martedì 21 aprile 2020

La fuga di Martha (Martha Marcy May Marlene) - Sean Durkin

il film è tutto sulle spalle di Elizabeth Olsen, Martha, un po' forte, ma di più fragile, in fuga da se stessa, e anche dagli altri.
è comodo che decidano per lei, ma non è quello che vuole.
Martha vede sempre minacce, non riesce a essere tranquilla, è una corda di violino, nei suoi pensieri e nelle sue parole, non può mai essere controllata.
vaga per il mondo in cerca di qualcosa che non trova mai, quella setta schifosa sembrava una soluzione, è solo uno schifo in più, e lei non sarà mai pacificata.
la colonna sonora è inquietante, per una storia che di sereno ha poco e niente.
non sappiamo come finirà il film, dopo la parola fine.
film da non perdere - Ismaele

ps; Sean Durkin è il regista di un altro gran film che ho visto, Southcliffe







Un titolo. Tre nomi. Una protagonista.
Basterebbe questo per spiegare come l'esordio di Sean Durkin, regista e sceneggiatore di Martha Marcy May Marlene (titolo originale de La fuga di Martha) non è la storia di una ragazza in fuga da una sorta di setta della quale era stata volontaria prigioniera per due anni, ma quella di una ricerca identitaria. Disperata e universale…

…Durkin si concentra sulla perdita di identità, sulla decostruzione sociale di un essere umano, sull’effimero e innocente sentimento di famiglia, che sfocia in atrocità e violenze imponderabili e sulla riproposizione forzata della distinzione di gender, nella quale l’uomo può permettersi di sottomettere la donna. Martha compie, attraverso un rito di purificazione, un percorso di vita disdicevole e non è consapevole della sua situazione estrema, che non gli permette di valutare lucidamente la sua condizione umana. Difatti la rabbia ribollente, che si riversa in atti di follia distruttiva, monta lentamente e in modo evidente si manifesta nelle sequenze conclusive della pellicola. Infatti si rimane abbastanza basiti e interdetti nel momento in cui Martha non esplicita il suo turbamento nelle scene iniziali, come se quei ricordi rappresentassero la normalità.
Durkin, accompagnando la sua pellicola con lunghissimi silenzi, non permette alla musica di far capolino in questo dramma straziante, che rimane abilmente sospeso in un finale che indugia sul volto spaventato e privo di certezze di Martha. In conclusione si può affermare che La fuga di Martha è un angosciante spaccato vitale, una compiuta opera prima, che fa sfoggio di uno stile che rifugge una ripresa instabile per concentrarsi con assoluta fermezza sui dettagli funzionali e necessari per sviluppare la vicenda. Durkin mette in mostra una giovane senza identità destinata alla completa privazione di una possibilità di costruirsi serenamente la propria vita. Un personaggio che sarà per sempre Martha, Marcy May e Marlene.
da qui

Her early life made her insecure in her self-image. First she was taught the sunny good things (working on the farm, preparing meals, caring for babies, meditating) and then, slowly, introduced to the bad ones (all the women are expected to sleep with Patrick). This is rape in the sense that they have no choice, but Patrick is so effective that they are mind-controlled into the illusion that it is their desire. Later, Martha even helps prepare another girl for the initiation. Group unanimity is the overarching reality; there is enormous pressure to fit in and go along. And it is very hard, Martha discovers, to leave.

Ottima pellicola sul disagio psichico di una ragazza fuggita da una comunità "alternativa", sulla difficoltà di tornare indietro ad un modo di vivere che si era rifiutato, per doverlo successivamente ricercare per la durezza psicologica di quello alternativo. E' il ritratto di una ragazza profondamente sola, manipolata fin nel suo intimo, che ha troncato il suo passato tormentato per dedicarsi anima e corpo alla comunità.
E' lo svuotamento di una volontà incapace di ricominciare dopo una pausa lunga due anni, incapace di comunicare il suo disagio condannandola ad una eterna fuga.
Notevole esordio di questo Sean Durkin che descrive a 360 gradi il disagio di questa ragazza alternando per assonanza immagini presenti con il passato recente di Martha. Eccellente la prova della protagonista esordiente Elisabeth Olsen capace di rendere appieno con il solo sguardo il trauma violento della sua esperienza vissuta. Un esordio non facile, superato a pieni voti.

Quella di non dare risposte è una scelta audace e assolutamente rispettabile; ma se a latitare sono anche le domande e quegli interrogativi necessari per andare al di là di ciò che stiamo vedendo, la delusione è una conseguenza quasi inevitabile.
Non basta una confezione impeccabile e delle interpretazioni di tutto rispetto (se Elizabeth Olsen è una scoperta, John Hawkes è o almeno dovrebbe essere una conferma).
Il film attende per tutta la sua durata un cambio di passo che non avviene mai: l'eterna attesa è affascinante, ma resta in zone ombrose che non riusciamo a cogliere. Scegliere la strada del non detto non dovrebbe equivalere alla realizzazione di un film che dice poco.

Batte sentieri impervi l’opera prima di Sean Durkin, viottoli cinematografici contraddistinti da trappole nascoste alle quali è quasi impossibile sottrarsi, nonostante la buona volontà. E il talento. Ultima next big thing in ordine di tempo a presentarsi con il tagliando di made in Sundance, Martha Marcy May Marlene è un film che fa del suo fascino elementare l’elemento maggiormente forviante: la dimostrazione pratica di una promessa precocemente già etichettata come fuoriclasse. Il primo Durkin è patrimonio sfuggente, invitante e al tempo stesso incompiuto, in quanto saturo di ogni caratteristica propria di certe pellicole festivaliere: pregi molti, difetti altrettanti. Se non di più. La fuga di Martha s’impossessa di quasi tutto l’alternative statunitense che conta(va?): una protagonista che sembra arrivare dritta dall’esordio di Sofia Coppola, una macchina da presa che la guarda fuggire di spalle alla maniera di Aronofsky, una cabina telefonica qualunque in un esterno giorno qualsiasi stile Van Sant: da qualche parte, poco lontano da New York. E poi (tanto) altro

La fuga di Martha conta su una messa in scena ineccepibile, fatta di lunghi silenzi, regia rigorosa, musiche minimaliste. Un crescendo di tensione che mantiene vigile l'attenzione dello spettatore nonostante la lentezza del ritmo. L'inquietudine non lascia mai spazio alla risoluzione: è impossibile capire le motivazioni di Martha, divisa tra il terrore muto che prova nei confronti di Patrick e l'ammirazione verso l'unico uomo che le abbia mai dato fiducia. Il finale lascia tutto in sospeso: starà al pubblico capire se Martha sia finalmente libera e proiettata verso il futuro, oppure se “qualcuno” le stia ancora dando la caccia…

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