martedì 12 giugno 2018

L’atelier - Laurent Cantet

provare a far parlare dei giovani su cose che sembrano lontane, o inutili, o sembrano una trappola, non è una cosa facile.
Olivia riesce a far interagire i giovani che ha davanti, a farli discutere e ripensare al passato, le origini, le radici, al mondo come era e come è.
quando qualcuno la prende troppo sul personale le cose diventano pericolose, e disinnescare le bombe è rischioso.
chissà cosa diventerà Antoine.
bravissimi tutti, sopratutto i protagonisti, Matthieu Lucci e Marina Foïs (di origini sarde, per via del nonno, leggi qui).
un film non facile, ma è necessario mettersi in gioco e provare ad ascoltare gli alieni.
buona visione - Ismaele




L’Atelier di Laurent Cantet offre uno sguardo sulle nuove generazioni sulla società francese attuale, scavando nel vissuto quotidiano dei ragazzi come tanti altri, dove si finisce ad poter accogliere le convinzioni di chi sembra offrire un’identità che loro non hanno; il regista riesce a restituirci una visione non banale e molto credibile, stimolando riflessioni sui giovani in un thriller di grande originalità.

L’Atelier è in effetti un film composito, di quelli che seducono ma che viaggiano anche sull’orlo dell’inconcludenza semantica; questa sarà l’accusa che alcuni muoveranno nei confronti del racconto, che non disdegna nemmeno qualche pennellata di politica e di denuncia, soprattutto insita nel ritratto mesto ed arrugginito dell’attività portuale di La Ciotat.
Se qualche sospensione di troppo è innegabile e probabilmente non calcolata, una fa la fortuna del film, vale a dire quella di giudizio, che evita brillantemente classificazioni di Antoine, personaggio centrale e cruciale della partita. Il ragazzo (Lucci, esordiente, è all’altezza) rimane un’enigmatica figura in divenire, troppo intelligente per diventare uno sbandato e troppo solo, forse, per realizzare se stesso; troppo estremo per integrarsi e troppo unico per omologarsi.
Non è così un compito facile ricondurre tutte le sfumature e le influenze sociali ad un esito o una risoluzione, e L’Atelier presta il fianco alle citate critiche, insieme ad una svolta torva e pistolera a fil di social di cui non si sentiva troppo il bisogno.
Ma, anche in un ordine del giorno bulimico e un po’ disordinato, la sensazione che il film lascia è vivida e suadente, l’eredità un intelligente e realistico brainstorming su questioni letteralmente vitali, dall’età più delicata al senso di arte e immaginazione, due materie immani e, soprattutto, in costante aggiornamento ed evoluzione.

Entre séances de travail et rapports de force, la caméra se recentre sur ce duo intergénérationnel qui devient le fil rouge du récit au point de l’amener à glisser vers le polar poétique jusqu’à ce que la nuit se substituant au soleil nous émerveille de ces sublimes images de falaises éclairées à la seule lumière de la lune. Cette apothéose émotionnelle est magistralement clôturée par le texte bouleversant qu’Antoine lit à ses compagnons de travail en guise d’adieu. Un moment intense qui nous entrouvre les portes d’un désespoir profond, que l’on pressent capable d’engendrer n’importe quel acte meurtrier gratuit, juste par ennui et désœuvrement, heureusement adouci par l’espoir d’une renaissance annoncée…

Quizás por la urgencia que imprimen los tiempos que corren, por la necesidad de retratar las tensiones más recientes, Cantet se decanta por esta vertiente para llevarla a la relación personal entre el joven y Olivia (impecables Marina Foïs y Matthieu Lucci). En su afán por intentar entender sus pensamientos, Olivia se irá interesando más y más por Antoine para, a través de la literatura y el proceso de escritura, intentar sacar a relucir su verdadero interior, sus motivaciones y frustraciones más íntimas. L’atelier es clara heredera de La clase, especialmente en su primera mitad y en su estrategia de colocar en un espacio de formación conflictos tanto sociales como personales. Cantet y su guionista habitual, Robin Campillo, vuelven a demostrar una pluma exquisita para construir diálogos vivos y naturales sobre los que se asienta por completo la narrativa y la presentación de los personajes. Este elemento, acompañado por una realización ágil de primeros planos, coloca de nuevo a Cantet como un director humanista comprometido con las turbulencias sociales de su país y con el cine.

Con una propuesta muy interesante El Taller De Escritura comienza de una manera viva y con ganas de descubrirnos un presente en la que la apatía y el desencanto puede llegar a ocasionar una forma de distorsionar la realidad de manera radical e intransigente. Lastima que la historia derive hacia la reiteración y se atasque en situaciones que quieren enfatizar asuntos como la violencia y el auge de la extrema derecha debido al terrorismo actual pero que lamentablemente  no avanza en el mensaje que nos quiere transmitir.
Inteligente y porqué no atrevida en el planteamiento El Taller De Escritura es una película que muestra de manera realista el germen de la violencia a raíz de pequeños detalles, sin embargo la excelente realización del director francés queda embarrada por su, en esta ocasión, apática forma de narrar la historia. El Taller De Escritura es un titulo menor en la carrera de Laurent Cantet pero aun así tiene los elementos suficientes para atraer a un  publico que disfruta con las historias del director francés.

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