sabato 15 agosto 2020

Bridgend - Jeppe Rønde

in una cittadina gallese molti giovani si suicidano, e non si riesce a spezzare la catena dei giovani morti.

la polizia non può niente.

il regista segue una ragazza, figlia di poliziotto, appena arrivata a Bridgend, e anche lei intrappolata in questa storia.

non ci sono soluzioni a portata di mano, e meno che mai facili.

molte scene sono dolorose, ma altre, l'ultima sopratutto, sono bellissime.

buona visione - Ismaele


 

 

Gli adulti non potranno mai capire, gli adulti non potranno mai aiutarci, anzi, sono loro una delle cause principali di quello che siamo.
Ecco così che, cambiando la prospettiva, Bridgend potrebbe esser visto non solo come un film sull'adolescenza ma anche sul difficilissimo e tremendo ruolo che hanno i genitori in questa fase della vita.
Come se non bastasse la componente di questi non rapporti c'è anche quella ambientale, ovvero quella di un luogo senza attrattive, grigio, monotono, con solo quel bosco e il suo laghetto come diversivo.
Forse non è un caso, non può esserlo, che le scene più gioiose, l'unica giornata di vera e spensierata felicità vissuta dai nostri protagonisti, sia quella al luna park abbandonato e al mare.
A significare come il gioco, il tornar bambini, il tornare a non pensare, e il mare, questo luogo infinito opposto a quello in cui vivono, possono essere due soluzioni, due tra le tante.

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Rønde usa la sua esperienza di documentarista per filmare gli eventi come se accadessero in tempo reale. Il nostro punto di vista è sempre all’interno delle azioni, mai all’esterno, tanto che spesso il confine tra realtà e messa in scena è quasi invisibile.

Superlativo in questo senso il lavoro del direttore della fotografia Magnus Nordenhof, che oltre al suo bellissimo lavoro con la macchina a mano riesce a rendere la cittadina di Bridgend un luogo spettrale e incredibilmente suggestivo.

Si tratta in generale di un film estremamente realistico, per quanto la sceneggiatura si lasci andare di tanto in tanto in alcune scene piuttosto eccessive dal punto di vista del comportamento dei suoi personaggi.

Ma il fatto è che la visione di Rønde e Nordenhof riesce a renderlo un’esperienza sensoriale – o liquida, per citare Harmony Korine – della quale si resta totalmente ipnotizzati dall’inizio alla fine…

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… Bridgend è un film anomalo e minimale. Descrive seguendo minuziosamente i suoi protagonisti all'interno di una realtà drammatica da cui non sembra esserci salvezza.

I protagonisti sono membri di una piccola micro comunità nella società e non fanno altro che bere, picchiarsi, scopare e urlare a squarciagola nel bosco per ricordare i loro amici morti.

Una prova d'iniziazione che prevede il sacrificio finale. Il capro espiatorio, Jamie, è la vittima sacrificale, tutto ma proprio tutto sembra venir citato dal regista se non fosse che nel secondo atto perde quasi tutta la sua atmosfera e l'indagine si perde diventando una sorta di meta riflessione su alcune ansie giovanili senza riuscire a trovare originalità e spunti di interesse.

Un film che parte benissimo per poi lasciarsi andare. Un finale solenne quanto prevedibile, sopratutto dal momento che Ronde ama il lieto fine, e una scelta d'intenti che farà storcere il naso a molti ma che in fondo getta le reti per un ottimismo di fondo che andrebbe sostenuto in tempi come questi in cui la fragilità dell'io degli adolescenti in generale ha toccato dei picchi che nessuno pensava possibili.

Con Bridgend, il regista Jeppe Rønde ha investito la sua esperienza di documentarista in un dramma sulla vera storia di una cittadina nel sud del Galles. Ancora oggi, Bridgend viene tristemente associata ai tragici suicidi che hanno avuto luogo lì tra il 2007 e i giorni nostri. Per ragioni ancora inspiegabili, 79 giovani di età compresa tra i 13 e i 17 anni si sono tolti la vita. Rønde affronta l’argomento abilmente.

Dal punto di vista della regia c'è tanta telecamera a spalla, il montaggio e le musiche sono le parti più curate, il cast fa il suo dovere senza guizzi di nessun tipo e la prima e l'ultima scena rimangono le immagini più belle e affascinanti di tutto il film.

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Maravilla, aturde y decepciona. Este podría ser el titular perfecto para describir Bridgend, debut en el largometraje del danés Jeppe Rønde tras una larga carrera audiovisual trufada de comerciales, cortometrajes, documentales y trabajos fotográficos. Un currículum que queda patente en cada uno de los sensacionales fotogramas de este thriller basado en un hecho real –presentado en el Festival de Róterdam y triunfador en Tribeca— que nos acerca a un condado galés homónimo donde se suceden extraños suicidios —hasta 39 muertes— de adolescentes desde 2007. ¿Las causas? Aún por determinar. Como pueden apreciar, el punto de vista no puede ser más prometedor. Y más atendiendo a una fotografía –que moldea increíbles secuencias acuáticas o boscosas— de colores azulados que introduce al espectador inmediatamente en la trama. Es tal el prodigio que su guion pasa a un segundo plano. Desgraciadamente, cuando éste debe tomar las riendas de este lúgubre caleidoscopio, saltan todas las costuras y llega el derrumbe. Lo hace de forma ciclópea, sin pausas. Lo estulto se apodera de esos bosques, de esas nebulosas calles y de unos personajes de gestos extremos, casi barrocos. Algo que remarca su actriz principal, Hannah Murray –mundialmente conocida por su rol de Gilly en Juego de tronos—, totalmente descompasada y a merced de sus labios. Bridgend recuerda vagamente a Obietnica de Anna Kazejak, presentada en la misma sección en 2014, producto Sundance de estética videoclipera y sentencias televisivas. El envoltorio como único regalo. Habrá que constatar en un segundo visionado si el insulto de Rønde a la inteligencia del público es tal. 

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