lunedì 29 gennaio 2018

Mediterranea – Jonas Carpignano

prima di A Ciambra Jonas Carpignano aveva girato la sua opera prima, che presenta i due protagonisti del secondo film.
il viaggio della speranza, dall'Africa verso l'Europa, è spesso un viaggio verso l'Italia, dove li aspetta, chissà se lo sanno prima di partire, una vita di stenti, semischiavitù (o peggio), oppressione.
in Italia la raccolta delle arance calabresi (il lavoro che faranno i migranti del film) è famosa per la cronaca, nera e non solo, qualcuno viene ammazzato, qualcuno muore d'incendio, di molti non si sa.
il film è fra il documentario e la fiction, in un equilibrio che non è mai esagerato.
cercatelo e soffritene tutti, un film sempre d'attualità, purtroppo - Ismaele





Girato tra il deserto della Mauritania e la Calabria, precisamente a Rosarno, il film narra la vicenda di Koudous Seihon, che attraversando il deserto e resistendo agli attacchi dei predoni prima di arrivare in Libia riuscirà ad andare via dall’Africa e a raggiungere l’Italia insieme al suo migliore amico Abas. Lì in Calabria troverà lavoro come raccoglitore di arance per poi mandare i soldi alla sorella e a sua figlia. In quella terra Koudous cercherà di integrarsi, anche se non sarà poi così facile proprio lì infatti scoppierà una rivolta contro i neri.  Cosa realmente accaduta nel 2010 quando Rosarno fu teatro di scontri cruenti tra migranti e cittadini.
Mantenendo un equilibrio perfetto tra narrazione e  realtà lo sguardo del regista segue i personaggi e ci porta con semplicità nel mondo di due immigrati africani che dopo un pericoloso viaggio sono alla ricerca di una nuova vita in Italia. Si avvicina a loro, senza alcun messaggio o giudizio da trasmettere. Ed è proprio questa la forza di Mediterranea che poi è la stessa di A ciambra. Il  regista infatti dopo aver incontrato il protagonista ha cercato di adattare il film il più possibile alla  vita reale, come ha fatto poi anche con la storia del giovane Pio Amato, personaggio principale di A ciambra e qui interprete di una piccola, ma significativa parte. 
Apprezzato dalla critica internazionale Mediterranea però non aveva ancora trovato una distribuzione in Italia. Nonostante l’attualità del tema, il film di Carpignano era rimasto ai margini, tra gli invisibili, proprio come i suoi protagonisti. Da oggi per fortuna, distribuito da Academy Two, sarà in programmazione al Nuovo Cinema Sacher di Roma. Per fortuna perché Mediterranea è proprio un film che vale la pena di vedere. Vedetelo.

Un film serio, giusto, realista, senza miserabilismo, senza innocentismo, quindi complesso, umano, umanissimo, una storia e un documento insieme. Il giornalismo ci inonda di dati lontani, spaventosi, il giornalismo ignora la realtà. Per questo Mediterranea arriva come un film necessario, per tutti, ma soprattutto per gli italiani, per risvegliarli dalla loro miseria televisiva. Un film senza risposte, ma con tanti interrogativi, tante domande – come è giusto che sia. Dell’epopea di Ayiva resta soprattutto l’insistente primo piano di un uomo che si interroga, che dubita, sempre di nuovo, nel guado tra la rassegnazione vissuta in patria e le speranze dolorose per un altrove senza leggi, per una manciata di euro senza diritti. La speranza si trasforma in umiliazione, l’illusione in disillusione, eppure continua a valerne la pena, o almeno così pare. Il viaggio di Ayiva è un percorso ad ostacoli, persino nell’accettazione della servitù. Qui non ne va solo del neoschiavismo, vero cuore pulsante della questione postcoloniale, ne va persino dell’incapacità di gestirlo questo neoschiavismo. All’Africa corrotta (a Mediterranea andrebbe sempre aggiunta un’Africana che scoperchi le pentole dello sfruttamento delle risorse africane…) risponde una periferia dell’Occidente ridotta a ignavia e barbarie – e questo è il pezzo di realtà su cui riflettere, non le cifre del terrorismo giornalistico. È nelle notti di Rosarno che l’Occidente è chiamato a interrogarsi.

…L’intelligence de l’écriture permet au réalisateur de faire corps au ressenti de ses personnages et, tandis que Ayiva s’impose comme protagoniste central, se placer habilement à distance pour mieux nous confronter au trouble de situations qui les dépassent, les écrasent ou les oppressent, mais auxquelles ils font face, coûte que coûte. Si la mobilité du cadre et les valeurs de plan font sens non sans une certaine réthorique, l’approche esthétique permet de transcender émoi et énergie. Certaines séquences sont proprement étourdissantes (comme la traversée de la Méditerranée) tandis que le travail sur le son et sur la musique offre de nombreuses résonances et attisent, subtilement, notre attention.
L’évolution du récit tient de la chronique permettant au réalisateur d’envisager de très nombreux enjeux nous propulsant dans un questionnement ouvert où nous découvrons les visages pluriels de l’Italie – et part extension de l’Europe – de la bienveillante « Mama Africa » au racisme primaire et à la ségrégation. Le réalisateur s’intéresse en pointillé aux motivations mères des migrations et à la naïveté dont font preuve ou à laquelle veulent se rattacher les migrants et leurs proches, emplis d’espoir autant que désespérés. Au-delà, il questionne notamment la paternité mais aussi le devenir d’un pays étrangement gangréné où « le système » transforme des enfants en mafieux très conscients de leurs actes.
Est-elle une ponctuation que la musique est aussi un véhicule de sens qui parcourt le film de part en part. Lien entre Ayiva et sa fille, elle l’est aussi entre les Continents et les cultures avec notamment les chansons de Rihanna qui hantent le film de part en part tout en soulignant rien moins que l’universalité des droits de l’homme. Enfin, la musique ponctue également le film sur une séquence autant envoûtante que médusante.

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