martedì 28 aprile 2020

Uncut Gems (Diamanti Grezzi) - fratelli Safdie

se guardate questo film (e spero che lo facciate, se almeno un po' vi volete bene) cercate una poltrona con le cinture di sicurezza.
vi farà correre a 100 all'ora, come nelle montagne russe, seguirete Howard nelle poche ore e giornate in cui è concentrata la storia.
Howard ha mille difetti, il primo è che non sa stare solo con se stesso, e quando ci riesce è solo perchè si nasconde, ma lo trovano sempre, un altro grande difetto è che è un giocatore d'azzardo come pochi, e il tempo, che lui vorrebbe amico, è una clessidra implacabile.
se fosse diverso non sarebbe così, e Dostoevskij ne trarrebbe grande ispirazione, se volesse conoscere un giocatore nel nostro mondo di oggi, nell'ombelico del mondo che è una New York che non dorme mai, dove tutto si può avere e perdere in un secondo.
buona, immancabile, visione - Ismaele











questo è uno di quei casi in cui la velocità del tutto non crea noia ma, al contrario, attenzione, atmosfera, tensione.
Magari ci sono anche altri film "veloci" che danno queste sensazioni agli spettatori (altrimenti i botteghini non premierebbero solo la spazzatura) ma qui siamo davanti ad una rapidità di cinema volta a chi il cinema lo ama, non agli estimatori- legittimi eh - dei Luna Park.
Credo di trovarci davanti ad una specie di miracolo di sceneggiatura e di regia perchè girare un film videoclipparo (madò se è abusato sto termine... ma ancora oggi mi sembra uno dei più azzeccati) che causa nello spettatore le stesse sensazioni del grande cinema d'autore è impressionante.
Il film comincia e poi finirà senza che te hai quasi respirato. E in tutto questo fai pure in tempo a provare tensione, ad apprezzare la recitazione, la sceneggiatura, le musiche.
Magari non ci sono tante tematiche, quasi nessuna, ma che cazzo ce ne frega, intanto siamo entrati in una Ferrari e abbiamo fatto un giro della città, una bellissima città, con alla guida Michael Schumacher.
Sempre un lettore ha tirato fuori (se l'abbia letto da qualche parte non so), il termine "multitasking".
Perfetto.
Questo è il prototipo di un cinema multitasking, un cinema che contemporaneamente racconta di più cose, un cinema in cui i dialoghi, diversi dialoghi, si intervallano continuamente uno sopra l'altro, in cui le vicende, diverse vicende, si intervallano continuamente una sopra l'altra, un film dove noi non siamo altro che il nostro protagonista, ovvero uno che deve portare avanti 5 cose contemporaneamente cercando di non impazzire, ascoltando tutto con le orecchie, seguendo tutto con gli occhi, elaborando tutto con la testa.
Se c'è spaesamento, se a volte non capiamo chi parla, chi è quello, che voleva l'altro, tutto questo caos non è un errore ma, anzi, la perla del film, un film che racconta la confusione di una vicenda, di un uomo, di un'intera città che non riesce a dormire o pacificarsi.
Tutto è così overload che la coscienza alla fine si perde, che se hai fatto 30 non fai 31 ma 200…


Scandito dalle musiche ipnotiche di Daniel Lopatin (conosciuto anche come Oneohtrix Point Never e già autore dello score di Good Times), costruito attorno agli spostamenti frenetici di Howard, alle sue conversazioni sguaiate, alle sue disavventure che esplodono in improvvisi picchi di violenza, aperto da una sequenza in una miniera etiope a cui segue un flusso di immagini lisergiche che dalle viscere della Terra conduce (letteralmente) alle viscere del protagonista, Uncut Gems - cioè gemma grezza, non tagliata e forse senza valore come la vita di Howard - è un trip visivo e sensoriale che per più di due ore conduce nel caos di uomo irresistibilmente e stupidamente attratto dall'azzardo e dalla sfida a sé stesso («Questo è il bello di scommettere, cazzo: io, un fan dei Knicks, che punta tutto sui Celtics...»).
Come ammesso dagli stessi registi, per cui «ogni film precedente è stato una tappa d'avvicinamento a questo film», Uncut Gems è la summa del cinema dei fratelli Safdie, mai così bravi a richiamare i loro modelli (i soliti Cassavetes e Scorsese, qui produttore esecutivo, ma anche PT AndersonJames Gray o il JC Chandor di 1981: Indagine a New York); mai così precisi nel raccontare il legame fra un personaggio e il suo ambiente; mai così attenti, ancora, a legare le loro vicende paradossali alla realtà (la straordinaria scena finale ruota attorno alla gara 7 delle semifinali di Conference della NBA del 2012 tra Boston Celtics e Philadelphia 76ers).
E finalmente maturi abbastanza da allargare il loro sguardo da un mondo di disadattati e sconfitti a un'intera città, o un intero paese, in perenne movimento, violento, spietato, grottesco, disperatamente legato al denaro.

Non è tanto un film sull'avidità, come si potrebbe pensare dato il contesto, quanto sull'innato bisogno degli esseri umani di trovare una sfida adeguata che dia loro la forza di proseguire. A volte questo istinto può portare all'eccesso, come nel caso di Howard Ratner.
Diamanti grezzi è dunque anche un film sulla dipendenza dal gioco: Howard non smette mai di scommettere, anche quando vince. Anzi, una vittoria per lui è solo un risultato su cui investire ulteriormente, alla ricerca costante dell'adrenalina che deriva dalla consapevolezza di aver battuto le probabilità…

…La regia è perfetta nel mostrare la caotica ed alienante New York, la sceneggiatura è perfetta nel raccontare questo progressivo e grottesco delirio, dove anche la sacralità pagana viene posta al centro della discussione con un fare quasi comico, incarnato proprio nello scaramantico Garnett. Un costante gioco di microcosmi che si incontrano e si scontrano inevitabilmente, sempre con il sorriso di Sandler stampato sul volto, nonostante l’effetto domino è sempre in procinto di schiacciarlo. 
Diceva Newton che ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria. Ebbene, Diamanti Grezzi prende in prestito il cinema delle due coste statunitensi per raccontarci la storia di un mondo, il nostro, dove l’unica cosa che rispetta un ordine è il caos. Che in fin dei conti, come ci dice Saramago, è solamente ordine che dev’essere ancora decifrato.

È impressionante la sicurezza con cui Benny e Josh manovrano la camera, lavorano sui primi piani, sul montaggio e sulla musica – grazie specialmente alla grande colonna sonora di Onethrix Point Never -. Uncut Gems funziona perché come spettatori entriamo dall’inizio del film all’interno dell’azione, simpatizziamo con Howard e sentiamo il tempo come lo sente lui…

…Le riprese forsennate e il montaggio serrato danno un senso di fluidità frammentaria, tutto avviene con una consequenzialità chiara che in ogni istante fornisce informazioni sulla mentalità o sul retroscena culturale di Howard, e su come la sua storia può essere rappresentativa di qualcosa per capire il genere umano e il nostro mondo. Ma succedono tantissime cose, e molto velocemente, è un po’ un attacco d’ansia e un po’ una montagna russa nella cocaina. Due ore e un quarto sembrano tre quarti d’ora. Usando la cinepresa in modo così grezzo ma senza mai dimenticare le lezioni del cinema classico (e di Scorsese, produttore esecutivo) sulla relazione nello spazio tra la macchina da presa e la reale intenzione simbolico-narrativa della scena, questa tachicardia cinematografica diventa un’esperienza incredibilmente soddisfacente…
…È un film totalmente dentro alla contemporaneità e ci arriva con una naturalezza che fa quasi paura, come se stesse raccontando il tipo di personaggi psicologicamente, moralmente e socialmente ambigui del neorealismo, gli abbandonati che decidono di andare verso la perdizione, ma sotto un’ottica pop e americana. Non commercializzando uno stilema ma cercando di innovare un linguaggio, e peraltro in modo sottile. I Safdie sono colti, amano Mike Leigh ed Ermanno Olmi, il loro immaginario sarà stato percorso negli anni da migliaia di film e di vite da spiare e raccontare. I loro protagonisti sono reietti autodistruttivi, ma che in qualche modo persistono, e forse meritano una qualche trascendenza. E magari finiscono come vittime, e il mondo direbbe che è giusto così, ma per come il film è raccontato sembrano perlopiù dei martiri. Sembrano trascendere. La storia di Howie è la storia di uno sfigato, qualcuno direbbe persino di un mostro, ma che sopporta una vita, un ritmo, e una propria essenza talmente incasinate che si merita una redenzione, una soddisfazione, una vittoria. Anche a costo di tutto il resto. Perché lui è nato in un mondo che ha permesso che una persona come lui potesse esistere. I Safdie lo sanno scrivere, raccontare, mostrare, accordare. Sanno mettere in scena la confusione della quotidianità, l’irrefrenabile natura ansiogena della ripetitività, la noia irritante della routine e la volatile fugacità dell’adrenalina. Con un prologo e un epilogo di natura ciclica che suggeriscono una dimensione spirituale/esistenziale che è giusto che sia solo accennata e mai approfondita vista la natura del protagonista, Uncut Gems è l’instant-cult americano di cui avevamo bisogno, non il grande ritorno di un maestro conclamato, non il film ben fatto ma la cui ambiguità lo rende interpretabile in troppi modi distanti, non il film sperimentale, non il film sociale, non il grande dramma classico, non l’esordio che fa discutere: è un film di genere e d’autore, che saltella tra il sapore dell’amatoriale e la sovrastruttura del film ad alto budget, che racconta una storia stratificata e spudorata. Mostra un mondo con un’estetica definita e delinea un personaggio unico e indimenticabile.

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