mercoledì 29 giugno 2022

Cruising - William Friedkin

un'indagine del poliziotto Burns sotto copertura, deve trovare un serial killer di omosessuali.

e per questo deve fingere di esserlo, e questo lascia forse dei segni nella sua mente.
la fidanzata non lo riconosce più e l'indagine finisce ma forse no, e un assassino di gay continua a minacciare la città.
Al Pacino è sempre bravissimo, convincente e coinvolgente e coinvolto, oltre ogni limite, in un film poliziesco, con la comunità gay protagonista.
film odiato e amato in ugual misura, merita di sicuro.
buona (poco chiara) visione - Ismaele





Friedkin torna a parlare d’omosessualità 10 anni dopo Festa per il compleanno del caro amico Harold (1970) ed i toni sono effettivamente diversi e più coraggiosi. Una N.Y. così non si era mai vista, una metropoli inquadrata solo dal basso, che sembra un costante crocevia di soli omosessuali e ragazzoni pompati dediti alla pratica del sadomaso e con un particolare gusto per borchie, jeans e pelle: una città fotografata con un particolare filtro di forte cinismo, tanto crudo da sembrare a momenti quasi razzista (quel terrificante Noi siamo ovunque che si accende di rosso tra i graffiti sembra quasi un avvertimento). Al Pacino è il maschio scelto per risolvere il caso, la sua fisionomia ed i suoi colori sono gli stessi delle vittime ma il suo ruolo è quello istituzionale di un poliziotto in una storia vera che nella realtà non ha conosciuto colpevoli (come ricorda il prologo). La sua ambiguità, che si versa nello specchio attraverso il suo sguardo quando sente che la moglie indossa i vestiti che ha usato per il travestimento, è già esplicitamente descritta in quella violenza che una pattuglia di polizia fa ad una coppia di trans, obbligandoli ad una fellatio. Pubs squallidi e luci soffuse, il noir di N.Y. ha lo stesso colore dell’acqua dove è pescato il braccio di una vittima. Friedkin gira con stile e distanza, ma quello che questa volta racconta (sua anche la sceneggiatura tratta dall’omonimo libro di Gerard Walker) è ambiguo quanto l’aria che Burns respira. Unico errore dopo quasi 19 minuti, quando Al Pacino fa ingresso nel locale di ritrovo per gay e sono inquadrate attraverso la sua soggettiva, i volti di quelli che escono: su di loro è proiettata l’ombra della cinepresa. Forse il lavoro più completo del regista sul tema dell’ambiguità, tra violenza e giustizia, tra machismo ed omosessualità.

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Burns cambia pelle, ha uno sguardo introspettivo, ci parla con i gesti e non con le parole. L’unico momento dove si concede uno sfogo è quando si confronta con il capitano Edelson. Burns è stremato e confuso (dopo aver assistito al pestaggio di un sospettato, Skip Lee, in realtà innocente in quanto le impronte digitali non corrispondono con quelle del maniaco) e gli dice apertamente di non poterlo più fare. Crede di non farcela più perché gli stanno succedendo delle cose che nemmeno lui riesce a spiegare. Nonostante le parole, tuttavia, viene convinto a proseguire e spinto a a pensare alla futura promozione.

Burns inizia allora a riconoscersi negli abiti di pelle che indossano gli omosessuali nei ‘Leather Bar’. Il personaggio, attraverso una ‘muta silenziosa’, cambia la propria prospettiva e nel silenzio indossa ciò che all’inizio gli risultava estraneo. Le persone di notte si riconoscono attraverso i luoghi, attraverso gli abiti, attraverso le bandane che si legano alle tasche (ogni colore rispecchia una richiesta, un ruolo preciso). Il protagonista subisce una vera e propria metamorfosi, si lascia trascinare dal caos e corrompere dall’oscurità che ha dentro.

Al Pacino, grazie a una intuizione, riesce infine a scovare il vero assassino, Stuart Richards, uno studente di musica che ha un’ossessione malata per il padre, che in realtà è deceduto da dieci anni. Burns spia il sospettato e lo costringe a un confronto prima sessuale (anche se il rapporto non viene consumato) e poi di lotta fisica. Quindi, Burns riceve la promozione nel corridoio dell’ospedale dove Richards è ricoverato, per poi sparire nell’ascensore.

La vera conclusione di Cruising avviene però con la scoperta dell’uccisione di Ted Bayley. In bagno vediamo il suo cadavere immerso nel sangue, gli occhi spalancati. A primo acchito pare una bambola rotta, ci comunica la vulnerabilità di chi non si aspetta di essere aggredito in modo così barbaro.

Rimaniamo così attoniti, perché questo svolgimento ci dà la conferma di un tumulto emotivo sfociato nella follia. Quando l’agente DiSimone (un grande cameo di Joe Spinell) dice al capitano Edelson che nella porta accanto viveva un certo John Forbes, lo sguardo si rabbuia e ne nasce un dubbio tacito, lo stesso che sorge nello spettatore. Questo perché, in precedenza, il comportamento di Al Pacino era scoppiato spesso in azioni violente (basti pensare a come aggredisce il compagno di Ted, Gregory), ma ci instilla anche il dubbio che il vero assassino non sia davvero stato preso.

Subito dopo vediamo infatti Burns tornare da Nancy, radersi la barba e promettere alla ragazza di raccontarle quello che aveva passato in quelle settimane di assenza. Nancy vede poggiati gli abiti di pelle e li indossa in un gioco innocente, mentre Burns si guarda allo specchio con sguardo nuovo. Non abbiamo assoluta certezza che sia stato lui a uccidere Ted, ma l’omicidio di quest’ultimo trasfigura nella metafora dell’agnello sacrificale, ha un significato atavico. Dopo una grande prova di iniziazione, ucciderlo implicherebbe per Burns uccidere ciò che è venuto a galla dentro di sé.

Quando Cruising uscì nelle sale cinematografiche ci furono inevitabilmente molte proteste, sia del pubblico che della stampa. Durante la produzione del film un gruppo di persone tentò addirittura di boicottare le riprese, facendo cadere un grosso riflettore e disturbando il set. Si creò una vera propria scissione nella comunità gay: da una parte chi protestava con violenza lanciando pietre e oggetti pericolosi durante i ciak; dall’altra chi supportava invece il film, al punto di accettare di parteciparvi come comparsa proprio all’interno dei ‘Leather Bar’.

Molte sequenze nei locali appaiono infatti quasi documentaristiche, ma da parte di William Friedkin non trapela nessun giudizio né morale né immorale su quanto filmato, niente è ‘giusto’ o ‘sbagliato’ in quello che succede in quei luoghi.

Gli attori di contorno non sembrano recitare una parte, ma restituiscono piuttosto la percezione di abitare i personaggi. Trascinano il loro modo di vivere a seconda del contesto ‘reale’ in atto. L’emotività che trapela è umana. Il ritmo lento di Cruising è coerente con lo sviluppo interiore. Raramente siamo certi di ciò che pensano queste maschere, i loro atteggiamenti sono ambigui e spaventati. Burns manipola Forbs, o è Forbs a manipolare Burns? Chi è lui realmente?

Lo sguardo finale allo specchio ci pone quindi di fronte un dilemma: quando guardiamo qualcuno che crediamo di conoscere, sappiamo davvero chi abbiamo davanti? Forse la risposta risiede nelle morti continue che infliggiamo dentro di noi. Forse siamo destinati a un loop infinito, dove la condanna è non raggiungere mai la nostra forma finale.

Nel classico ‘viaggio dell’eroe’, il protagonista è costretto a lasciare il mondo che conosce per inoltrarsi in un altro, sconosciuto. E dopo aver affrontato diverse (dis)avventure ritorna al mondo a lui caro con una consapevolezza diversa. Ecco, Forbs ha affrontato il lupo cattivo e – forse – dopo averlo sconfitto ne ha preso il posto.

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la pellicola procede lenta, innestata su un ritmo tipico quasi da film francese, in cui conta di più l’introspezione sui personaggi che la trama. Ed così è anche per Cruising: che parte come thriller ma che si perde poi, volutamente, sull’indagine psicologica nei confronti del protagonista.  A discapito di una sceneggiatura scarna e dei dialoghi essenziali, è attraverso il linguaggio non verbale che lo spettatore può cogliere gli aspetti determinanti dell'evoluzione narrativa: l'ambiguità morale e il conflitto dell'identità sessuale. È un film insomma giocato soprattutto sugli sguardi, sulle situazioni, sulla descrizione dei contesti, che sui dialoghi veri e propri. Questo se apparentemente appiattisce il film, in realtà riesce a imprimere alla pellicola un’aurea di sottile mistero e ambiguità che ricalca il mondo interiore del protagonista. Indubbiamente Al Pacino strepitoso, in un’interpretazione quasi remissiva, ma perfettamente centrata. Eppure l’attore non ama ricordare la partecipazione a questo film, probabilmente per le polemiche enormi che sono scaturite dalla pellicola stessa. D’accordo che siamo negli anni ’80 e certe tematiche erano tabù, ma alla fine dei conti Cruising non si dimostra così scabroso da giustificare l’ondata di sdegno e polemica che ne seguì. Il mondo omossessuale non viene giudicato nè condannato, ma solo ritratto, in un suo aspetto, per ciò che realmente è. Sicuramente un’opera coraggiosa e controcorrente, come gran parte della filmografia di Friedkin, il quale ama giocare sull'ambiguità, in questo caso calandosi nell'ambiente gay, ma senza pronunciarsi in merito, come di sua consuetudine: una scelta che all'epoca venne decisamente fraintesa, suscitando critiche negative e accuse di razzismo che oggi appaiono alquanto ingiustificate Poco esplicito, forse volutamente, il film mantiene alcune zone d'ombra anche dopo la fine. Bellissima anche la descrizione di una New York sporca e sordida da far rabbrividire, alla stregua della New York magnificamente descritta da Scorsese in Taxi Driver.

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Come è noto il film ha dovuto affrontare diverse critiche negative da parte della comunità omosessuale dell’epoca che imputava a Friedkin la colpa di aver creato una rappresentazione predatoria e vampiresca dell’omosessualità, oltre che di aver abbinato con un certo bigottismo il sesso gay con la violenza e l’omicidio. Nel tempo, fortunatamente, in un processo di rivalutazione complessivo stracultista, il film è stato rivalutato proprio perchè attribuisce un ritratto anticonformista alla suddetta comunità, che spesso desidera vedersi rappresentata in modo sempre apprezzabile o, in qualche modo, likeable. Come anticipato in apertura, non va comunque dimenticato che Cruising è in prima battuta un film poliziesco (peraltro liberamente ispirato a un romanzo di Gerald Walker), che affronta un importante discorso psicanalitico, se vogliamo, ma che nel suo sguardo verso il sociale tende più ad essere avverso alle forze dell’ordine e alle metodologie di indagine di una categoria di pubblici ufficiali che probabilmente sono i veri volti moralmente corrotti del film.

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There is a large, loud question right at the center of “Cruising,” and because the movie lacks the courage to answer it, what could have been a powerful film dissipates its force and leaves us feeling merely confused and annoyed. The question is: How does the hero of this film, an undercover New York policeman, ultimately really feel about the world of homosexual sadomasochistic sex he is assigned to infiltrate?

Is he touched by the sexual underground in an important way? Is his own sexuality involved? Is he intrigued by the aura of violence? The movie won’t say. And its failure to commit itself would be less annoying if it weren’t for the fact that the whole thrust of the movie is toward setting up those questions –which the ending then leaves deliberately and confusingly unanswered…

da qui

 

 

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