venerdì 4 settembre 2020

Mimosas – Oliver Laxe

all'inizio non sai dove porterà il viaggio che farai con Oliver Laxe, e neanche te lo immagini.

un gruppo di persone accompagnano uno sceicco nelle città dove dovrà essere seppellito, ma attraversare le montagne dell'Atlante senza sapere la strada è un azzardo imperdonabile.

e il viaggio è un viaggio all'avventura, in posti che sono Africa, e prima non lo sapevi, delle montagne così selvagge.

gli attori, tutti non professionisti, sono bravissimi, in questo viaggio ipnotico, e il regista è uno davvero bravo.

non perdetevelo, vi sorprenderà, e se vi piacerà la metà di quanto è piaciuto a me vi piacerà moltissimo.

buona (imperdibile) visione - Ismaele


 

 

…La parabola di tutti i carovanieri assume un senso esistenzialmente reale, nessuno di loro è protagonista e nemmeno professionista, il viaggio a cui li sottopone il regista sembra renderli sempre più inermi, disillusi, lucidi nella loro disperazione, folli nella loro persecuzione. Nessuno ha idea cosciente dello stare lì (come i compagni di viaggio del Mortensen di Alonso o del Kinski di Herzog, ma senza nessun comandante), ma nemmeno uno ha idea di fermarsi. Ogni faccia racconta però una storia, solo accennata ed abbozzata, di fascino etereo ed esterno. Diventano spettatori del viaggio quasi come noi che ci troviamo di fronte ad uno schermo, nella mistica stessa che è l’abbandono n/del cinema e ai suoi poteri. Loro affondano in quel deserto e solo con la fede cercano un appiglio, quello che per noi può essere l’immagine, dai bordi smussati, dalla limpidezza rivelatrice dove la grana ricerca ancora la fisicità. Nel finale, quell’immagine è trafitta da una manciata di auto che attraversano il deserto al tramonto, sollevando enormi nuvole di polvere dalla loro scia, tra missione di recupero e un incontro di fantascienza. Dobbiamo credere ancora una volta, abbandonarci ad un fervore quasi mistico dalla perfetta armonia, tra un altra oscura notte prima del brillare di chiarore di un nuovo giorno. In fondo questo film splendido è solo un tempo in cui provare la caduta, uno spazio di lotta tenera e di colpa divina, dove il mistero della ragione scrive delicatamente il dolore e dove l’uomo cerca in lui una riconciliazione.

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A Sufi western? In the parole of Cannes’ critical taxonomy, the designation bestowed upon Oliver Laxe’s desert-fevered, Semaine de la Critique-winning allegory would seem reductive if it didn’t allude, paradoxically, to the film’s radically expansive nature. This leads one to wonder just what “a Sufi western” might look like, or how it could be fulfilled, in cinematic terms. A clue to Laxe’s strategy can be inferred, as with most films, from the very first frame: Mimosas opens with a shot of a wall mural depicting an ancient village set against the background of a vast mountain range, absent any defining context. The mural’s paint is leached of colour, peeling away in patches. Within the wall is a door, and upon the wall a shadow, cast by a nearby tree. Offscreen, voices of villagers can be heard, but are only registered as ambient noise…

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Una carovana accompagna un anziano e morire a Sigilmassa. Il suo ultimo desiderio è quello di essere sepolto con i suoi cari. Ma la morte non aspetta e lo raggiunge mentre sta attraversando le cime aspre dell'Atlante marocchino. I carovanieri, timorosi della montagna, si rifiutano di continuare a trasportare il cadavere. Said e Ahmed, due ladri che viaggiano con loro, dichiarano di conoscere la via di Sigilmassa e di sapere come portare il corpo lì. La moglie dello sceicco dubita: conoscono davvero la via? In un altro mondo, parallelo e remoto, Shakib è stato scelto per viaggiare verso le montagne, dove è la carovana. Il suo compito è chiaro: deve aiutare i carovanieri improvvisati a raggiungere la loro destinazione. Questa è la sua prima missione.

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La propuesta se divide en 3 partes del rezo islámico (reverencia, levantamiento y postración), la trama significa un recorrido por la fe frente al mundo del escepticismo religioso que se ha vuelto tan influyente, pero primero hay que tener presente que hacia la caravana que lleva a un Sheik a su descanso –quien ha decidido morir-  llegará un maestro sufí y no cualquier persona.

El personaje especial del filme es un maestro sufí que parece retardado y hasta suena cómico, Shakib (Shakib Ben Omar). Inicialmente todos lo ponen en duda, como cuando habla del demonio en la estación de taxis, y hasta se burlan de él, incluso su pupilo que aún no se ve así, sino un avispado hombre de mundo, el corpóreo. Shakib tiene su manera revolucionaria y naif de ver el mundo, como cuando opta en su idealismo, bondad y locura por el sacrificio, una muerte segura ante unos bandidos del desierto de Marruecos, instando a pelear por el amor, expuesto de manera muy básica. Shakib Ben Omar no es un actor profesional y en buena parte está haciendo de sí mismo, pero resulta harto carismático…

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In this minimalist film, one that’s deliberately slow paced and one whose images have a hard-to-describe beauty that reflects the harsh reality of its mountain landscape, the viewer is asked to meditate in these surroundings on the traveling situation. Laxe expects the viewer to answer for themselves any questions about faith they may have and to think about how those on the journey were forced to deal with both their base instincts and what might have been divinely inspired. It’s the sort of enchanting film you either fall under its spell or you don’t.

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