagonisti maschili si bilanciano, spesso scambiando i ruoli in maniera impercettibile (il gioco del coltello con la mano aperta) ma è nel loro incontro mancato che il regista inserisce la sua storia. Non si tratta più quindi della storia della Polonia, ma della storia dei suoi uomini, e si capisce da subito che per il regista saranno spesso uomini soli, strappati ad un contesto e resi assoluti, silenziosi, distanti dalle cose perché privi di un’umanità che renderà caratteristico il cinema di Polanski. Un film che sebbene costruito in un unico ambiente principale e con solo tre personaggi, non sfrutta l’espediente logorroico dei dialoghi, ma come abbiamo detto, racconta molto anche con le immagini (la corsa del ragazzo sull’acqua). Il film fu sceneggiato anche dal futuro regista Jerzy Skolimowski, il quale partecipò anche al montaggio. Per alcune sottigliezze, il coltello nell’acqua potrebbe corrispondere come versione polacca de L’Atalante (1934) di Jean Vigo, priva di romanticismo e ridotta all’osso (ma anche elevata all’assoluto) nella sua crudezza.

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La película iba a llamarse El Cuchillo en el agua (Nóz w wodzie, 1962) e inicialmente el guion lo empezó a escribir junto a Kuba Goldberg, sin avanzar mucho. Aparece en escena Jerzy Skolimowski, un poeta y boxeador aficionado que aspiraba a entrar a la Escuela de Lodz. Entre él y Polanski darán cuerpo definitivo al guion, cuyo relato ya no se extiendía a lo largo de tres o cuatro días, sino que se concentra –la idea fue de Skolimowski- en el lapso de 24 horas. Luego de tres semanas de intenso trabajo, los coguionistas enviaron el proyecto al Ministerio de la Cultura, que lo rechazó por “preocupaciones temáticas” y “cuestionables valores morales”, recomendando una serie de cambios indispensables para su aprobación, incluyendo un compromiso social afín a la política comunista y una moraleja que el público pudiera aprender. Año y medio más tarde Polanski volvió a someter el guion al Ministerio con algunas escenas remendadas y unos diálogos añadidos. Esta vez fue aprobado…

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El principal atractivo de “El Cuchillo en el Agua” radica en la habilidad que exhibe Polanski a la hora de hacer evolucionar a sus personajes y avanzar en un argumento cuyas situaciones están limitadas espacialmente por una única localización (un velero) durante la mayor parte del metraje. Dicha limitación juega a favor y en contra de la intensidad de la historia narrada, ya que, inevitablemente, provoca una sensación claustrofóbica, pero también puede derivar en una pérdida de atención del espectador; esto último no ocurre gracias a la asombrosa pericia del director, que mantiene el pulso narrativo mediante una fascinante lucha de egos que siempre avanza y que presenta suficientes alternancias en el “marcador” como para que el ritmo no decaiga…

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El cuchillo (calma, no estamos en un thriller hollywoodense, por lo que no se convertirá en arma homicida ni nada parecido) será pues, la diferencia entre estos dos machos (uno alfa y otro prospecto de alfa) y el desencadenante de... bueno, creemos que el desenlace es menos importante que el despliegue psicológico no tanto de los personajes sino de los arquetipos que encarnan. Aportan amplio respaldo la impecable fotografía, los pasajes musicales de Komeda (breves pero intensos), las solventes actuaciones y un guión solidísimo convirtiendo al primer largometraje de la filmografía de Roman Polanski en uno de los más competentes, promisorios e influenciales ingresos al 7mo. Arte

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