sabato 24 febbraio 2018

La nave dolce – Daniele Vicari

vedere questo film aiuta a capire quella cosa unica che è stato l'arrivo della Vlora in Italia.
Daniele Vicari riesce a raccontare quei giorni, in un documentario davvero sorprendente, bellissimo.
cercalo, non te ne pentirai - Ismaele






QUI il film completo (non buona qualità)


Il materiale utilizzato non può essere definito 'di repertorio' perché Vicari si è trovato di fronte a centinaia di ore di girato mai utilizzato da parte di televisioni private dell'epoca. Ha potuto così far rivivere ciò che era finito in un archivio grazie alle testimonianze di chi, per le ragioni più diverse, era salito sulla Vlora sperando oltre ogni speranza. Si tratta di un viaggio nel tempo che trasforma la massa apparentemente minacciosa appollaiata ovunque sulla nave (e poi ammassata sul molo e nello stadio di Bari) in uomini, donne, bambini. Ognuno con la propria storia. Tutti ripresi oggi su uno sfondo neutro tale da far risaltare i gesti del presente che richiamano quelli di quei giorni in cui la libertà e il benessere sembravano a portata di mano…

L'8 Agosto del 1991 il porto di Bari veniva violato da una nave brulicante uomini e speranza. Era la nave Vlora che da Durazzo trasportava migliaia di persone, anziché il consueto zucchero.  Il comandante era stato costretto a partire alla volta della Puglia da una fiumana di corpi che all'unisono assalivano un sogno di libertà con la fuga. Non ci avevano pensato su due volte, tutti svolgevano le loro normali attività fino a un momento prima - chi era in spiaggia con gli amici, chi lavorava, chi passava per caso - ma la vista di quella nave animò una corsa disperata per raggiungerla, con i corpi che si incastonavano fino alla cima più alta dell'imbarcazione. Così cominciava il viaggio verso l'Italia. Lamerica.
Come spesso accade, i sogni devono scontrarsi con la realtà. E l'Italia non era quell'Eldorado fantasticato né panacea di ogni male di povertà. La televisione, attraverso cui questo popolo aveva conosciuto il nostro paese, ne aveva alimentato la visione idilliaca, e si sarebbe palesata - di lì a poco - come schermo mistificatorio. Ad accogliere il primo grande esodo non una città impaurita ma un cordone solidaristico tra abitanti e istituzioni locali che disponeva i primi soccorsi, pur nell'impreparazione legittima. Circa ventimila persone sfidavano il caldo asfittico e la sete per lasciarsi alle spalle il regime. La stretta morsa della dittatura era diventata ormai insopportabile per una popolazione che anelava democrazia e libertà. Una storia che si ripete e che, come suole, si cristallizza in una statua che crolla buttata giù…

…Un film che racconta della transizione dell’Albania ma anche molto dell’Italia: fa sorridere, commuovere e indignare. Il regista collega quei fatti all’oggi ma senza inutili moralismi e sottolineature. Un documentario forte, solido, avvincente e da vedere, che ci aiuta a rimettere insieme tasselli di memoria e riflettere su chi siamo e come ci poniamo rispetto agli stranieri che arrivano.
“Siamo abituati alla tv del dolore, a sapere che fine fanno i protagonisti – ci ha raccontato a Venezia Daniele Vicari – questa vicenda non ha né lieto fine né un epilogo tragico, è ancora in atto. I testimoni non avevano bisogno di sottopancia o scritte che spiegassero chi sono. Contano le loro emozioni. E quella nave è una metafora senza tempo. Là sopra sarei potuto essere pure io che al tempo ero uno studente universitario e seguivo da lontano gli eventi. C’erano esseri umani sulla nave, non profughi, disperati o clandestini, semplicemente esseri umani che cercavano di cogliere un’opportunità”.
Come è nato il progetto?
Nel settembre 2010 alcuni produttori italiani e albanesi mi parlarono dell’avvicinarsi del ventennale e mi proposero un film sull’accoglienza in Puglia. Ho trovato tanti materiali, mi sono innamorato della vicenda e del suo aspetto metaforico. È una vicenda che si ripete ogni giorno da qualche parte del mondo e spesso in Italia. Allora non eravamo preparati, bisognava avere un atteggiamento di maggior accoglienza e umanità.
Come ha scelto i testimoni?
Non ho fatto delle interviste vere e proprie. Li ho messi tutti su un set con uno sfondo bianco per astrarre un po’ le loro testimonianze. E li ho lasciati parlare per ore. Hanno ricordato cose che loro stessi avevano dimenticato e si sono lasciati andare. Ho montato tutte le persone filmate, ma prima la mia cosceneggiatrice Antonella Gaeta ne aveva contattati e incontrati molti di più. Non abbiamo scelto quelli con le storie più interessanti, ma quelli più capaci di mettersi a nudo”.
E per le immagini di repertorio?
Ho cercato di conservare le emozioni e anche lo stupore degli operatori che per otto giorni a Bari cercarono di filmare quello che accadeva. Fu un momento di inconscio collettivo, ma gli operatori dimostrarono una grande capacità di narrare quei fatti, non solo testimoniare ma anche elaborare gli avvenimenti e realizzare immagini simboliche come la ripresa della bambolina che ho usato per il finale del film.
Ha pensato a film come “Lamerica” di Gianni Amelio o quelli più recenti di Emanuele Crialese mentre lavorava al film?
No, mi sono fatto prendere la mano dai materiali e dalle emozioni che mi hanno provocato. In ogni caso Amelio e “Lamerica” sono un punto di riferimento per me, hanno rivitalizzato il cinema italiano e sono contento che ora i registi della mia generazione siano tornati a raccontare la realtà.



QUI un’intervista con il regista


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