giovedì 14 giugno 2018

Voci lontane...sempre presenti (Distant Voices, Still Lives) - Terence Davies

il film (del 1988) è ambientato nella Liverpool prima dei Beatles, fra gli anni '40 e '50.
è la storia di una famiglia, dominata da un padre padrone, buono e cattivo e violento (un grande Pete Postlethwaite).
in quei tempi si cantava, era un aiuto e un sollievo per l'anima, si sorrideva, si piangeva.
la musica è una straordinaria protagonista del film, al pari dei tre figli e della madre.
si va avanti e indietro nel tempo, continuamente, ma non c'è bisogno di spiegare niente.
si sente l'aura del capolavoro (mi ha fatto pensare a The dead, di John Houston, dove la musica era una protagonista).
l'ho visto due volte in due giorni, prima in italiano e poi in inglese con i sottotitoli.
se il film vi lasciasse indifferenti sarebbe un brutto segno.
cercatelo, è un film a cui vorrete bene - Ismaele

ps: proprio in questi giorni, in una cinquantina di sale, proiettano A quiet passion, di Terence Davies, su Emily Dickinson. Come privarsene?






Film autobiografico di Davies, il suo Specchio tarkovskijano è ambientato nella Liverpool proletaria '40/'50, poesia ermetica accompagnata da una colonna sonora che rimembra frammenti di memoria rappresentati con sequenze sconnesse come la nostra memoria le partorisce, associazioni di idee in media res e altrettanto innavvertitamente recise con brusche interruzioni.Piccoli eventi quotidiani, nella quale emerge la figura del padre tiranno dipendente etilico, un magnifico Postlethwaite, momenti di stasi e di svago alla radio sentiamo suonare le canzoni dell'epoca, la musica è il rifugio collettivo.

" 'Voci lontane... sempre presenti' è un piccolo grande film da amare, con folgorazioni visive straordinarie, momenti di intensità e rigore filmici magistrali (vedi l'uso del colore), pensati e realizzati sull'onda della commozione ma anche distanziati dallo stile e da un senso comune del pudore che non permette di inserire l'autore nella casella dei romantici spudorati. Davies è regista personalissimo, convinto che un uomo li possa valere tutti, e non ha problemi nel parlare dei suoi problemi, dell'invadenza paterna, dell'amore assoluto per la madre, della violenza della religione. E' cinema in stato di grazia, e quel che più importa è un cinema che ciascuno può indossare e misurare sulla propria coscienza, riuscendo a trovare, attraverso l'eco di un'emozione privata, un brivido che ci riguarda tutti. Che è poi, diciamolo, il lasciapassare della poesia." (Maurizio Porro, 'Il Corriere della Sera', 23 Novembre 1988) "Le canzoni sono il tramite, le depositarie della memoria collettiva, l'onda musicale che apre e chiude le cicatrici comuni. Conta anche l'uso del suono col ricorso frequente all'asincronismo dei rumori, delle voci, delle musiche. Soltanto nella seconda parte il ricorso alle canzoni diventa un po' ripetitivo, ma qui emerge la profonda natura del film: il mondo vi è rappresentato dalla parte delle donne. Perciò ho parlato anche di durezza, con pudore, senza sobbalzi polemici, con dolce pacatezza il giudizio sull'universo maschile e la sua volgarità è inesorabile. Andate a vedere questo Davies. Quando ne uscirete, avrete capito meglio perché i Beatles sono nati e cresciuti a Liverpool." (Morando Morandini, 'Il Giorno', 18 Novembre 1988) "La novità e la grandezza del cinema inglese contemporaneo le conosciamo ormai tutti, Davies, in mezzo, vi aggiunge però nuovi pregi. Con una vitalità d'autore che non tarderà a farne domani una delle voci più rappresentative della cultura cinematografica del suo Paese. E, forse, il suo poeta più vivido. Tra i molti interpreti, che si compongono tutti in una galleria straordinaria di facce, voglio ricordare almeno Freda Dowie, la madre, con una interiorità e un'espressività che squarciano lo schermo. Per fortuna, come gli altri, non è doppiata, per un esperimento con sottotitoli che mi auguro sia imitato sempre più. Godetevi la qualità di quelle voci." (Gian Luigi Rondi, 'Il Tempo', 19 Novembre 1988)

La nozione di tempo nel film viene ad assumere una struttura ciclica, dove il padre muore all'inizio e poi torna ad opprimere i suoi familiari, così come il figlio Tony muore prima del finale in cui si sposa; in questo modo, Davies ha instaurato una fertile dialettica tra presente e passato, costruendo un'opera dove talvolta è difficile stabilire i vari piani temporali delle singole immagini. Le difficoltà intrinseche di questo particolare tipo di linguaggio audiovisivo sono accentuate da un uso reiterato e insolito della musica, che include una quarantina di canzoni nella colonna sonora (molte delle quali cantate "a cappella" dai personaggi), così da tenerla in contrappunto costante con la storia e da farla diventare a tratti la narrazione stessa. Alcune immagini tornano spesso come leit-motiv visivo, come la porta di casa che delimita lo spazio di appartenenza dei personaggi e il loro piccolo mondo che, pur nello squallore di una routine sempre uguale a se stessa, resta pur sempre il loro mondo. Davies, inoltre, esige dai suoi attori un'essenzialità espressiva e una rinuncia alle tentazioni istrioniche che sono sicuramente memori della lezione bressoniana che, del resto, si può avvertire anche nel rifiuto del calligrafismo e nel legame "necessario" tra le singole immagini, che acquistano valore solo nella messa in relazione delle une con le altre. Le simpatie di Davies vanno soprattutto alle donne, spesso maltrattate o umiliate dai loro mariti, come Nelly, la madre, che accetta in silenzio le percosse del marito pur di tenere unita la famiglia. Ne esce un ritratto preoccupante dell'istituzione matrimoniale saturo di scontri violenti e traumi domestici a scapito delle donne, presentati come la norma della vita familiare in Inghilterra negli anni Quaranta e Cinquanta.

The surprising thing is that all this might sound gloomy and depressing, but it turns like a night out at the pub when you had a few pints and you can feel the camaraderie around you and things seem a little better while you're a wee bit tipsy and taken aback with the moment to worry about other things. It's that kind of glorious pic, without plot, that captures in emotionally charged ways these Brit working-class types without patronizing them or taking away that special magic they have in surviving. By its simple filming techniques, without artifice, it also evokes comparison to great filmmakers such as Michael Powell and Yasujiro Ozu…

Extrêmement écrit, précis et travaillé, on peut trouver « Distant Voices » quelque peu rigide et mécanique. Si l'on s'attache aux personnages, si les drames nous bouleversent, le film perd effectivement en émotion. Mais l'émotion, Davies s'en méfie, aussi cette construction est une sorte de barrière protectrice, une autre forme de ce refus systématique du réalisateur à se laisser aller au misérabilisme, à la complaisance ou à chercher une identification artificiellement poussée du spectateur. Le film trouve ainsi sa propre voie, à la fois dans la distance au sujet et dans la proximité avec les personnages. Si l'on s'éloigne parfois un peu d'eux à cause de la froideur du dispositif, les chants reviennent alors et emportent le film dans un souffle lyrique. L'émotion qui nous saisit alors n'est pas feinte et Davies sait nous toucher au plus profond du cœur. Une petite merveille.

Nel film si susseguono e rincorrono temi cari al regista: la lontananza affettiva del padre e al contempo la sua opprimente presenza gerarchica, la figura materna amorevole ma sottomessa, gli spazi angusti che ispirano socialità, la rassegnazione femminile e la burbera prepotenza maschile, la Storia che si insinua nelle piccole storie quotidiane.
Grande e persistente protagonista è la musica, la canzone, la melodia che avvolge con il suo manto spensierato il nitore onirico delle immagini. Spesso la canzone è diegeticamente inserita in scene di intima socializzazione (feste, pub, ricorrenze) ed esplicitamente cantata dai personaggi sullo schermo, altre volte è extra-diegetica e si presta a profondi contrasti visivo/sonori come quando un atto di brutale violenza domestica è accompagnato e, paradossalmente, reso ancor più insopportabile dalla voce di Ella Fitzgerald che canta Taking a chance on love.
Davies è un soffio di pura poesia malinconica all'interno del panorama cinematografico inglese, un autore in grado di condurci nelle sue memorie in punta di piedi e di farci credere che, in un tempo ormai passato, siamo stati anche noi accanto a lui, nella Liverpool degli anni '40, a berci un rum and pep e ad ascoltare Peter Pears.

Titolo italiano Voci lontane, sempre presenti, si tratta di un film particolare nel quale la musica gioca un ruolo fondamentale.
È un film particolare perché è uno dei pochi prodotti cinematografici riusciti, e tuttora citato come esempio, di storia raccontata per frammenti e associazioni di idee, come un ritorno alla luce di ricordi rimasti seppelliti nella memoria, un film quindi senza una trama esplicita, senza dialoghi, senza alcun rispetto della cronologia, e senza alcun ricorso alle regole consolidate di scrittura cinematografica.
Si può dire che da un certo punto di vista che è un film in forma di poesia, contrapposto ai film tradizionali in forma di prosa.
La storia quindi viene ricostruita dallo spettatore stesso, che integra mentalmente le parti mancanti e le interconnessioni, esattamente come avviene nei video, solo che nei video questo avviene per raccontare una storia in tre minuti, in questo notevole film invece tutta la scrittura cinematografica è costruita intorno a questo metodo.
La storia in sé stessa è suddivisa in due parti, proprio come il titolo, Distant Voices (Voci lontane), è il ricordo angosciante del padre etilista e violento, interpretato magistralmente dall'attore inglese Pete Postlethwaite, dittatore in famiglia, dove cerca la rivalsa da una vita grigia, il tutto ambientato in una Liverpool grigia e popolare, prima dell'era Beatles, negli anni '40 e nei primi anni del decennio successivo, fotografata in modo impressionistico da Patrick Duval.
L'altra parte del film, "Still Lives", tradotto in italiano con qualche libertà "sempre presenti", è incentrato sul voltare pagina della famiglia, dopo la morte del padre, e tutta la vicenda ruota intorno al matrimonio del figlio e protagonista semi-autobiografico Tony, momento simbolico di nuovo inizio. 
Un nuovo inizio che però il film ci fa capire essere sempre all'interno degli stessi meccanismi, come se i protagonisti fossero forzati a ripetere gli errori dei quali hanno subito le conseguenze, e riprodurre nella loro famiglia, la famiglia di origine.
Per marcare la differenza i frammenti di ricordi sono separati dallo schermo nero nella prima parte, e dallo schermo bianco e pieno di luce, nella seconda.
Nei fatti quello che vediamo di questa vicenda sono frammenti, piccoli eventi quotidiani, gesti consueti, riunioni di famiglia, insomma quei momenti che per motivi tipici o casuali si fissano nella memoria di tutti noi, e spesso in questi ricordi vediamo i protagonisti cantare o sentiamo la radio suonare le canzoni dell'epoca. 
Non è un modo di cantare tipo musical, cioè fuori contesto, è un cantare realistico, coerente con le situazioni, che nasce per il proprio piacere o in riunioni conviviali, nei pub, dove in un'era pre-discoteca e pre-karaoke gli avventori facevano in modo attivo la colonna sonora della serata.
La musica fa quindi da sottofondo e collante, è il rifugio della famiglia, della madre, delle sorelle Eileen e Masie, che si ritrovano la sera fuori casa, ed esprimono cantando le canzoni commerciale dell'epoca, il loro desiderio di astrazione dalla loro vita di tutti i giorni, una musica quasi terapeutica, una via di fuga dalla realtà.






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