venerdì 14 agosto 2020

Glory - Kristina Grozeva, Petar Valchanov

tempi duri per gli onesti.

Tsanko Petrov lo capisce presto, sei eroe per un giorno, poi diventi lo scemo del villaggio.

il film non è perfetto, forse, ma è un apologo per tutte le latitudini, la nostra compresa.

soffrite con Tsanko, che solo con i conigli sta bene.

buona visione - Ismaele

 

 

...L’intento è ancora una volta quello di mettere in luce contraddizioni e storture di una società piagata dalla corruzione e dall'iniquità, una macchina che sembra avere come unico scopo quello di stritolare lo Tsanko Petrov di turno, vittima predestinata delle prevaricazioni altrui. E puntualmente Tsanko Petrov - goffo, ingenuo e ignorante - sbaglia tutti i passi possibili per affrancarsi dal proprio disagio, finendo solo per stringere sempre più il cappio attorno al proprio collo.
L'accento è posto sul lato più grottesco e umoristico delle vicende di Tsanko e in parallelo, e per contrasto, di Julia Staikova, donna in carriera che pone il lavoro sopra ogni cosa e non nasconde il proprio disprezzo nei confronti dei suoi sottoposti. L'incontro improbabile tra i due, determinato da un fato beffardo, mette a nudo la profonda ingiustizia insita nella società bulgara, in cui un atto altruista come quello di Tsanko rappresenta un'anomalia imprevista e ingestibile per un sistema corrotto fino al midollo…

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Slava (Glory il titolo internazionale) è opera di rispetto, tutt’altro che da buttare nel cestino delle cose inutili. Ma soffre di un che di troppo di programmatico e dimostrativo: un teorema (su chi ha il potere e chi ne è escluso) svolto in forma di cinema. Telefonatissimo, prevedibile, anche se scritto assai finemente e con una regia da piccoli maestri, con macchina da presa mobile però mai isterica a pedinare i personaggi, e a disegnare come già in The Lesson un micro e macrocosmo bulgaro corrotto e sordido, dove l’ppartenenza europea e la democrazia son roba di facciata a nascondere il marcio, l’eterna corrosione balcanica, l’opacità est-europea. Quanto son bravi, Grozeva e Valchanov. E se solo riuscissero a tenere a freno l’intento didascalico e un certo moralismo, se solo abbassassero il tono predicatorio, sarebbero all’altezza dei loro vicini rumeni Puiu, Mungiu ecc…

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Girato con mezzi e libertà da cinema indipendente (low budget, camera a mano e location rubate alla strada) "Slava" in realtà si distacca dalle derive di questo modello non solo perché riesce a scansarne i vezzi, e perciò a evitare la frenesia della macchina da presa e delle riprese volutamente approssimate così come del bisogno ossessivo di parlarsi addosso, ma soprattutto per le qualità di un testo che senza farsene accorgere riesce a passare dal tono grottesco e paradossale della prima parte - quella in cui la circonvenzione  del povero Petrov da parte di Julia e dei suoi accoliti è descritta con accenti quasi kafkiani - a quello crudo e drammatico della seconda, in cui la resa dei conti tanto inaspettata quanto inevitabile dà vita a un finale senza vincitori né vinti. Consapevole dell'importanza della denuncia di cui si fa promotore (la corruzione del sistema e la mancanza di morale dei governanti) "Slava" non commette l'errore di sbandierare i suoi contenuti a mo' di feticcio, ma ne rafforza gli effetti sporcandoli con gli artifici di una drammaturgia che riesce a trasformare l'indignazione in un noir esistenziale serrato ed emozionante. La violenza che ne deriva pur mettendo a dura prova le psicologie dei protagonisti   si mantiene lontana dal contesto visivo a cui siamo stati abituati dal cinema americano; dal quale i registi si distaccano con la decisione di riversare la brutalità dei comportamenti, non tanto nell'esibizione del sangue e dei suoi rituali, quanto piuttosto sulle conseguenze che tali azioni comportano sulla qualità delle relazione umane, intese in senso deteriore e come strumento di oppressione  e di ricatto (sintetizzate dalle reazioni di Julia rispetto alla realtà che la circonda), e come semplice merce di scambio…

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Cominciamo col dire che Glory, come molti altri film provenienti dall'est Europa, può piacere o meno ma di sicuro non delude: questo film è una sorta di "traffic" bulgaro, nel senso che segguiamo le vite dei nostri protagonisti (Tsanko e Julya) anche nel loro "interno" e non solo nell'ambito strettamente legato alla trama: quindi vediamo Tsanko cercare il suo orologio e vincere premi ma anche apparecchiarsi una triste colazione in una men che ben arredata casina, rilasciare interviste ma anche preoccuparsi spasmodicamente dei suoi conigli. Ma è soprattutto Julya quella di cui abbiamo il quadro completo, neanche fossimo in un film di Jules Dassin (soprattutto "naked city" dove vediamo sia un indagine della polizia che la vita casalinga di questi ultimi) la seguiamo quindi barcamenarsi sia con le vicende lavorative del suo team di p.r., intento a esaltare e poi nascondere Tsanko, ma anche nella sua sfera intima in cui è alla presa il congelamento dei suoi ovuli e visite mediche. Il finale tradisce la vena "nera" (in fondo glory è una commedia) più nera della notte, che doppiaggio e forse anche adattamento tradivano, ma sembra anche un tantino affrettato e non all'altezza di un film ben strutturato e con addirittura due registi.

In definitiva Glory è un film che ha i suoi lati migliori proprio nella regia e nel tema, ma che perde tantissima vis di commedia nella traslazione (la balbuzie del protagonista diventa pedante e frenante invece che comica) e che per questo fa arrivare alla conclusione semi surreale quasi impreparati. Insomma il classico film il cui giudizio e comprensione avviene solo dopo aver visto anche l'ultimissimo fotogramma. Comunque curato e recitato senza patetismi: i nostri si toccano il viso, spostano i capelli, muovono in modo credibile: nessuna pantomima, anche nei momenti più duri. Ma ovviamente, ripetiamo, infinitamente più godibile e meno snaturato in lingua originale…

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A tratti, come in tutta la sequenza della cerimonia di premiazione, il gioco si fa fin troppo scoperto, come se l’esigenza di mandare un messaggio chiaro, quasi programmatico, togliesse troppo spazio alla sottigliezza espressiva. L’impianto di fondo del film, cosi’ schematico e ostentato, finisce in parte per togliere respiro alla vicenda, paradossalmente riducendone la carica drammatica. Pur tipizzati, i personaggi restano comuque abbastanza credibili. La figura piu’ complessa, e al contempo piu’ respingente, e’ quella della PR Julia Staykova (Margita Gosheva, in un ruolo speculare a quello interpretato in The Lesson), quasi una caricatura della donna emancipata e in carriera. Il focus sulla sua vita privata, e in particolare sulla relazione di coppia con il marito Valeri e sul loro tentativo di concepire un figlio, sembra fatti apposta per creare un contraltare narrativo alla vicenda principale (che va dal ritrovamento delle banconote fra i binari alla punizione esemplare di Tsanko) e fornire spessore emotivo a una figura altrimenti stereotipata. E proprio Valeri, personaggio apparentemente secondario, incarna un altro degli elementi che gia’ attraversavano The Lesson, ovvero quello sguardo umanista, carico di pieta’ e rassegnazione, che nel film precedente animava la protagonista Nadja e che qui e’ relegato sullo sfondo.

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