martedì 19 marzo 2024

The master gardener – Paul Schrader

il giardiniere Narvel si dedica alla vita delle piante, ha avuto una vita precedente che non si può dimenticare.

ha un rapporto complesso con la padrona dei giardini; arriva un giorno la nipote della padrona, Maya, Narvel deve istruirla su giardinaggio, ma le cose non sono troppo semplici.

i film di Paul Schrader sembrano lenti, all'inizio, in realtà è una preparazione e (ri)costruzione dei conflitti che non mancano di esplodere.

come tutti i film di Paul Schrader, anche The master gardener non delude, anzi...

buona (giardiniere) visione - Ismaele

 

 

 

Paul Schrader produce un’altra variazione sul tema dell’uomo dall’oscuro passato, che si rifà una vita ma non riesce a perdonarsi. Un modello di uomo (di recente Hawke e Isaacs, ora Edgerton) che tende pericolosamente all’autodistruzione pur di infliggersi un “meritato” Inferno sulla terra. Se regge l’idea che Master Gardener chiuda un’ideale trilogia iniziata con First Reformed e proseguita con Card Counter, allora regge l’idea che dopo la chiesa e il gioco di carte l’Inferno di questo terzo capitolo sia l’orticoltura, pretesto narrativo per raccontare la dedizione del protagonista a una causa circolare, un po’ vana, una maschera più che una passione. Pretesto anche per intrattenere un rapporto quasi sadiano con la “proprietaria terriera” Sigourney Weaver, che è suo superiore e che ne sfrutta eroticamente il passato da killer neonazi come un grottesco parassita. 

Come negli altri due film, anche qui un personaggio giovane rompe la circolarità infernale del protagonista: la giovane Maya, che vorrebbe cancellare i tatuaggi dal corpo di Edgerton ma poi ne sfrutta la brutalità, in un vortice di incoerenza potenzialmente autodistruttiva.

E intanto Schrader costruisce quasi un neo-noir che assomiglia solo al suo cinema, che trasforma il cinema classico in un rito quasi mistico, attraverso cui passano colpa e redenzione. Ma rispetto ai film precedenti forse con più leggerezza, più risate (Weaver è diabolica quanto esilarante), una speranza disperata finale (qui più quieta, più Card Counter che non First Reformed) che fa un buco e straborda nel dramma quasi romantico: se esiste il Male esiste anche l’Amore, forse.

da qui

 

Ne Il maestro giardiniere la tensione iniziale tra rimando hopperiano e rimando caravaggesco illumina retrospettivamente il resto del film.

 

Riporto le parole più rilevanti che Narvel pronuncia (e che si suppone corrispondano a quelle scritte) in una stanza in cui l'unica fonte di luce è interna al quadro ma impossibile - in entrambe le inquadrature in questione - da vedere direttamente: banalmente, dalla nostra prospettiva il paralume della lampada copre il bulbo. 

 

"The formal garden imposes geometric strictures on plants […]. 

Informal gardens […] adhered to the shapes and contours of nature. A third type, the wild garden, only appears to be wild. [...]

Gardening is a belief in the future; a belief that things will happen according to plan, that change will come in its due time".

 

"Il giardino formale impone alle piante delle restrizioni geometriche [...]. 

I giardini informali [...] si attengono alle forme e ai contorni della natura. Un terzo tipo, il giardino selvaggio, è solo apparentemente selvaggio. [...]

Il giardinaggio è una fede nel futuro; una fede che le cose accadranno secondo i piani, che il cambiamento arriverà a tempo debito".

 

Questo discorso solo apparentemente di natura tecnico-settoriale esprime, al di là delle differenze (superficiali) tra le tipologie di giardino, un approccio di tipo pienamente tecnico: ognuna di quelle relazioni è impositiva nel proprio principio. 

Il tempo debito non è affatto cairologico: deriva da un calcolo dei tempi cronologici delle piante e vi si adegua (adaequatio rei et intellectus); compreso il passato e rinvenute delle leggi, presente e futuro non possono che sottomettersi al dominio della logica e della causalità…

da qui

 


Con Schrader il rigore formale procede sempre di pari passo con quello etico, e infatti Master Gardener si distingue, soprattutto nella prima parte, per una simmetria quasi kubrickiana delle inquadrature, che accompagnano la fase del film in cui ci addentriamo nelle regole che costituiscono il mondo di Narv. Quando quel mondo verrà stravolto, anche la macchina da presa si farà più mobile, non forsennata, cosa che non rientrerebbe nello stile di Schrader. Il suo sguardo diventa anche più lieve in questo caso, con qualche concessione al visionario e all’onirico, con un minimo di CGI. Senza anticipare nulla, possiamo dire che Schrader si concede qualche speranza in più rispetto al passato e la colora con le tonalità vivaci dei fiori tanto amati da Narv, forse in questo scadendo in un momento stucchevole che si poteva evitare. Con i colori dei fiori torniamo a quella manipolazione della natura, di cui dicevamo all’inizio. Nonostante la creazione arbitraria di un giardino esteticamente raffinato rappresenti una violazione della natura e una antropizzazione dell’ambiente, in questo caso però non avviene una distruzione o sostituzione dell’ambiente naturale con quello artificiale, ma il nuovo equilibrio viene semplicemente indirizzato e canalizzato dall’uomo, trovando una sua ragione d’essere, esistenziale, metaforica, ma anche concreta. Così anche trovano giustificazione le esistenze, rinnovate, della tenuta Gracewood, di Narv e di Maya.

da qui

 

Con "Master Gardener" Paul Schrader firma un grandissimo film sulla redenzione e il perdono, in cui il giardinaggio diventa metafora di ordine, amore e cura in contrasto con un passato fatto di caos, odio e distruzione. Il personaggio di Narvel Roth, portato in scena da un bravissimo Joel Edgerton, è il simbolo del riscatto umano e spirituale di un mostro diventato tale a causa di insegnamenti basati sul disprezzo e la cieca estirpazione di innocenti considerati "erbacce", ma risorto grazie all'impegno profuso nel padroneggiare un'arte che è tutto l'opposto, ovvero dedizione maniacale e quasi genitoriale alle piante durante la loro crescita, rigore geometrico e continuo studio infuso di passione e venerazione. La storia d'amore che parte come un rapporto tra maestro e allieva e come occasione di espiazione dei propri peccati diventa l'elemento salvifico (già visto in "American Gigolò" dello stesso regista/sceneggiatore) che porterà Narvel a perdonare sè stesso e ad aprirsi finalmente ad un futuro non più interdetto dalle ombre del passato, in un finale di rara, struggente speranza. Oltre a regia e sceneggiatura ottime, sono da sottolineare la bella fotografia di Alexander Dynan e la validissima colonna sonora di Dev Hynes, oltre alle prove recitative superlative del già citato Joel Edgerton, della grande Sigourney Weaver e della giovane Quintessa Swindell.

da qui

 

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