lunedì 6 giugno 2022

Spartacus – Stanley Kubrick

Kirk Douglas riuscì a fare tante cose ottime con questo film, la prima fu quella di togliere dalla lista nera Dalton Trumbo e dargli tutta la dignità che meritava, affanculo il maccartismo.

e poi c'è il film, Kirk Douglas scelse attori, regista, storia e ne fece un capolavoro.

vedere per credere.

buona (spartachista) visione - Ismaele

 

 

 

 

Il progetto è fortemente voluto da Kirk Douglas, che ricopre anche il ruolo di executive producer e di conseguenza mantiene un certo controllo e influenza sul processo produttivo, una situazione che chiaramente ha il suo peso specifico nell’economia dell’omaggio da parte nostra.

Quello dell’attore è un divismo funzionale al progetto, quasi salutare, per niente deleterio, un’ambizione feroce ma costruttiva, intelligente, sempre lucida, che finisce per decretare il successo del film; la sua forte personalità è un plus non un limite, non è casuale, ad esempio, che il buon Kirk decida di attorniarsi di un cast enorme (a cui furbamente presenta script diversi enfatizzando, a seconda dei casi, il personaggio dell’attore contattato), puntando sulla sana competizione tra attori di primissimo livello che in pratica fanno a gara di bravura, lasciando agli illustri colleghi ampio spazio di manovra, cosa che di certo non farebbe un attore vittima del proprio ego.

Spartacus arriva sul grande schermo seguendo una serie di ispirazioni a catena. Il vero Spartaco era un gladiatore e condottiero trace che, nel 73 a.c., guidò la rivolta di schiavi conosciuta come la terza guerra servile, la più dura tra quelle simili affrontate da Roma. Alle sue gesta si ispira lo scrittore statunitense Howard Fast il quale, nel 1951, scrive l’omonimo romanzo. Kirk Douglas si fionda sul manoscritto come vendetta per uno sgarbo ricevuto; l’attore, infatti, si era proposto come protagonista nel kolossal Ben-Hur, ricevendo un rifiuto da parte della produzione (che lo avrebbe preferito nel ruolo del tribuno romano Messala); da qui la voglia di competere col film di William Wyler imbastendo il proprio kolossal personale.

Per fare questo ingaggia lo sceneggiatore Dalton Trumbo, incaricandolo di elaborare un copione partendo dal romanzo di Fast; una scelta coraggiosa e controcorrente, sicuramente scomoda considerando che Trumbo era finito sulla lista nera del senatore Joseph McCarthy in quanto sospettato di filocomunismo.

L’autore inizia a lavorarci sotto falso nome e sarà poi ancora Kirk Douglas a chiedere di inserirlo ufficialmente nei credits, ponendo fine di fatto alla caccia alle streghe maccartista – e ci ricolleghiamo a quel lato giusto e idealista di cui parlavamo in precedenza. L’attore/produttore ingaggia inizialmente il regista Anthony Mann, salvo licenziarlo in breve tempo (pare avesse girato solo le scene alla miniera di sale) e sostituirlo con Stanley Kubrick, con cui aveva lavorato (e bene) in occasione del bellissimo Paths of Glory (Orizzonti di Gloria) del 1954.

Douglas riteneva Mann troppo docile, specie per gestire un cast così importante; gli aveva dato l’impressione di essere quasi intimorito dalla portata del ‘progetto Spartacus’; avrà comunque modo di fare pace col regista a cui chiederà di dirigere Gli Eroi di Telemark nel 1965.

Douglas, Kubrick e Trumbo elevano il concetto di peplum attraverso un film che unisce il lato epico avventuroso a una messa in scena sontuosa e contenuti di rilievo. La storia di Spartacus è un manifesto alla lotta di classe, all’uguaglianza sociale. Pone in cattiva luce il potente, focalizzandosi sul riscatto del debole. Ideali, giustizia, dignità umana sono solo alcuni dei temi toccati dalla pellicola.

Motivi per cui, alla sua uscita, il film venne tacciato di essere ‘socialmente pericoloso’, con annessa campagna diffamatoria intenta a boicottarlo (ad esempio John Wayne, per dirne uno di peso, non lo appoggia perché lo ritiene troppo lontano dalla sua ideologia politica), situazione poi crollata dopo la spallata del presidente John Fitzgerald Kennedy, che non solo andò a vedere Spartacus al cinema, ma si dichiarò anche entusiasta a fine visione.

Spartaco nasce schiavo, rude e tenace, quasi animalesco – come dimostra il morso alla guardia nel prologo. La sua è una lenta evoluzione, un personaggio che si arricchisce in corso d’opera, da semplice gladiatore a leader di una vera e propria popolazione. Un graduale acquisire consapevolezza e presa sulla sua gente, attraverso lealtà e valori portanti. Il desiderio di libertà motore di una causa che va oltre il singolo individuo, l’uomo che lotta per i propri diritti e la propria dignità.

Dal campo di addestramento dove i gladiatori (e gli attori) vengono sottoposti ad un duro allenamento, un luogo in cui un taciturno Spartaco lascia intravedere il suo essere ed i suoi princìpi, come quando non vuole approfittare di Varinia (destinata a diventare la donna della sua vita) o accetta con palese riluttanza lo scontro con un compagno che, non a caso, finisce per batterlo. Sarà la successiva morte di Draba la scintilla scatenante della sua breve ma incisiva epopea, nata da una rivolta sanguinosa in cui il primo a rimetterci la vita è Marcello, ex gladiatore divenuto astioso addestratore, interpretato da Charles McGraw, che nello scontro con Kirk Douglas si frattura sul serio la mascella.

Inizia un lungo viaggio fatto di vittorie e soddisfazioni, ma anche di difficoltà, in cui non mancano momenti toccanti come la morte di bambini che non sopravvivono alle condizioni impervie. Tappa dopo tappa, il nostro eroe crea un legame indissolubile col suo popolo, in cui combattono anche donne ed anziani e che supporta ogni sua decisione con assoluta dedizione (ed evidente convinzione), fino a uno dei momenti emotivamente più intensi (il famoso “io sono Spartaco” collettivo) con una lacrima densa di significato che solca il volto del tostissimo protagonista. Una performance, quella di Kirk Douglas, perfetta, anima e corpo nel personaggio.

A cominciare dall’aspetto col quel mento importante, l’abbronzatura, una condizione fisica di tutto rispetto, roba che lo trovi figo persino con quel codino (a inizio film) tanto di moda oggigiorno e che normalmente ti farebbe malmenare chi lo indossa, compreso Cristiano Ronaldo e la sua pettinatura modello sacchetto dell’indifferenziata. L’interpretazione è intensa, decisa, risoluta; il suo Spartaco parla poco ma lo fa sempre in maniera perentoria, sfida il potere (significativo quando spezza il bastone del senato), un uomo passionale come il suo interprete, mostra con trasporto ogni suo stato d’animo. Lo schiavo che non teme la morte, piuttosto la vede come una forma di libertà dopo una vita in cui ha costantemente sofferto.

Nello schieramento di Spartaco si mettono in luce Varinia e Antonino, interpretati rispettivamente da Jean Simmons ed Anthony Curtis. Il ruolo di Varinia era stato offerto senza successo a Ingrid Bergman, Jeanne Moreau ed Elsa Martinelli, per poi essere affidato a Sabine Bethmann, che il subentrante Stanley Kubrick decise di sostituire con la Simmons; l’attrice inglese contribuisce con una bellezza elegante, nei panni di una donna determinata, che conserva sempre il proprio onore.

Curtis ha un personaggio interessante, una spalla discreta, poco appariscente; un uomo di arte e cultura che cerca un riscatto personale prendendo parte attivamente alla rivolta degli schiavi. Antonino che, tra l’altro, compare in due delle sequenze più impattanti di Spartacus; la prima è quella del bagno con Crasso, con chiari riferimenti omosessuali (audacissimi per l’epoca), una scena che fu addirittura tagliata dalla censura per essere poi essere reinserita dopo il restauro curato da Robert A. Harris nel 1991 – non essendo possibile recuperare il sonoro originale, Curtis riprese il suo ruolo, mentre Anthony Hopkins doppiò Crasso, visto che Laurence Olivier era scomparso due anni prima. L’altra scena è il duello finale con Spartaco, in cui i due sono costretti a combattere loro malgrado, uno scontro paradossale in cui uno cerca di uccidere l’altro come atto di amore, risparmiandogli così la crocifissione.

La trama di Spartacus poggia su una scelta riuscita, quella di alternare le vicende dei ribelli a quelle di un senato romano stabile come una polveriera. Un’alternanza più o meno regolare che aiuta il meccanismo narrativo che poteva soffrire una durata corposa (197 minuti), aggiungendo pepe alla trama. Un covo di serpi, tra complotti e strategie, non ci sono romani buoni e cattivi, semplicemente ce ne sono alcuni meno peggio di altri, con le carte che si scoprono solo in corso d’opera.

Emblemi espliciti di una società estremamente macchinosa e corrotta. Ruoli di punta che vanno ad interpreti di rilievo, Kirk Douglas pesca ancora in Inghilterra un tris d’assi che può solo elevare un film di questo tipo. A cominciare da Laurence Olivier (truccato con un naso finto) a cui va la parte di Crasso, subdolo e ambiguo, sostenitore della dittatura, affamato di potere ed ossessionato da Spartaco con cui arriva ad un duro confronto in cui reagisce con uno schiaffo ad una provocazione ricevendo in cambio uno sputo ricco di sdegno.

Charles Laughton è Sempronio Gracco, abilissimo nei giochi di potere, si rivelerà magnanimo aprendo uno spiraglio di speranza in un finale doloroso. Peter Ustinov porta a casa un Oscar (come Migliore attore non protagonista, unico a riuscirci in un film di Stanley Kubrick) interpretando Lentulo Batiato, ricco proprietario di gladiatori della rinomata scuola di Capua, personaggio che subisce una interessante evoluzione nell’arco della storia, riscoprendo dignità e spina dorsale. Nel cast anche Herbert Lom nei panni del pirata Tigrane Levantino, John Gavin in quelli di Giulio Cesare (ruolo che il regista avrebbe voluto espandere), mentre John Dall è il vigliacco Marco Publio Gabrio, che arriva a fingersi morto pur di scampare il pericolo; particina non accreditata (un soldato romano) per un giovane Gary Lockwood.

Veniamo finalmente al manico, quello Stanley Kubrick di cui accennavamo in apertura e che di certo non è un nome come un altro. Come detto, Spartacus non è tra i film a cui il regista era più legato, non che avesse avuto veri e propri scontri o rinnegato il suo lavoro, semplicemente ne conservava un ricordo meno forte, sentiva il prodotto non suo, per il suo modo di concepire un’opera in maniera estremamente personale e viscerale, cosa che con Spartacus non aveva potuto fare a 360 gradi dovendo condividere il timone con Kirk Douglas (e la sua personalità) che, in qualità anche di produttore, aveva in mente linee guida ben precise.

Stanley Kubrick avrebbe voluto l’ultima parola sulla sceneggiatura, così come su altre questioni. Questo non significa che il filmmaker non abbia avuto modo di incidere e di lasciare il segno in un film che non merita meno considerazione. La sua mano è evidente, la direzione è precisa, la gestione di set imponenti e una quantità imprecisata di figuranti. Il numero di primi piani richiesti da Kirk Douglas è un dazio accettabile rispetto ad alcune sequenze sicuramente memorabili. La splendida battaglia finale, ad esempio, un crescendo di tensione in cui il regista coordina una spettacolare scena di ampissimo respiro con migliaia di comparse, tra cui circa 8.000 soldati di fanteria ottenuti da Douglas mediante un accordo a buon mercato con Franco e l’esercito spagnolo.

La resa delle manovre tattiche dell’esercito romano è eccellente, una lenta introduzione con l’avanzare delle coorti (ottimo anche il gioco di montaggio per moltiplicare le comparse) che porta al contrattacco degli schiavi ed uno scontro di grande portata in cui spiccano momenti di violenza come persone arse vive o barbaramente mutilate. Stanley Kubrick chiese di costruire sul serio il campo di addestramento per gladiatori, in cui 187 stuntmen e svariati attori capeggiati da Kirk Douglas si allenarono duramente per settimane con lo scopo di risultare credibili sullo schermo nei momenti di battaglia.

Il film è stato girato utilizzando il formato Super70 Technirama da 35 mm, poi ingrandito fino a 70mm; una modifica voluta dal regista, che ha preferito servirsi del formato sferico standard per ottenere una definizione molto alta e catturare adeguatamente le grandi riprese panoramiche. Il regista, inoltre, ha potuto contare su un comparto tecnico di prim’ordine che porta a casa gli altri tre Oscar di Spartacus, ovvero la fotografia di Russell Metty (in realtà, è in gran parte merito di Stanley Kubrick, che ha girato in prima persona esonerando spesso Metty, il quale era arrivato a chiedere l’esclusione dai credits), i costumi di Bill Thomas e le scenografie di Alexander Golitzen, Eric Orbom, Russell A. Gausman e Julia Heron. Nota di merito per i titoli di testa dal taglio moderno opera di Saul Bass, 3 minuti e mezzo di opening credits leggermente tagliati rispetto ai cinque inizialmente previsti.

Le riprese si sono tenute tra gennaio e luglio del 1959, localizzate tra Spagna e California. Spartacus arriva nelle sale statunitensi il 6 ottobre del 1960 per poi giungere in quelle italiane il successivo 7 dicembre. Dopo 60 anni, Spartacus si conferma un classico di livello. Merito di uno sceneggiatore ispirato, un regista di spessore, un cast di talenti. E di un personaggio protagonista entrato nei libri di storia quanto il suo interprete in quella del cinema.

da qui

 

 

…Perhaps the most interesting element of “Spartacus” is its buried political assumptions. The movie is about revolution, and clearly reflects the decadence of the parasitical upper classes and the superior moral fiber of the slaves. But at the end, Spartacus, like Jesus, dies on the cross. In the final scene, his wife stands beneath him and holds up their child, saying “He will live as a free man, Spartacus.” Yes, but the baby’s freedom was granted him not as its right, but because of the benevolence of the soft-hearted old Gracchus. Today, that wouldn’t be good enough.

da qui

 

El elenco de actores en esta película es impresionante: Laurence Olivier, Peter Ustinov, Charles Laughton, Jean Simmons, Tony Curtis… Una curiosidad sobre el reparto es que los romanos lo interpretaron actores ingleses y los esclavos, actores americanos, que en versión original es donde de verdad tiene sentido pues querían que los romanos tuvieran una pronunciación exquisita y los esclavos un poco más ruda, más llano, diferenciado de esa manera las clases sociales.

La película tuvo muchas escenas mutiladas por culpa de la censura siendo la más célebre de ellas la escena de los baños en la que Craso (Laurence Olivier) trata de convencer a su esclavo Antonino (Tony Curtis) para mantener una relación homosexual usando para ello la analogía de comer ostras y comer caracoles. Evidentemente, esta escena fue eliminada de inmediato antes de su estreno. Cuando en 1991 la película fue restaurada, encontraron esta escena y decidieron incluirla en la cinta pero no estaba el audio original por lo que tuvo que redoblarse de nuevo. La parte del diálogo de Tony Curtis se pudo hacer ya que el actor aún seguía vivo pero, en el caso de Laurence Olivier, quien ya había muerto hacía dos años, hizo falta que alguien doblase su parte… ¿Sabéis quién fue? Nada más y nada menos que Anthony Hopkins ya que según la mujer de Olivier, era el actor que mejor imitaba a su difunto marido.

Para terminar, os recomiendo que leáis un libro que es muy entretenido y que cuenta con todo lujo de detalles todo el drama que tuvo lugar durante el rodaje de esta maravillosa película: YO SOY ESPARTACO, escrito por Kirk Douglas y con prólogo de George Clooney. Es una joya.

En conclusión, estamos ante una de las mejores películas de la historia del cine que consiguió poner fin a las listas negras de Hollywood y salir airosa del encuentro, ganando nada menos que de cuatro Oscars de la academia: mejor actor secundario (Peter Ustinov), fotografía, vestuario y dirección artística. Con unos actores en estado de gracias y un Kubrick que, a pesar de renegar de esta película porque no le dejaron hacer lo que le daba la gana, es innegable que consiguió hacer una película de las más destacables de su carrera.

https://www.accioncine.es/blogs/cajon-de-lawrence/6042-espartaco

 


4 commenti:

  1. un classico, girato su commissione, ma un classico nientìaltro da aggiungere

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  2. fossero tutte così le commissioni :)

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    1. già, ma sappiamo chi c'è dietro la mdp no? Quel grandissimo genio che risponde al nome di Stanley Kubrick

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