martedì 22 settembre 2020

La chispa de la vida - Alex de la Iglesia

a un pubblicitario senza lavoro capita (per caso) l'affare più ricco della sua vita, però bisogna fare in fretta.

Roberto vuole vendere la sua storia al miglior offerente, ma bisogna fare in fretta.

coinvolge la moglie e i figli in questa storia, ma all'inizio non sembrano d'accordo.

è una corsa contro il tempo, quasi tutto il film è concentrato nelle poche ore in cui succede tutto, the show must go on, e bisogna battere finché il ferro è caldo, lo spettacolo paga bene, costi quel che costi.

un film in cui c'è poco da ridere, è il nostro mondo, purtroppo.

buona visione - Ismaele


 

 

 

La chispa de la vida è un film che racconta di una condizione limite, uno stato esistenziale di immobilità forzata fra la vita e la morte, una pellicola che narra quel che siamo diventati, in quest’epoca di crisi, di fronte al denaro: individui senza futuro, che anelano unicamente ad una qualche forma di solidità economica da raggiungere anche a discapito della propria dignità. In vari momenti il regista sembra suggerirci una lettura cristologica della situazione, Roberto pare come crocifisso nella sua posizione impossibile, ed attorno a lui troviamo la pietà mariana della moglie e dei figli, ma soprattutto il cinismo di tutto il resto, flagellatori romani a cospetto del corpo del Signore, compiaciuti d’osservare una sofferenza lontana da sé, barbaramente pronti a fare a pezzi la bellezza dell’anfiteatro pur di farsi spazio per ottenere un’immagine esclusiva del supplizio in diretta.

Il film non funziona in tutta la sua durata, se nella prima parte tutto scivola ottimamente, nella seconda soprattutto la sceneggiatura segna il passo, avvitandosi su sé stessa incapace di trovate soluzioni particolarmente originali e giungendo ad un finale insolitamente modesto, visti i precedenti del regista spagnolo. Ma forse non ha molto senso dare conto di un film del genere in questi termini, perché pare evidente che de la Iglesia abbia voluto questa volta raccontarci un’operetta morale, tenuemente macabra pur se spesso comica, sull’essenza della dignità in quest’epoca buia per il nostro continente.

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Prendete L’asso nella manica, capolavoro di crudeltà e pessimismo diretto da Billy Wilder nel 1951 e annoverabile tra i film più strettamente politici del regista austriaco trapiantato a Hollywood. Aggiungetevi Quinto potere, lucido attacco ai mass media con il quale nel 1976 Sidney Lumet conquistò il mondo e lo sfortunato Peter Finch un meritatissimo Oscar postumo come miglior interpretazione maschile. Mescolate bene, sminuzzando nell’insieme frammenti del grottesco tipico del cinema spagnolo dal periodo della transizione a oggi, e otterrete La chispa de la vida (o, per dirla con il titolo internazionale, As Luck Would Have It), nuova regia del vulcanico Álex de la Iglesia presentata come evento speciale alla sessantaduesima edizione della Berlinale.

Già a partire dalla sinossi si potrà intuire come La chispa de la vida non faccia proprio nulla per nascondere eventuali riallacci critici alle opere sopra citate. Anche la regia, da questo punto di vista, si muove in direzione di un recupero di pratiche cinematografiche altre a quelle finora abitate dal regista spagnolo: se il suo cinema è stato sempre l’avanguardia di un progetto di messa in scena teso all’accumulo di materiali, quasi un’operazione di sedimentazione dell’immaginario su visionarietà preesistenti, in questo ultimo parto creativo Álex de la Iglesia utilizza la macchina da presa in maniera sorprendentemente nuova – per i suoi standard, ça va sans dire…

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Gran parte del merito della riuscita dell’ottimo La chispa de la vida è, infatti, in mano agli attori, comprimari compresi, ma su tutti il duo José Mota e la Hayek, entrambi due nuovi volti nella filmografia di De la Iglesia, intensi fino ai limiti dell’’umana sopportazione, abbagliati dalla sofferente luce del direttore della fotografia di Kiko de la Rica.

Un’avventura per nulla statica dalla durata di una notte intera, tensione assicurata per lo spettatore strangolato da risate e lacrime allo stesso tempo. L’assurdità della situazione, per quanto molto di quel che accada è forse più reale della realtà stessa, è frutto sia dello sceneggiatore Randy Fedelman che del genio di de la Iglesia

De la Iglesia è il maestro incontrastato della black comedy il cui potere registico non è affatto da sottovalutare. Ora non resta che aspettare, non troppo si spera, che il film Las brujas de Zugarramurdi esca quanto prima, magari anche in Italia, non sarebbe male, perché di Álex de la Iglesia c’è bisogno, tanto bisogno nella nostra società.

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“Ci vuole dignità” gli dice. “Ma quale dignità – fa lui – oggi son ostato umiliato più che in tutta la mia vita”..

L’intervista si farà, ma con una giornalista che, d’accordo con Luisa, le consegna subito la cassetta perché no sia mai distribuita. Resterà alla famiglia, estremo ricordo di un amato padre e marito. Poco dopo, infatti, morirà.
Il film è una commedia amara e ironica, iperbolica e realistica, interpretata con grande bravura.
“In questo mondo dove tutti credono di essere liberi, senza però esserlo davvero, esiste una possibilità di sopravvivenza, che si chiama dignità” dice il quarantaseienne basco De la Iglesia. Un assunto importante, trattato con profondità ma anche con una ben dosata ironia.

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2 commenti:

  1. un film sorprendente, che mostra un alex de la iglesia in stato di grazia, ormai è un autore maturo e si vede

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