sabato 19 gennaio 2019

Free State of Jones - Gary Ross

tratto da una storia vera, la ribellione di un gruppo di uomini (e donne) fino alla creazione di una contea libera da razzismo e altre schifezze.
la storia è coinvolgente, e poi di gran bei film con attori neri protagonisti ne stiamo vedendo tanti, spesso straordinari.
Matthew McConaughey è il bravissimo protagonista di Free State of Jones.
un film da non perdere, per i miei gusti - Ismaele



La scrittura di Free State Of Jones insomma non si allontana dalla consueta ruffianeria retorica che il cinema americano mette in campo quando vuole esibire un preciso intento sociale, quando sente il peso dello scopo didattico. Eppure nelle pieghe di questo film ci sono molte più concessioni alla “sperimentazione” (virgolette d’obbligo!) di quanto non sembri. Non è infatti la consueta centralità della star nell’economia del racconto, la divisione manichea o l’odiosa stereotipizzazione di qualsiasi “cattivo” a convincere davvero, quanto la maniera in cui la parabola di un bianco che decise di ribellarsi a chi opprimeva lui e altri cittadini di serie B o C (nel caso dei neri) sia una maniera di chiedersi cosa voglia dire fare una rivoluzione e cambiare le cose, per concludere che non somiglia a quel che il cinema di solito ci racconta.
I film mettono in scena il cambiamento come una serie di passi bene identificabili, una serie di storie puntuali in cui chi si comporta male viene punito, e chi ha un diritto che viene calpestato alla fine vede riconosciuto il proprio legittimo desiderio. Titoli di coda. In Free State Of Jones la battaglia non finisce mai. Ad ogni conquista segue un movimento contrario, ogni qualvolta si ha l’impressione che il film possa finire e i personaggi possano vivere sereni in realtà accade un nuovo sopruso: le conquiste non sono applicate, compare il Ku Klux Klan o un giudice connivente contravviene ad ogni precetto e Knight reimbraccia il fucile…

…Non è un film memorabile Free State of Jones, eppure prova a veicolare dei messaggi non banali (l’azione, la collettività, il vero nemico, la sacralità del lavoro), ricollegandosi in tono minore all’ultimo Tarantino, The Hateful Eight e Django Unchained. Non una riscrittura della Storia o una possente metafora tarantiniana, ma un onesto tassello da aggiungere a una rilettura critica della genesi degli Stati Uniti e, più in generale, del capitalismo. «La guerra dell’uomo ricco combattuta dall’uomo povero» è la trave portante del pensiero e delle azioni di Knight, il veicolo che permette di prendere le distanze dallo schiavismo, dal razzismo, da qualsiasi distinzione di classe. E che permette di unire le forze, e di moltiplicarle.
Sarebbe molto utile anche oggi.
Detto della cornice “contemporanea” smaccatamente didascalica, con dinamiche e personaggi che non hanno il tempo fisiologico per prendere corpo, Free State of Jones sembra restare sempre a metà strada, un po’ Radici e un po’ Glory – Uomini di gloria, ma senza le dimensioni da epopea storico/familiare della miniserie televisiva o l’impatto epico del lungometraggio di Edward Zwick.

Il qui valido e bravo regista Gary Ross, che ricordiamo più volentieri per gli esordi felici dei tempi di Pleasanville,  anni '90, che per il resto di una carriera un pò discontinua a base di blockbuster non particolarmente ispirati, ha il merito di immergerci in un campo di battaglia scagliandoci con devastante realismo tra gli orrori della battaglia, combattuta con fucili e baionette, polvere da sparo ed arma bianca, e che mette in campo vecchi e giovani alle prime armi, buttati tutti allo sbaraglio come un muro umano destinato a sacrificarsi per la stupidità e l'intransigenza di chi non vuole capire e rinuciare ai propri interessi e privilegi.
Il film risulta toccante ed appassionante, nonostante le oltre due ore e venti di narrazione, concitata e ben distribuita su due archi temporali che non si differenziano per perseveranza di principi discriminatori ed ingiustizia. 
E sa parlarci correttamente, e senza delirare, della brutalità e della stupidità della guerra, senza necessità di prendere posizione di parte (imparasse quello stolto incosciente di Mel Gibson, nell'ultima sua stolta, incontrollata e supponente regia - Hacksaw Ridge - a raccontarci gli orrori della guerra senza enfasi inutili e patriottica sdolcinata retorica!!) e senza crogiolarsi su tendenziosi facili sentimentalismi.

La natura americana di Newton Knight sta nella completa assenza di dubbio delle sue azioni, nella concezione di una sola prospettiva di fronte alla complessità dei processi storici: la prospettiva dell’uomo di fede e di giustizia. La particolare del film, invece, sta nella scelta di lasciare poco per volta in secondo piano gli aspetti drammatici del racconto per evidenziare invece la ricostruzione storica del periodo post-bellico – quando l’Unione delega agli uomini della Confederazione la gestione degli ex stati ribelli, di fatto ammettendo il ritorno della schiavitù per via legali e riconoscendo il potere dei vecchi latifondisti – e la creazione delle ingiustizie sociali e razziali che segnano tuttora la società americana. Le vicende personali di Newton e dei suoi uomini – in particolare dell’ex schiavo liberato Moses – perdono la loro dimensione puramente narrativa per diventare i tasselli di una storia minima eppure decisiva che dai campi di battaglia della guerra civile porta a un tribunale del Mississippi negli anni ’40, e ovviamente oltre.
La linea di sangue e la linea degli eventi coincidono, e insieme costruiscono passo dopo passo la vergogna e il riscatto di una nazione. Per una volta, l’azione del singolo non si riverbera nello spazio concluso della famiglia, nella relazione fra un padre, una madre e la loro discendenza, ma attraverso quella stessa discendenza si apre a un popolo intero: la guerra della contea di Jones è la guerra del povero contro il ricco, del bianco che sa stare a fianco del nero in nome di un principio maggiore, minando inconsapevolmente la stabilità di una nazione e permettendole così di sperare a ogni passaggio storico nella propria redenzione.

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