domenica 12 giugno 2022

Benvenuti a Marwen - Robert Zemeckis

un artista viene picchiato senza pietà da una banda di nazisti, Mark sopravvive, ma niente è come prima.
per sopravvivere e vivere si inventa un mondo in miniatura, nel quale un gruppo di ragazze lo aiuta per annientare quei nazisti assassini, tutti sono dei piccoli pupazzi con un'anima, e Mark riesce a fotografarli e a diffondere la sua arte.
e poi appare anche Nicol, e Mark, con le sue scarpe coi tacchi, si innamora ancora una volta.
è un film di Robert Zemeckis, e quindi da non perdere.
buona (denazificata) visione - Ismaele




Benvenuti a Marwen è, come il suo protagonista, un’opera di immensa fragilità: toccarla in modo grossolano, avvicinarsi senza sensibilità, la porta a “scomparire”: il film richiede un’aderenza emotiva, una disponibilità dello spettatore ad attraversare un sentiero interiore quasi abbandonando lo spirito razionale. Solo in questo modo è possibile vivere completamente il viaggio nel cuore e nel pensiero di Mark Hogancamp, artista segnato da un trauma che permea ogni fibra del suo essere. Zemeckis sa che l’esperienza traumatica è propria, in varie misure, di tutti gli artisti (ma anche di chi il cinema lo ammira fino alle lacrime). Ed è mirabile il modo in cui egli si adopera per aprirci un varco nel sentimento turbato di Hogancamp.

Tutto il cinema ci parla di divario tra sogno e realtà. La delicatezza di Benvenuti a Marwen risiede nel tentativo, al limite dell’eroismo, di tradurre il divario in forme letterali. Mark è un vero antieroe contemporaneo, l’emblema dell’uomo spezzato dal reale, la cui via di fuga è una dimensione parallela in cui i dissidi si compongono e la “favola” si compie. Marwen ci parla dello spirito epico, dell’ambizione al mito che risiede in ogni animo umano.
Privato delle sue abilità fisiche quanto del ricordo, Mark è un uomo-bambino, regredito ad una fase infantile e pulsionale (la sua ossessione per i seni). Nella ricostruzione del suo immaginario egli riparte dalle strutture elementari – un contesto fiabesco in cui rintracciare i rudimenti del rapporto col mondo e le cose, in cui ciascun personaggio assume una funzione: i nemici, le donne di Marwen, l’oggetto amoroso.

E’ fondamentale notare come nel microcosmo fantastico creato da Mark la donna assuma una centralità salvifica: “Le donne salveranno il mondo”. Guerriera, protettrice, rifugio, creatura angelicata: il film di Zemeckis analizza la pluralità di proiezioni della psiche maschile nei confronti del femminile con una sincerità disarmante.

Benvenuti a Marwen affronta il proprio materiale oscuro, freudiano, con una regia che effettua transizioni impercettibili tra reale e immaginario: la chiave del film è la continuità tra i due mondi. Lo scivolamento nella fantasia avviene sempre per mezzo della luce, o di piccoli spostamenti della macchina da presa. Le due dimensioni sono tremule, perpetuamente protese alla sovrapposizione. Il ritratto di Mark è commovente; Zemeckis fa affiorare tutto il suo dolore nello scarto che lo rende perenemmente estraneo al presente.

Ma Benvenuti a Marwen è anche uno strepitoso viaggio nel cinema, d’una bellezza da togliere il fiato. Inutile dire quanto il cinema sia per Zemeckis ciò che il microcosmo di bambole è per Mark; il regista allestisce la sua Marwen personale fatta di citazioni, ricordi, sequenze impiantate per sempre nell’inconscio. Nello straordinario prefinale che vede Mark affrontare il suo nemico, c’è un triplice omaggio a Hitchcock: VertigoIo ti salverò e Intrigo Internazionale sono interlacciati in un’unica, sensazionale sequenza; in più il regista ripercorre il proprio passato, da Ritorno al Futuro ad Allied: magnifici déjà vu in cui l’immagine diventa elettrica, ricordo che si infiamma e torna alla vita.
Sensazioni travolgenti, tantissimo cinema che strazierà i cinefili, i sognatori, tutti coloro che vivono sul limitare tra realtà e immaginazione, inseguendo un mondo lontano dal dolore.

da qui

 

 

Nel film, Zemeckis ha scelto di animare a passo uno le creazioni del fotografo, facendole continuamente interagire con la realtà, per evidenziarne le implicazioni terapeutiche. L’impianto metaforico, va detto, è fin troppo scoperto, così come tutto il discorso dell’auto citazionismo e dei giochetti meta al limite del fanservice. Nel film compare pure un modellino della DeLorean volante, con tanto di scie spaziotemporali residue, e la scelta di infilare nei panni del protagonista e del suo alter ego in miniatura proprio Steve Carell fa un po’ blink-blink al tizio di 40 anni vergine fissato con le action figure. Sempre volendo scassare, anche il ritmo non è proprio straordinario, e in generale si passa con un po’ troppa facilità dalla trovata ganza alla cosa un po’ meh.

Eppure, tutto il cast è davvero in vena, a cominciare proprio da un Carell perfettamente a suo agio nel ritrarre un uomo afflitto da un trauma profondo e dedito all’evitamento. Pizzicando le corde giuste, già dalle prime scene l’attore riesce a fare intendere allo spettatore che non tutte le ambiguità e le stramberie del protagonista sono frutto dell’aggressione…

da qui

 

 

 

2 commenti:

  1. Gran bel film, ho il DVD. So che esiste anche un soggetto sotto forma di documentario che racconta questa storia, la storia di un uomo privato della mente ma non della fantasia.
    Film da rivedere.

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    1. ho trovato anche quel documentario del 2010.
      a volte l'elaborazione del lutto o la vendetta è l'arte.

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